INTERVISTA | Semplice. Depietro ritorna all’essenza

Conversazione con il cantautore Depietro che ci racconta la nascita del suo nuovo album dal titolo Semplice.

Siamo accomunati da passioni e latitudini, io e Alfonso Depietro. Identiche le origini irpine, non senza ipotetiche consanguineità (ché altrimenti ci pensano altre gocce rosse ad abbattere i famosi gradi di separazione). Identico il luogo di adozione, quella città con la torre un po’ storta. Capitava, a fine anni Novanta, di alternarsi su gloriosi palchi di provincia, io tra gli emergenti lui già big. I chitarristi si guardano le mani a vicenda, e nelle sue riconoscevo quegli accordi raffinati che già mi seducevano: Alfonso aveva le dita a forma di jazz.

Le stesse che avrebbero impugnato la penna per rinnovare il miglior impegno cantautoriale, non solo nella sua dimensione pubblica — un titolo per tutti, (In)Canto Civile (2011) — ma anche in quella privata. È proprio quest’ultima a dettare la tinta di fondo del suo nuovo album, Semplice, oggetto della nostra più recente conversazione.

Domande incompiute, le mie, come l’incipit del disco: il ritmo delle nostre chiacchierate polifoniche raramente acconsente alla punteggiatura, sia pure interrogativa. Ma DEPIETRO (così firma questo lavoro semplificando il nome per proiettarsi, dice, “in una nuova fase, forse più contemporanea”) conferma molte delle mie impressioni.  “C’è uno sguardo più introspettivo, è vero, anche se non abbandono certo il discorso sul sociale, sui temi dell’accoglienza, della carità e dei diritti… pensa a pezzi come Il viaggio e Un breve addio. Negli album precedenti invece c’erano veri e propri brani da cantastorie, in cui vestivo i panni di personaggi che hanno perso la vita per un ideale di giustizia e di libertà, oppure dando voce agli ultimi e agli emarginati”.

Al viaggio, tema di fondo dell’opera, rimanda già la copertina realizzata dallo stesso DEPIETRO: “La barchetta è paradigma di semplicità e anche di fragilità. Ma in un primo momento doveva essere una finestra stilizzata, perché questo album nasce con quell’orizzonte lì, caratteristico degli scorsi mesi. E non è un’ovvietà dire che dalla finestra si guarda verso l’esterno ma anche verso l’interno, raccontando e raccontandosi”.

Tra gli orizzonti e gli umori più recenti, non può che esserci la solitudine, ritratta nel brano Ed è subito sera, citazione colta di Quasimodo che per Alfonso da sempre rappresenta “la vita in tre versi”.

Il viaggiare di DEPIETRO non si compie solo tra le coordinate spaziali ma anche tra le curve del tempo. Prima ancora di ascoltarli, ricevo dai titoli della tracklist chiari suggerimenti di una direzione cronologica indirizzata all’immediato futuro, al Mondo che verrà.

Anche in Semplice, Alfonso DEPIETRO ha collaborato con Carmelo Calabrò, “amico poeta di origini siciliane, anche lui pisano d’adozione, conosciuto ai tempi dell’Università”. La musica invece è quanto mai autarchica. L’album è stato in buona parte registrato in casa, in quello che lui chiama “lo studio in una stanza”.

“Avevo abbandonato Garage Band come un giocattolino, per poi riscoprirlo preziosissimo strumento soprattutto in questi tempi. Si è rivelato essenziale anche per delineare gli arrangiamenti”. Loop solitari, insomma. Alfonso suona tutto ciò che può, “Dalla mia storica Ibanez che ben conosci — con cui ho suonato anche le parti elettriche del disco, montando corde da elettrica — alla Breedlove acustica”; strumenti reali e virtuali, ad eccezione del basso e del contrabbasso di Francesco Lorenzetti, già con lui per (In)Canto Civile: “L’ho chiamato per farmi dare delle dritte, essendo lui anche un grandissimo fonico. Francesco è rimasto ben impressionato del lavoro e mi ha proposto di incidere personalmente basso e contrabbasso, oltre ad aver fatto un gran lavoro di mix e mastering”.

E anche il nuovo disco conferma e corrobora il linguaggio musicale di DEPIETRO, la sua vocalità, il suo taglio stilistico e il suo idioletto armonico: ultimogenito di quelle dita a forma di jazz, ma non solo. “Ho frequentato per una vita certi mondi d’autore in cui alla fine, parliamoci chiaro, i girotondi armonici si ripetono un po’ sempre uguali a se stessi… e allora compa’, se non cambi prospettiva non ne esci… thinking out the box, dicono gli inglesi”.

Eppure stavolta la mia impressione, quella di un innegabile primato armonico, viene smentita: “È sempre la melodia a guidarmi… ti ricordi Peppino? L’ho scritta in bicicletta, canticchiandola… così non mi frega più la griglia armonica, né la geometria tipica degli accordi sulla chitarra”.

Gli chiedo poi quali siano stati i tempi di realizzazione. L’album è fresco, compatto, segno di una stesura omogenea che non concede al tempo di far seccare le velature di colore, “se mi passi la metafora pittorica, Alfo’…”. Sinestesia accolta: “Alcune pennellate erano state già date, in fase di scrittura, ma hai colto nel segno sui tempi di registrazione… saranno state tre settimane scarse. Ci sono state giornate, compà, in cui entravo nel mio studio alle otto di mattina, uscivo per una tisana allo zenzero come quella che abbiamo davanti e finivo alle nove di sera”. (Mi ero ripromesso di sostituire lo zenzero con il vino, caro Alfonso).

Eppure non c’è sovrabbondanza e dal colore lascia pur sempre in trasparenza il bianco: Semplice, appunto.

“Quando ho registrato Domande Incompiute sono stato bene, per il respiro, per l’anima, anche di questo avevo bisogno… è un album in cui ho respirato tanto!”

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