Alberto Mancinelli: Tutto l’amore che c’era | Recensione

L’ultimo lavoro di Alberto Mancinelli intitolato Tutto l’amore che c’era analizzato e recensito per Blog della Musica da Giacomo Ferrari. Un disco che “più si ascolta e più… migliora”…

Alberto Mancinelli - Tutto l’amore che c’era - copertina disco

Alberto Mancinelli, Tutto l’amore che c’era

Abbiamo ascoltato e analizzato per voi Tutto l’amore che c’era l’ultimo lavoro in studio di Alberto Mancinelli, cantautore Folk-Rock-Psichedelico in passato attivo musicalmente a Siracusa e più recentemente sulle zone di Padova.

Incroci è la canzone di apertura del disco. Una chitarra acustica ritmica e una solista, molto leggera e delicata. La sua voce è calda e si fonde molto bene con i suoni. Una batteria leggera, dei synth discreti ma che gonfiano e una melodia vocale a tratti ipnotica senza la paura però di snaturare una delicata vena cantautorale. Il risultato è piacevole e non sa di vecchio. Buona impressione.

Segue E’ meglio andare. Che dire, siamo sul mood della precedente. Un Folk da cantautore ben equilibrato, che strizza lontanamente l’occhiolino a un pop sincero. La chitarra elettrica colora il pezzo entrando ma non essendo mai prepotente o protagonista.

La terza canzone, invece, è Maggie, una canzone che determina un primo stacco dalle precedenti. C’è groove, c’è distorsione, c’è l’elettrica che qui si fa protagonista. Un buon uso dei suoni coordinati dal produttore e musicista Don Antonio (Antonio Gramentieri) insieme a Piero Perelli, Nicola Peruch, Elisa Ridolfi e Vicki Brown. La canzone funziona e veramente piacevole il testo.

Segue Corsia d’emergenza, che non si distacca dalle considerazioni precedenti. Niente da dire, funziona e funziona bene.

Siamo a metà lavoro con Sirene stonate, testo intenso, sonorità intense. Bella atmosfera. Bellissima scelta l’armonica a bocca in chiusura del pezzo. Conferma la potenzialità della canzone.

La sesta traccia è Farti male. All’inizio penso “siamo ancora sulle stesse sonorità, mmmh… forse avrei preferito una piccola variazione a questo punto”. Con gioia mi smentisco a fine canzone. Brano ben strutturato e ancora mi lascia piacevolmente colpito il lavoro sulle strumentali, senza nulla togliere ad Alberto, anche se avrei preferito a questo punto del disco un azzardo, una variazione di più a livello vocale. Ma alla fine questo è il suo stile, e lo sa fare bene. A tratti mi ricorda il grande Giorgio Canali.

Da qualche parte rimane sulla comfort zone. Non aggiungo altro se non ciò che ho abbondantemente detto prima.

Singapore, invece, parte con un bel mood andante. E’ più ballerina rispetto alle altre. Sembra viaggiare bene ed è ben posizionata nella tracklist. Anche la linea vocale è semplice e classica, quel classico da classico cantautorato già sentito. Ma che stranamente, a differenza di quanto mi succede nella stragrande maggioranza dei casi, questo non mi stanca. Lo digerisco bene, sarà la sua voce, saranno le linee vocali quasi ipnotiche. Anche  Lentamente ha un mood rilassato.

Il finale dell’album spetta a Il Gesto. Le sonorità ormai sono familiari e troviamo ciò che ci aspettiamo. Ma è un pezzo di chiusura, e si sente, soprattutto quando inizia la parte strumentale sul finale. La chiusura giusta per un album giusto.

Tutto l’amore che c’era risulta essere un disco efficace e veramente ben prodotto. Le canzoni nel complesso funzionano, alcune meglio di altre ma questo si sa, è abbastanza normale. E’ un disco che forse al primo ascolto potrebbe risultare leggermente ridondante, ma dategli fiducia. Più si ascolta e più migliora. Buono il lavoro sui testi. Semplici ma efficaci le linee vocali.

Il filo che lega tutte le canzone è una idea di amore, non necessariamente fisico o sentimentale. Un’idea di amore legata ad un luogo, un sogno, un’ambizione, una storia forse vissuta o forse no.

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