INTERVISTA | Anonima Sonora: un progetto musicale ispirato al cinema poliziottesco

Oggi sulle pagine di Blog della Musica incontriamo gli Anonima Sonora ed il loro progetto artistico ispirato ai film poliziotteschi degli anni Settanta. Avete letto bene poliziottesco, altresì noto come poliziesco all’italiana: un genere cinematografico italiano in voga fra la metà degli anni sessanta ed i primi anni ottanta del XX secolo, che ha toccato il culmine alla metà degli anni settanta.

Conosciamoci meglio: chi sono gli Anonima Sonora?

Innanzitutto grazie per averci dato l’opportunità di raccontare attraverso questa intervista cosa sia l’Anonima Sonora! Inizierei col dire che la scelta dell’articolo singolare risponde a un’esigenza di precisazione che è anche e soprattutto semantica, non solo grammaticale: l’Anonima Sonora vuole essere un collettivo artistico mutevole e fluido, e per questo “senza nome”, o per lo meno senza un nome proprio e  troppo definito. Volevamo una connotazione di identità aperta, contaminata, proliferante, quasi fantasmatica. E del resto “I senza nome” è il titolo scelto per l’Italia di un magnifico polar (o poliziesco noir) di Jean-Pier Melville del 1970, con Alain Delon, Yves Montand e Gian Maria Volonté. Un vero capolavoro della storia del cinema. Ed ecco allora un’altra delle componenti essenziali del progetto Anonima Sonora: il cinema, un certo tipo di cinema, che racconta storie di marginalità criminale e di esistenze perse nel fondo di quelle contraddizioni che la nostra società incessantemente riproduce ma con cui solo alcuni individui – nel bene e nel male – si trovano a fare i conti davvero e senza risparmiarsi, accettando fino all’ultimo un gioco che ipocritamente il resto del mondo tende a rimuovere. 

Un Ep dal titolo omonimo pubblicato nel 2021 costruito proprio come un film. Come si sviluppa il vostro progetto musicale?

Questo gruppo nasce dall’incontro con Carlo Peluso, il nostro talentuoso, eccellente tastierista, quando personalmente ho voluto dar vita alla mia vecchia ossessione di musicista appassionato di cinema, ovvero intrecciare questi due mondi in maniera originale e creativa. L’idea di fondo è stata quella di assecondare il nostro amore per sonorità calde e incalzanti in cui potesse sprigionarsi tutta l’energia ritmica del funk, del soul e del rock psichedelico, ma attraverso una prospettiva più immaginifica e “visiva”. Le musiche del cinema poliziottesco degli anni Settanta rappresentavano una fonte di ispirazione inesauribile in questo senso, ed è quello il materiale che abbiamo scelto di esplorare, tenendo però il focus sulla scrittura, e non sulla semplice riproposizione di cover. Il resto della storia, come processo di formazione dell’attuale line-up, è pressoché lo stesso di tutte le altre band: gente che entra, contribuisce a definire un suono e poi esce, fino a trovare un equilibrio (sempre momentaneo e in divenire) con chi nel tempo abbiamo incrociato e che ha voluto sposare interamente il progetto. Farne parte significa fondamentalmente comporre e arrangiare con gli occhi, cioè come se il percorso creativo riguardante i brani fosse sempre saldato a delle immagini, a delle scene in movimento, a una potenziale narrazione filmica, con il suo andamento dinamico capace di suggerire mondi, situazioni o visioni.

Recentemente è uscito il video-live del brano “Un altro giorno per morire” estratto dallo stesso Ep. Ce ne parlate?

A fronte dell’esigenza di sviluppare materiale video promozionale, è accaduto ciò che normalmente accade ai musicisti quando i mezzi economici sono limitati, ovvero dover massimizzare le risorse, essere essenziali, puliti e tosti, e puntare tutto sulla performance musicale. Abbiamo avuto la possibilità di girare la clip in un locale a cui personalmente sono molto legato, il Paltò, una bellissima bottiglieria retrò nel centro di Torino gestita da un fraterno amico sempre molto aperto a proposte creative, e la fortuna di poter lavorare con Matteo Contin e Dario Omizzolo al video. In questo primo video suoniamo un pezzo che secondo noi aveva la giusta forza evocativa e il groove adatto a un lancio. Soprattutto ci sembrava importante presentarci con un brano quasi paradigmatico del nostro modo di intendere il processo creativo, in cui la tensione circolante – dopo break, divagazioni, scosse e pause – si addensa per poi raggiungere un improvviso stato di decontrazione ritmica e melodica che esplode e si distende nel frammento di un film (in questo caso, “il cittadino si ribella”). La sequenza scenica sembra evocata dalla musica stessa, come se prorompesse da essa e ne fosse il baricentro, il suo naturale punto di attivazione, il suo grado zero, in cui tutto torna e tutto si tiene.

Guarda il video di Un altro giorno per morire di Anonima Sonora

I vostri pezzi sono pura contaminazione tra progressive e jazz, con incursioni soul e funky, quali sono i vostri riferimenti musicali?

Partendo dal fatto che ognuno di noi ha portato in dote il proprio patrimonio di gusti, esperienze e sensibilità, l’amalgama che si è venuta a creare porta le tracce di tutto quel filone di compositori che hanno musicato i film ai quali ci riferiamo, quindi Franco Micalizzi, Riz Ortolani, i fratelli De Angelis o Piero Umiliani. Si tratta di artisti giganteschi che hanno saputo creare il suono di un’epoca assorbendo i linguaggi che altri musicisti stavano sviluppando o approfondendo in quello stesso momento storico, e che dunque hanno dimostrato di saper sovrapporre e intrecciare un’eredità diciamo più “accademica” alle sonorità più moderne per mettersi al servizio dei registi con cui collaboravano.

Come mai la scelta di ispirarvi al genere poliziottesco anni ’70? Cos’ha di particolare?

Per chi come me ha vissuto l’infanzia negli anni 80, quel cinema non appariva come qualcosa di distante, non era cult. Semplicemente rappresentava un genere forse in via di esaurimento ma tutto sommato ancora abbastanza vitale, o per lo meno presente nell’immaginario di tutti. Adesso, da adulto, vedo quei film truci come un’eredità da valorizzare. Personalmente credo veicolassero una certa visione della società e delle sue dinamiche, e mi sembra che non siano poche le analogie con la realtà di oggi, al di là degli evidenti mutamenti storici. È come se quei film affrontassero delle tematiche “archetipiche” a partire da determinati punti fermi, come l’ambientazione metropolitana e i rapporti di forza al suo interno. Quindi l’emarginazione, le periferie degradate, il fenomeno migratorio come precondizione di un certo percorso di vita, il tradimento, il potere e ciò a cui sono disposti gli individui per ottenerlo, l’ossessione del riscatto esistenziale quando non si ha più nulla da perdere, l’ineluttabile senso della sconfitta e della perdita, l’inevitabilità della solitudine una volta che ci si trova a oltrepassare una certa soglia di violenza. Soprattutto la coesistenza di bene e male come i punti opposti di una stessa curva, dimensioni talmente vicine da non avere quasi più confini. Insomma, è la storia della modernità quella che viene fuori da film come “Milano calibro 9”, “Torino nera”, “Il cittadino si ribella”, “La polizia incrimina, la legge assolve”, “Roma a mano armata” o “Banditi a Milano”, ed a pellicole di questo tipo che pensiamo quando creiamo i nostri brani!

Dall’idea iniziale di un nuovo brano, ci raccontate il vostro processo compositivo?

Normalmente tutto nasce da una cellula di basso, da una linea ritmico-melodica che stabilisce una traiettoria, fissa un’atmosfera e detta il carattere del pezzo nel suo stato embrionale. Su di essa la tastiera, come per un misterioso processo di gemmazione, dà vita a un dettato sonoro articolato e armonicamente già ricco di possibilità. Nasce così il tema del brano, quello su cui verrà costruita l’intera struttura, con eventuali sotto-temi, variazioni, divagazioni, sviluppi. Qui è in gioco tutta la band, che concorre all’arrangiamento.

Tuttavia, il vero nucleo della composizione è il film, o meglio la situazione narrativa che immaginiamo di dover sostenere,  accompagnare e “significare” con il brano in via di scrittura. Plasticamente questo aspetto viene reso attraverso un frammento di dialogo, uno spunto scenico, una sequenza tratta da una pellicola a noi cara (e questo finisce per diventare l’elemento nodale del pezzo), ma più in generale l’idea fondamentale è comporre avendo costantemente nella testa una precisa circostanza visiva, un determinato momento di un potenziale film. In altri termini, cerchiamo di suonare come se stessimo musicando una storia. Se ciò che sta venendo fuori ha una sua evocatività cinematografica, allora sentiamo di essere sulla strada giusta.

Come funziona l’intreccio musicale con quello recitativo di Maurizio Bagarotti?

L’incontro con questo splendido attore è stato provvidenziale. Cercavamo un modo per rendere il nostro spettacolo intenso e coinvolgente anche dal punto di vista del contenuto “testuale”, visto questo esercizio di memoria costante con cui cerchiamo di raccontare la provenienza del nostro presente sociale. L’intuizione è stata quella di raccontare, affabulare, riportare in vita qualcosa che giunge da lontano ma che fa ancora parte di noi, un po’ come la luce di una stella morta che arriva qui dopo migliaia di anni dalla sua esplosione. Così Maurizio apre il nostro spettacolo e interviene in altri  specifici momenti per ricordare, ovvero per restituire al pubblico una vicenda che ci riguarda tutti, la quale è poi la storia di un pezzo di malavita, il racconto del crimine metropolitano e di alcuni suoi perché.

Quali sono le vostre prossime mosse musicali?

Stiamo lavorando per promuovere questo progetto a cui teniamo parecchio. Vorremmo pubblicare il nostro nuovo EP entro il prossimo inverno così da acquisire visibilità e portare in giro il nostro materiale. In questo senso sarà fondamentale estendere la nostra presenza sui social, perché siamo consapevoli che è questa la dimensione entro cui dobbiamo muoverci ed essere attivi per proporre il nostro lavoro.

Qual è la vostra dimensione ideale: studio o live?

Sicuramente live, dove possiamo mettere in scena la nostra concezione di questo progetto “trasversale”: la musica, la straniante incursione di scene o dialoghi tratti dai nostri film di riferimento, la proiezione di un video incalzante e ricco di stimoli montato apposta per dettare il ritmo visivo della performance e la presenza di Maurizio a completare un quadro che vorremmo sempre aperto alla compenetrazione di differenti piani di realtà.

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