Abbiamo intervistato Anna Utopia Giordano sul suo disco d’esordio dal titolo Fogli d’ombra, ma non solo. Ecco cosa ci ha raccontato
Che sulle prime questo titolo su Anna Utopia Giordano sembrerebbe riprendere il celebre scritto di Whitman “Foglie d’erba”… e forse in qualche misura esiste un legame che mostra una coerenza, un rimando, un qualche legame filosofico, spirituale, di vita. Siamo di fronte ad uno Spoken Word, un disco d’esordio che non ha canzoni ma visioni, declamazioni poetiche che hanno più la conseguenza delle riflessioni che non l’estasi della visione d’arte e di scena. E questo suono suburbano, di periferia, favolistico nelle sue inquietudini, accompagna e sottolinea e sembra anche vivere un percorso a se, unito e distante dalla stessa anima in contemplazione. Con Anna Utopia Giordano facciamo un’immersione… e per queste cose ci vuole il tempo che ormai non esiste più nella vita quotidiana. Che sia terapeutico…
Benvenuta su Blog della Musica Anna Utopia Giordano. La primissima cosa che si evidenza è questa: perché un’artista visionaria come te non ha ancora realizzato un video per questo lavoro?
Sento la dimensione di Fogli d’ombra più vicina alla performance dal vivo o all’installazione artistica, spero di poter realizzare un allestimento in futuro, compatibilmente con la situazione mondiale attuale. Nonostante questo, spoiler alert: un video è in lavorazione e sarà online prossimamente.
Tra l’altro, alla visione, al mondo dell’estetica di concetto, questo lavoro deve molto o sbaglio?
Fogli d’ombra attinge dall’immaginario classico, filosofico e letterario, ma anche da temi di attualità e scientifici, soprattutto l’informatica e la meccanica quantistica. Nei miei testi racconto di Antigone e di qubit, parlo di Crizia e cito Majakovskij, dipingo gli oggetti del blu tipico dell’effetto Čerenkov e mischio paradossi filosofici. Immagino i miei testi come dei quadri: quando scrivo compongo una scena in cui gli eventi, i personaggi, i suoni delle lettere di ogni parola, gli spazi tra una riga e l’altra, emergono e si fondono in un multiverso dinamico. Un flusso continuo, una dimensione simile al sogno. Chiudere gli occhi e affidarsi alle immagini evocate, più che cercare un significato preciso o un messaggio univoco, secondo me, è un buon modo per approcciare Fogli d’ombra.
Un titolo importante. A volerlo codificare in altro modo mi verrebbe da dire: “lettere segrete”? Rivelazioni segrete del sé?
La scelta del titolo non è stata semplice. Imprimere un nome, dotare qualcosa di un titolo, è un atto importante. Più che alla rivelazione del sé nascosto, di un inconscio interiore che si svela, il titolo si riferisce a quando e come ho composto questi testi. Può essere esteso all’ombra delle parole, di movimenti sbiaditi e oscillazioni di realtà.
E di questo suono urbano, metropolitano… notturno… lo hai cercato proprio così?
Ho scelto consapevolmente gli artisti che ho coinvolto in Fogli d’ombra, con tutti avevo già collaborato in passato per alcuni reading delle mie rapsodie durante concerti o eventi, quindi conoscevo la loro sensibilità musicale e le loro sonorità. Sapevo che cosa aspettarmi da ognuno di loro.
Ho registrato la mia voce prima della composizione della musica, era per me necessario dotare il testo di pause e tempi precisi. Poi, ho spiegato agli artisti i miei testi e chiarito il più possibile le immagini evocate, fornendo anche indicazioni su cambi di atmosfera, scena e intenzione. Ogni artista ha composto le basi seguendo il proprio stile, ho cercato di interferire il meno possibile con il loro processo creativo. Un Artista Minimalista, ad esempio, ha costruito la base di Entelechia (o sul senso del dovere) su suoni meccanici e industriali, tra cui la registrazione del motore della chiusa di un canale idrico.
Ho prestato particolare attenzione al mixing e al mastering dei brani, fasi che ho seguito interamente insieme a Massimo De Feo, consulente e ingegnere sonoro di Fogli d’ombra.
Oggi, come ti rapporti alla liquidità di tutte le opere?
L’analisi di Bauman riguardo la modernità liquida è pertinente e condivisibile se consideriamo che viviamo in una società in cui le informazioni viaggiano veloci e nella quale interagiscono più di sette miliardi e mezzo di persone. Ogni giorno ognuno di noi ha bisogni primari e desideri da soddisfare e sarebbe auspicabile che tutti potessero vivere una vita dignitosa. Viviamo, però, su un pianeta fragile, un ecosistema con risorse limitate, che non potrà che collassare se continuamente sfruttato in modo incontrollato. Oggi produciamo una quantità immensa di bit per far parte di quella rete sociale incrollabile che è l’umanità, i social network sono non-luoghi in cui gli stimoli si susseguono senza sosta, l’attenzione è passeggera e volatile. Forse, ciò che rimane solida è proprio questa struttura, questa rete di nodi e collegamenti di cui siamo parte. Una rete che cambia forma e dimensione, fluida e mobile nelle sue connessioni, ma sempre presente. Quanto a me, sono nata in un mondo più che liquido, un mondo aeriforme, ho imparato a rapportarmi ad esso riservando spazi e tempi privati in cui seguire il mio ritmo.
Ascolta il brano di Anna Utopia Giordano
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