Chiara Filomeni è una cantautrice marchigiana da tempo trasferitasi a Londra. La sua musica racconta una profonda riflessione emotiva attraverso brani che esplorano R&B ed elettronica, unendosi fluidamente con il cantautorato italiano. Lo scorso 23 giugno è uscito su tutte le piattaforme il suo nuovo singolo Dignità Rubata, un pezzo sul dolore e sulla catarsi. Abbiamo quindi colto l’occasione per fare una chiacchierata con l’artista:
Chiara Filomeni è cresciuta con le favole della nonna, con Pavarotti che cantava “Vincerò” nella macchina del nonno, con i cantautori italiani che riempivano il silenzio della casa, e suo padre che cantava “Non ho che un canto” mentre lei fingeva di essere Biancaneve, e sua madre che le chiedeva di fischiare da dentro la culla. Vincitrice di Area Sanremo nel 2015 e finalista a Castrocaro nel 2013, la sua esperienza nell’industria musicale inizia molto presto, ma la sua svolta musicale e di vita è stata la decisione di trasferirsi a Londra e di studiare musica professionalmente, maturando una forza interiore che l’ha aiutata nel suo percorso di scrittura in continua evoluzione.
Ciao Chiara Filomeni, come ti presenteresti a chi sente parlare di te per la prima volta?
Sono una cantautrice marchigiana d’origine, londinese d’adozione, cresciuta con le favole della nonna e con la maestosa “Vincerò” di Pavarotti nel mangia cassette della macchina di nonno, con mamma che mi chiede di fischiare quando ero ancora in culla e non sapevo nemmeno parlare, e papà che mi sveglia la mattina con Battisti a tutto volume sulla radio di casa. Quando scrivo racconto di me, delle mie esperienze che mi hanno portato fin qui, e catarticamente mi avvicino verso la libertà.
Raccontaci il tuo modus operandi nella creazione di un nuovo pezzo. Studi tutto a tavolino o ti lasci guidare completamente dall’ispirazione? Parti da un contenuto scritto o da una melodia?
Il processo creativo varia a seconda di come mi sento. Posso dire che quello più ricorrente è partire da un giro di accordi che mi comunicano un tipo di emozione, e su di essi creo una melodia con il mio inseparabile fake english – che utilizzo anche quando scrivo in inglese – e mi soffermo sui suoni che produco con questa lingua inventata. Infine, con una immagine più chiara in testa, posso finalmente mettere per iscritto quello che la canzone mi ha già comunicato con la musica.
Quale dovrebbe essere, secondo te, la situazione ideale per ascoltare “Dignità Rubata”?
Sei per strada, cammini cercando di distarti dai tuoi pensieri, metti le cuffie per non sentire i rumori della città. Inizi a muoverti seguendo il beat di Dignità Rubata, ascoltando la narrativa già dalla prima frase: “certe canzoni ti portano indietro, e senti quel peso allo stomaco”. Continui per la tua via fino a quando non arrivi al bridge della canzone, e lì ti viene da fermarti, da chiudere gli occhi. “La rabbia ha coperto il bisogno di aiuto”: e ti riconosci, ti specchi in queste parole che risuonano fin troppo familiari. Togli le cuffie, e sorridi.
Le sonorità di questo pezzo si ispirano alla bossa nova. Come è nato l’interesse verso questo genere?
La bellezza della Bossa Nova è il suo binomio di leggerezza e malinconia sempre presenti. “Chega de Saudade” di João Gilberto è la perfetta rappresentazione di come questo genere nasce per lasciare tante sfumature a livello linguistico e musicale. Il titolo significa “basta con la malinconia”, ma la parola “saudade” presenta un ampio spettro di significati: nostalgia, desiderio e vuoto per qualcosa o qualcuno che è distante nel tempo o nello spazio, sia nel passato che nel presente. Trovo magnifico tutto lo scenario, e la lingua stessa è di una bellezza travolgente, una delle più musicali che ci sia nel mondo a mio parere.
Cosa puoi dirci invece sul concept visivo di “Dignità Rubata”? La copertina è molto suggestiva, cosa vuole rappresentare?
Il concept nasce dall’analisi della canzone stessa: la musica ha spesso una rappresentazione visiva già ben definita dentro di se che sta solo aspettando di essere realizzata. Il velo che mi copre crea un filtro con la realtà, suggerisce di non soffermarsi alle apparenze, di approfondire i legami che si costruiscono nella vita. L’imponenza delle colonne ha quella maestosità, quel senso di stabilità ed equilibrio a cui la maggior parte di noi aspira. Personalmente, adoro il loro simbolismo spirituale, questa connessione tra cielo e terra, che mi fa sperare che chiunque ci abbia lasciato in questa vita sia ancora con noi.
Ascolta il singolo di Chiara Filomeni
Parliamo di musica dal vivo: qual è il più bel concerto a cui hai assistito?
Difficile sceglierne uno, dato che ogni artista che ho ascoltato dal vivo mi ha sempre catturato con diversi aspetti della performance.
Musicalmente parlando, forse quello degli Hello Darlins in una piccola venue londinese: sono un gruppo di session musicians canadesi che hanno deciso di formare questo gruppo, e sentirli dal vivo è stato magico! Mi è quasi sembrato che la musica venisse da un disco anziché essere suonata live, ma rimanendo estremamente espressivi e con dei soli di organo pazzeschi! Visivamente parlando, ho adorato i Coldplay con i loro giochi di luce tra il pubblico: eravamo tutti delle piccole stelle connesse da una passione comune. Però come non menzionare la mia amata Beyoncé? Ho pianto prima ancora che cominciasse il concerto. E poi Florence and The Machine, Lana Del Rey.. insomma, come ho già detto, molto difficile, se non impossibile, scegliere il più bello.
Qual è invece il ricordo più vivido di un tuo live?
Il palco è il mio posto, è casa. Adoro la sensazione di essere di fronte ad un pubblico, l’emozione di condividere una parte di me con chi mi ascolta. Il ricordo più vivido è probabilmente quello di qualche mese fa in cui mi sono trovata a poter parlare delle mie canzoni molto apertamente, con persone che si trovavano lì per il piacere di ascoltare musica nuova. Quella sera, gli ascoltatori cantavano la mia canzone dopo il primo ritornello, e vedere che dal primo momento chi ti ascolta è coinvolto, è l’apice di ogni artista.
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