L’analisi della Sesta Sinfonia Op. 68 in Fa Maggiore detta Pastorale di Ludwig van Beethoven uno dei capolavori della musica che inneggia alla rinascita nella stagione della fioritura, a cura M° Cesare Marinacci
Le nove Sinfonie di Beethoven, al pari delle 32 Sonate, costituiscono un corpus monumentale nella produzione del grande musicista tedesco ed un mirabile diario del suo percorso stilistico; anche in questo caso il compositore non ci fornisce la reiterazione di uno schema prefissato intorno alla cosiddetta forma-sonata ma al contrario un campionario variopinto di possibilità espressive che si concretizzano in opere sensibilmente differenti tra di loro eppur egualmente esemplari.
Lampante è il caso delle Sinfonie V e VI, praticamente contemporanee e risalenti agli anni 1807-08, il cosiddetto secondo periodo beethoveniano nel quale il compositore si ‘estrinseca’ attraverso un linguaggio diretto ed appassionato di peculiare efficacia comunicativa; entrambe giustamente celeberrime eppure quasi antitetiche nella loro concezione.
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La Sesta sinfonia detta Pastorale è ben introdotta dalla seguente citazione dell’autore: “Quanta gioia mi da il camminare tra gli arbusti, gli alberi, i boschi, l’erbe e le rocce. Per le rocce, gli alberi ed i boschi passano le risonanze di cui l’uomo ha bisogno”.
In questa lettera, scritta da Ludwig Van Beethoven all’amata Teresa Malfatti, nel 1808, traspare un sentimento di intima comunione con la natura, vista dal compositore come spettacolo da ammirare, madre del genere umano e rifugio incontaminato di segrete meditazioni; la natura come fonte di ispirazione è del resto uno dei topoi del romanticismo, non solo musicale, e lo stesso Beethoven passava ore ad annotare sul suo taccuino i temi ispiratigli dal trillare degli uccelli o dallo scorrere dei fiumi, tanto che le prime idee di una sinfonia campestre risalgono al 1802; in particolare dal sussurro dei tanto amati boschi di Heilingenstadt, nei dintorni di Vienna, nasce probabilmente la sublimazione definitiva della Sesta Sinfonia Op. 68 in Fa Maggiore detta ‘Pastorale’.
Le sinfonie gemelle
L’opera, dedicata ai principi Franz Joseph Max Lobkowitz e Andrej Kyrillovic Razumovskij, fu ultimata nel 1808 e pubblicata l’anno seguente a Lipsia da Breitkopf & Hartel; è dunque, in concreto, contemporanea della altrettanto celebre V Sinfonia Op. 67 in Do minore; eppure in queste opere, anagraficamente gemelle, stupisce come anticipato la profonda diversità d’ispirazione che le ha rese piuttosto due esemplari, unici nella loro grandezza, così come affascina il significativo ampliamento dell’organico che coinvolge più nettamente in funzione espressiva la sezione degli ottoni e dei timpani.
Nella V Sinfonia troviamo il titanico condottiero, nella sua battaglia per la vittoria sul destino; nella Sesta, al contrario, il pensoso e solitario poeta che cerca l’equilibrio nel grande respiro dell’universo.
Ancora: nell’Op. 67 si dichiara il compositore ‘assoluto’ che costruisce le sue architetture con mezzi esclusivamente musicali e volutamente esigui all’interno di una struttura granitica; nell’Op. 68 emerge invece l’artista ‘totale’ che evoca, attraverso i suoni, immagini e visioni suggerite da ispirazioni esterne; che piega ulteriormente le forme al libero viaggio della fantasia creatrice.
Non casualmente queste due opere furono prese come modelli, nella discussione romantica, sulle funzioni e gli ambiti della musica. La V Sinfonia venne indicata, dallo scrittore e musicista Ernest Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), come un perfetto esempio di opera dal lessico totalmente autosufficiente ed in grado di esprimere l’ineffabile senza occorrenza di interpretazioni extramusicali.
Nella Sesta Sinfonia “Pastorale” invece, la corrente vicina all’ideale di ‘arte totale’ vide il fulgido esempio di una Musica che, dall’alto della sua astrazione sensoria, poteva interpretare ad un livello più profondo idee, immagini e suggestioni natie di altri luoghi poetici.
Proprio in questo senso va interpretata la ‘programmaticità’ della Sesta Sinfonia: non siamo di fronte al puro descrittivismo attraverso il ricorso all’onomatopea – pure presente come elemento concretizzante – bensì ad un leopardiano idillio dell’animo che stavolta esprime, con i suoni, emozioni non traducibili in enunciati. Del resto lo stesso Beethoven tenne a segnalare, nel sottotitolo, come la Pastorale fosse ‘più espressione di emozioni che pittura’.
Un’ampia varietà di aspetti è dunque presa in considerazione dal compositore nella stesura della Sesta Sinfonia; passiamo da visioni puramente emozionali e meditative, di fronte alla manifestazione della natura infinita, a immagini invece più mimetiche, che richiamano sembianze naturali identificabili, come il canto degli uccelli, il tuono di un temporale o il mormorio delle foreste.
Sesta Sinfonia: Dal risveglio alla tempesta
Il I Movimento, dal sottotitolo ‘risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna’, si propone in una forma-sonata e si apre con un tema dal carattere campestre, per il profilo melodico e la strumentazione utilizzata, che fa anche da introduzione ‘mattutina’.
Effettivamente appare come un delicato risveglio, rappresentato dall’entrata progressiva di strumenti prima singolarmente poi, via via, in un insieme gioioso.
Per ottenere questo crescendo, Beethoven si serve di una proporzionale germinazione di brevi motivi che vanno a comporre i temi principali da un lato, dall’altro creano una tessitura continua, fatta di brevissime cellule ripetute, che ben dipinge una sorta di sfondo sonoro: possiamo scorgere il musicista che passeggia nel suo bosco, accompagnato da quel vago stormire di flora e fauna, uguale a se stesso eppur sempre difforme.
Il II Movimento, sottotitolato ‘Scena al ruscello’, pure si svolge in forma-sonata; la sezione degli archi evoca, con il suo cullante mormorio, lo scorrere sereno delle acque sulle quali si leva una melodia di barcarola, suddivisa in due temi, analogamente concepiti, che danno vita ad un ampia pagina nella quale, solo alla fine, appare evidente l’elemento di richiamo mimetico: una piccola cadenza affidata a flauto, oboe e clarinetto che, come fossero richiami per uccelli, invocano dal profondo della foresta l’usignolo, la quaglia e l’immancabile cuculo.
Il III Movimento, intitolato ‘Allegra riunione di contadini’, rappresenta i canti e le giocose danze campestri nelle forma di uno scherzo variato la cui struttura, infatti, presenta la ripetizione del trio ed un ulteriore episodio in metro contrastante che però ben ricorda, appunto, una successione di danze contadine.
La speranza dopo la tempesta
Il IV movimento si può considerare quasi come una scena introduttiva al Finale ed è in parte collegato anche allo scherzo precedente, del quale sembra una intensificazione. E’ una cornice fortemente onomatopeica e minuziosa, dal titolo ‘Bufera, tempesta’, che vede un precedente formale nel Quintetto K 516 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Sono presenti elementi facilmente identificabili: gocce di pioggia ‘pizzicate’ che presto si trasformano in un forte temporale, accompagnato da tuoni dei timpani, venti e fulmini, ravvisabili nei tremoli improvvisi degli archi; il passaggio, senza soluzione di continuità, nell’ultimo movimento è introdotto da un flauto che come un arcobaleno, rischiara il cielo mentre la tempesta si allontana.
Il Finale V movimento presenta un tipico ritmo pastorale in 6/8, similmente alla omonima sonata per pianoforte Op.28, ed una forma di rondò-sonata in cui un tema principale torna più volte a suggellare alcuni episodi, differenti seppur uniti dall’uniformità ritmica. La tecnica della metamorfosi tematica a partire da brevi incisi unisce strutturalmente tutti i movimenti ed anche simbolicamente rappresenta il continuo divenire della natura, brillante di vita al suo interno, per quanto talvolta immota all’apparenza.
E’ il canto felice, ‘di ringraziamento’, dei pastori al termine della tempesta che si innalza, nella sua ‘nobile semplicità e quieta grandezza’, sempre più magnifico, ad ogni riproposta, fino alla luminosa sezione di coda che si avvia al compimento lasciando in evidenza prima solo i morbidi e mormoranti contrappunti, poi frammenti di tema, infine solo il ritmo e gli ultimi rivoli del ruscello; come se l’autore, al termine della passeggiata, pian piano uscisse dalla sua foresta incantata, lasciando allontanare dietro di se i suoni che lo hanno accompagnato in questa fenomenologia sentimentale.
A cura di Cesare Marinacci
Dalla gioia campestre e dalla contemplazione della natura e dell’ambiente contadino alla riflessione sulla condizione umana e al senso che il creato ingenera nell’uomo e lo eleva alla gioia.
Un cammino dell’ispirazione dalla VI alla IX.