Fat(u)o è il nuovo album del cantautore Alberto Nemo nel quale reinterpreta e fa sue alcune canzoni di importanti artisti italiani: da De Andrè a Battiato, Battisti, Guccini ed altri. Per voi la recensione di Christian Agnoletto
Fat(u)o è la nuova uscita discografica del cantautore rodigino Alberto Nemo che, per questa volta, sceglie di accantonare la sua anima compositrice, dando sfogo e sfoggio dell’altra metà della sua anima artistico-musicale: quella di (re)interprete.
Se non fossimo addetti del settore e non conoscessimo la storia della musica italiana, i brani che compongono questo disco potrebbero tranquillamente passare per degli inediti di Alberto Nemo, tale è lo stravolgimento in termini di adattamento musicale che egli ha effettuato.
Risulta, quindi, riduttivo parlare di semplici cover perché, a conti fatti, Nemo si è impossessato delle canzoni in questione e le ha fatte sue, dando loro una nuova veste e una nuova anima, nuovi colori e una nuova poetica.
Sorge spontanea una domanda: è Nemo che ha scavato fino in fondo dentro se stesso per trovare questi brani, modellandoli e manipolandoli a suo modo e farli suoi, o sono invece queste canzoni che hanno incontrato Nemo, approfittando della sua arte musicale per scoprire la loro vera essenza?
Difficile rispondere ed è spiazzante la loro scelta: si va da De André a Battiato, da Battisti a Guccini; insomma un mondo lontano anni luce, musicalmente parlando, dall’universo in cui si muove Nemo. E sta proprio qui la sua sfida, a se stesso prima che ai suoi ascoltatori, e risiede proprio qui l’unicità di questo progetto discografico.
Ci sono altri artisti rappresentati in questo disco con un loro brano, che risulteranno sconosciuti ai più, ma che Nemo ha voluto omaggiare inserendoli a fianco dei mostri sacri sopra citati, e sono: Airt’o, Sarah Stride e la band Devocka.
Le danze si aprono con Amore che vieni, amore che vai, e quello che balza all’orecchio è l’ardita scelta di ridurre la componente armonica della canzone a un solo accordo, non osando però intelligentemente intaccare alcunché della parte testuale, vero punto di forza del brano in questione, nonché intoccabile e inarrivabile classico esempio della poetica del primo De André.
Nelle mani, nelle corde e nella voce di Nemo la creatura deandreiana assume sembianze nuove, dai contorni sinistri e dalle sfumature dark, con un suono che ha la capacità di indagare, con coraggio e senza filtri, la profondità dell’anima stessa del cantautore genovese, fino agli spigoli più remoti e inconfessabili, lasciando un senso di nudo disagio e un sospiro di liberatoria desantificazione.
Spetta a Segnali di vita proseguire la liturgia e la ricerca del volto più nascosto e spirituale dell’arte letteraria e musicale tanto care a Battiato quanto a Nemo, qui ed ora mescolate con sagacia , fervida immaginazione e quell’arrogante follia necessaria per esaltarne la pura e timida essenza, cancellando tutto per ricominciare daccapo, dissolvere per ricostruire, morire per rinascere.
Il disco prosegue con Amarsi un po’ dell’accoppiata Battisti-Mogol; anche se, a dire il vero, della fortunata e ispiratissima coppia, Nemo sceglie di lasciare a casa il primo e portare con sé, nel suo affascinante e periglioso viaggio musicale, il paroliere/poeta Giulio Rapetti, visto che ha scelto di stravolgere del tutto la componente armonica e melodica del brano in questione, mantenendo tuttavia inalterata la parte letteraria.
Si può tranquillamente dire, quindi, che il cinquanta per cento della canzone appartiene alla verve creativa di Nemo, il quale entra in punta di voce sulle parole di Mogol, le insegue, le cattura, le consuma, le sviscera, le svuota, se ne appropria, le divora, le ingoia, se ne nutre, le fa crescere dentro di sé fino a lasciarle andare tra le labbra, tra un sospiro e un singhiozzo, al legittimo proprietario, restituendogliele unite, indivisibili, vicine ma irraggiungibili.
De Andrè riaffiora tra i solchi di questo disco con la sua Ballata dell’amore cieco la quale, dopo l’incontro con Nemo, risulterà appartenere in parte anche al cantautore rodigino, tale è la sua capacità di immergersi, senza freni ma con umiltà, in questa torbida storia d’amore, raccontandone il martirio e la salvezza, il sacrificio e l’ineluttabilità.
Se De Andrè ha nascosto la follia dell’amore dietro una maschera di assoluta normalità, Nemo ha reso folle la normalità di un amore vero, struggente e dilaniante, autodistruttivo.
Se De André avesse incontrato Nemo cosa ne sarebbe scaturito? Chi può dirlo?
Ci restano però queste tracce che esplorano il lato oscuro del poeta ligure, che lui non ci aveva mai mostrato così apertamente e che Nemo ha avuto il coraggio, la follia e il genio di scandagliare.
Per la chiusura del disco, Nemo sperimenta un confronto con Guccini. O con Auschwitz? Anche se più che di confronto, si dovrebbe e si deve parlare di liaison.
Ad ogni modo, il paragone è inevitabile e se col primo già è difficile, con la seconda appare impossibile. Ma Nemo riesce nell’impresa, rievocandone i fantasmi, lo strazio e l’assurdo; e dando loro dignità, umanità e resurrezione.
Dove la morte ha abbracciato la vita, Nemo entra ad Auschwitz e sconfigge la morte, trasformando quel luogo di sofferenza in note di poesia.
Chissà che voce avrà avuto il bambino nel vento? Quel che è certo è che Alberto Nemo da qualche parte, in qualche modo, l’ha ascoltata.
Un capitolo a parte spetta ad Airt’o, Sarah Stride e ai Devocka.
Airt’o è un cantautore rodigino che ha esordito discograficamente nel 2017 con l’ottimo album Genus, autore di un rock acustico dal sapore etnico e dall’umore latino; Sarah Stride è una cantautrice e poliedrica artista, attiva già da qualche anno e con diverse collaborazioni e pubblicazioni discografiche nel suo curriculum, ed è fresca finalista dell’edizione 2018 di Musicultura proprio col brano che Nemo ‘coverizza’ in Fat(u)o, ossia I barbari. Infine, i Devocka sono una band di Ferrara, nel giro underground ormai da una quindicina d’anni, che propone una sapiente miscela di noise, new wave e post punk.
Che dire? Alberto Nemo non guarda in faccia e all’arte di nessuno o forse, proprio perché le guarda più attentamente di chiunque altro, si lascia andare alla più libera e personale rivisitazione dei brani presi in prestito dai succitati artisti, fino ad appropriarsene, rubandone l’essenza e regalando ai tre artisti emergenti, l’onore di meritarsi un posto vicino a coloro che hanno creato, insieme a pochi altri, almeno a certi livelli, la musica d’autore italiana. Ma regalando anche a noi ascoltatori il piacere di scoprire il talento compositivo di musicisti che non hanno, almeno per ora, raggiunto il successo commerciale e la notorietà.
Per concludere, non nascondo che mi sono avvicinato all’ascolto di questo nuovo lavoro di Nemo con un certo scetticismo riguardo l’esito di questa operazione discografica, vuoi per una mia personale, quanto ovviamente discutibile, contrarietà alla pubblicazione di album composti interamente di cover, vuoi per la scelta specifica di canzoni così ‘classicamente’ cantautorali e, quindi, apparentemente poco accostabili alle velleità artistiche di Nemo.
Ma forse, proprio per questa ragione, acquistano invece nuova forza espressiva, nuova carica emotiva e nuova linfa musicale. E soprattutto, d’ora in poi, non potrò fare a meno di pensare ad Alberto Nemo quando ascolterò De André, Battiato, Battisti e Guccini.
Così come credo che, d’ora in poi, quando ascolterò Alberto Nemo, non potrò fare a meno di pensare anche a De André, Battiato, Battisti e Guccini.
Il vero valore di questo disco risiede proprio in questo ed è un valore non proprio trascurabile…
In realtà, tutti i brani del disco sono di Nemo, a lui appartengono e in lui rinascono in altre forme; perché, se è vero che alla fin fine, ascoltando il disco in modo superficiale, le canzoni paiono assurgere a un mero esercizio di stile per illuminare le sue doti vocali e musicali, quasi a omaggiare se stesso più che gli artisti interpretati, è anche vero che era una sfida ardua confrontarsi con canzoni così famose e così distanti dal pianeta Nemo. Sfida ampiamente superata a pieni voti, sebbene io sia dell’idea che ad Alberto Nemo le competizioni musicali non interessino affatto, trovandomi peraltro pienamente d’accordo.
A cura di Christian Agnoletto
Info: https://www.facebook.com/albertonemomusic/