Diamanda Galas, la musica è donna. Anche la paura è donna. Quella del buio e di essere abbandonati. Questa è una storia che parte da San Diego ed arriva sulle coste del Mediterraneo approdando nella poesia di Baudelaire, nella critica di Pasolini, nella filosofia di Nietzsche e nella musica di Beethoven. Più vicina a Demetrio Stratos che a Lady Gaga. Signore e signori: Diamanda Galas
Diamanda Galás è una stella. Che ancora non vediamo perché lontana anni luce. Un giorno la vedremo, più brillante che mai. Diamanda è una galas(sia). Nessuno più e prima di lei è riuscito a portare lo strumento naturale per eccellenza, la voce, verso mondi sì ignoti, sì conturbanti. Nessuno più e prima di lei ha saputo realizzare un linguaggio vocale-musicale tanto eclettico, di così ampio respiro, per un così alto numero di opere.
E’ nata una stella: Diamanda Galás
Nasce a San Diego nel 1955 Diamanda Galás. Il padre è originario di Smirne, la madre di Sparta. Il padre la incoraggia a suonare il pianoforte ma le proibisce di cantare perché, dice, solo gli idioti e le puttane lo fanno. A 14 anni già suona con l’Orchestra Sinfonica di San Diego. Oltre al cantare il padre le proibisce azioni banali, come guardare la tv, ascoltare la radio, portare amici a casa, avere appuntamenti, indossare un bikini. Sua valvola di sfogo diviene la lettura di libri. Di Nietzsche, di Baudelaire, di Pasolini, di Poe, di De Sade. La libertà la trova durante gli anni universitari. Trasgressione, uso di droghe, spregiudicatezze sessuali. È in questo periodo che scopre le sue straordinarie capacità vocali.
I primi esperimenti li compie in camere anecoiche, per avere totale libertà espressiva e per impedire che qualcuno possa limitare o censurare tutto ciò che le passava per la testa. Inizia a collaborare con jazzisti d’avanguardia come David Murray, Butch Morris e Mark Dresser e riceve, inaspettata, una richiesta da parte del Living Theatre di esibirsi in ospedali psichiatrici.
Di Diamanda si comincia a parlare, nei soliti ambienti underground. Si esibisce al Festival d’Avignone del 1979, accettando la proposta del compositore Vinko Gmobokar di interpretare il ruolo di protagonista nell’opera Un Jour Comme Un Autre, basata sui report di Amnesty International sull’arresto e le torture subite dalle donne turche.
La Galás comincia a girare l’Europa per i festival proponendo le sue composizioni, che vengono accolte con clamore.
Diamanda Galàs brilla di luce propria
Il 1982 è l’anno dell’esordio discografico per Diamanda Galas. The Litanies Of Satan è formato da due lunghe composizioni per voce ed elettronica e diventerà immediatamente il manifesto della sua arte, nonché il suo progetto più compiuto. È anche il primo capitolo di una ipotetica. Ad aprire il disco è Wild Women With Steak-Knives (The Homicidal Love Song For Solo Scream), senza dubbio alcuno il brano più scioccante e straziante della storia della musica occidentale, saggio di depravazione, colonna sonora di snuff movies, inventario delle più disparate disfunzioni vocali. Lo spettro vocale è impressionante. Si passa dall’urlo all’acuto sopranile, dalla declamazione psicotica al gargarismo, dalla vocalità convulsa al silenzio.
L’originalità del pezzo sta anche nella sua totale assenza di accompagnamento strumentale: la voce è assoluta ed unica protagonista dei 12 minuti di durata del pezzo.
Dolore, sofferenza, umiliazione, sia fisica che psicologica, sono al centro della poetica della cantante: è sua intenzione dare voce a coloro che non hanno diritto ad esprimersi. I reietti, gli sconfitti, gli abbattuti, i feriti. Nella title track Diamanda indossa di Ecate, sacerdotessa della notte. Dal marasma caotico di deliri strazianti predica con enfasi versi esoterici di Baudelaire “O Satan, prends pitié de ma longue misère!”. Una cerimonia pagana di purificazione che, abbracciando il pensiero dei flagellanti medievali, sembra vedere come traguardo da raggiungere attraverso un iter di dolore e sofferenza.
Il secondo album, Diamanda Galás (1984), ricalca il modus operandi dell’esordio. Qui però c’è un maggior interesse per questioni politiche e una maggior enfasi nell’uso degli strumenti nei due brani. “Panoptikon”, nome del carcere ideale che Jeremy Bentham progettò nel 1791 e alla cui base stava l’idea che un’unica sentinella potesse controllare la totalità dei detenuti nello stesso istante è una fragorosa esplosione radioattiva dove la voce viene sempre più distorta elettronicamente. È un inno alla libertà, molto più parlato rispetto ai due pezzi di Litanies, dove la voce, non esente da diversi tour de force di epilettiche raffiche di bestemmie animalesche, viene immersa in suoni metallici e tagliente. In Tragouthia Apo To Aima Exoun Fonos (Song From The Blood of Those Murdered), brano live del 1981 dedicato alle vittime greche della Dittatura dei colonnelli, la voce è padrona assoluta. Con questo brano la cantante mette a tacere i detrattori farfallini che la considerano una cantante lirica fallita capace solo di urlare farneticazioni. Autentico muro del pianto Tragouthia è una sinfonia vocale di superbo spessore emotivo, un lamento polifonico che dà voce alle anime dei morti, un j’accuse ancora più sconvolgente, dei deliri free-form sbraitati a velocità folle. La voce della Galás è bella, calma, alta. Ascoltando il pezzo, sembra quasi di essere toccati dalle mani degli spiriti delle vittime.
Il 1986 è un anno fondamentale. Muore di Aids il suo amato fratello, il drammaturgo Philip-Dimitri, e nasce il suo nuovo progetto per tre dischi, Masque Of The Red Death, che proprio sull’Aids e sulle sue vittime è incentrato. Il primo capitolo è The Divine Punishment, di anello di congiunzione tra le due trilogie, quella della fase sperimentale per voce ed elettronica e questa, molto più teatrale. In Deliver From My Enemies, brano diviso in più sezioni, rivisita alcuni estratti delle Sacre Scritture. Nella prima parte, This Is The Law Of The Plague, i tamburi, i cori oscuri e la voce accusatoria della cantante non lasciano scampo. Dopodiché riprende l’uso della voce sfoggiato in Tragouthia, lacerato e lacerante, sofferto, introspettivo e incriminatorio. In Psalm 22 raggiunge una disperazione senza limiti, come se avesse colto la consapevolezza della fine senza ritorno.
Il secondo brano, Free Among The Dead, anch’esso suddiviso in più sezioni, è forse il suo capolavoro esoterico, un caleidoscopio di linguacce e declamazioni contro la religione: cadenzato da rintocchi roboanti di pianoforte e stridii elettronici, il pezzo vede Diamanda Galás nuovamente recitare estratti dei Testi Sacri misti a brani scritti dall’artista stessa.
Apice del disco è il finale, Sono L’Antichristo, dove la Galás, più sguaiata che mai, si professa in italiano l’Angelo Caduto in persona. Questo disco ha dato vita a una delle accuse più facili e superficiali alla musica di Diamanda Galás: quella di satanismo. L’artista, agnostica dichiarata, in realtà non si è mai minimamente accostata alle ideologie e ai culti satanici; la sua è una critica di matrice nietzschiana nei confronti della religione cristiana in quanto istituzione: ne è prova palese la scelta di rivelarsi il Demonio in italiano, la lingua della sede del Cristianesimo. Per lei Dio e Satana non sono altro che meri concetti fatti propri da una organizzazione oscurantista.
La luce di Diamanda Galás giunge sino a noi
Nello stesso anno esce il secondo capitolo della trilogia, Saint Of The Pit, album che, segna un cambiamento nella musica della Galás: abbandonate le declamazioni psico-elettroniche, la musicista passa a una più convenzionale musica gotica. Il disco si apre con il brano strumentale La Trezième Revient, in cui l’organo suggerisce una melodia oscura, ipnotica, ammaliante. In L’Heautontimioroumenos, uno dei pezzi più atipici e interessanti del disco, la Galás diventa sirena che con voce sinuosa ammicca all’ascoltatore e lo conquista per poi rivelare le sue fattezze mostruose.
Artémis anticipa quello che predominerà nel secondo periodo della sua carriera. Un consistente uso del pianoforte classico e di una voce più sopranile che psicanalitica, più narrativa che espressiva. La traccia conclusiva Cris D’Aveugle è il brano che sancisce la fine del primo periodo della carriera della Galás: per l’ultima volta la cantante incarna la voce del Demonio. 12 minuti di grandissima intensità, tra cori medievali, stridi allucinati, evocazioni esoteriche, tempeste di tamburi. Saint Of The Pit, è un album di buona qualità, ma mostra i primi segni di stanchezza.
Dopo due anni da alle stampe You Must Be Certain Of The Devil, capitolo finale della trilogia dove Diamanda Galás vira definitivamente verso il formato-canzone, con esiti spesso sconfortanti. Sconforta il noioso assolo canoro di Swing Low Sweet Chariot e The Lord Is My Shepherd, sconforta l’improbabile gothic rock di Double-Barrel Prayer e Malediction. Imbarazzante il soul della title track e la mediocre preghiera su pianoforte di Let My People Go. Più che rappresentare un’evoluzione, questo album sembra essere uno sterile e inspiegabile tentativo di rendere digeribile una musica che è geneticamente è indigesta, e proprio in questa condizione sta la sua grandezza
Nel 1991 esce il live Plague Mass (1984 – End Of The Epidemic), probabilemente il disco della Galás più famoso e amato.
Iin quel periodo l’immagine pubblica della musicista sta diventando sempre più controversa: nel 1989 viene arrestata durante una dimostrazione presso la cattedrale di St. Patrick a New York contro il cardinale O’Connor il quale, secondo il gruppo, stava attuando una guerra contro le persone malate di Aids. L’anno dopo, in seguito alla sua esibizione a Palazzo Medici in occasione del Festival Delle Colline, l’artista viene ferocemente criticata da stampa e governo italiani, soprattutto per il famigerato brano Sono L’Antichristo.
Il disco è in tutto e per tutto la più imponente apologia nei confronti delle vittime dell’Aids mai realizzata, apologia che sfocia nella più sincera compassione e nell’attacco violento verso i nemici delle vittime: sopra ogni cosa i pregiudizi e la Chiesa. Se da un punto di vista musicale non è al livello dei primi dischi, Plague Mass è il capolavoro a livello comunicativo di Diamanda Galás. Grazie a questo disco la Galás diviene una star del panorama underground, molto richiesta dai registi per i film horror (The Serpent And The Rainbow di Craven e Bram Stoker’s Dracula di Coppola sono le sue collaborazioni più memorabili).
Il disco successivo, The Singer, del 1992, ritorna a livelli piuttosto mediocri. L’involuzione musicale è preoccupante. Sempre più affascinata dall’uso di cover di pezzi blues, gospel, jazz e traditional, solo l’ultimo, The Judgement Day, porta la sua firma. Album di scarso interesse per il semplice fatto che è una collana di interpretazioni di pezzi di altri artisti che per di più hanno ben poco a che fare con la musica della cantante.
Le cose migliorano l’anno successivo con Vena Cava, nuovo progetto live in cui si ritorna alla ricerca dell’origine del dolore. Tratto dai testi scritti dal fratello Philip-Dimitri durante la malattia e imperniato sulla malattia mentale e sulle orribili cause dell’Aids.
L’implosione
Nel 1994 esce The Sporting Life, in collaborazione con John Paul Jones, ex bassista dei Led Zeppelin. Visto l’esito finale si potrebbe benissimo parlare di un album di Jones, dove Diamanda Galás presta la voce. Un lavoro quasi imbarazzante, realizzato con suoni stereotipati e soporiferi sui quale persino la Galás si addormenta, tanto che la sua voce assomiglia ad una improvvisata cantante metal.
Nello stesso anno realizza un altro progetto, un lavoro per la radio che ha come tema la tortura, psicologica e fisica: Schrei 27. Pubblicato solo due anni dopo, nel 1996, con un ampliamento live e un titolo leggermente diverso (Schrei X), Schrei 27 è esattamente ciò che indica il titolo, 27 minuti di puri latrati, l’Urlo in tutta la sua sovranità.
L’opera vede un ritorno ai codici del passato in cui viene ripreso lo scarno uso della voce supportato da minimale sibilio elettronico. Voce ed elettronica vengono qui usate, anziché in grandiose cavalcate, in brevissime stilettate di inaudita violenza. Ad eccezione dell’ultimo pezzo, i brani non superano i due minuti di durata. Ideale inno ai manicomi e ai campi di concentramento, il disco il più spaventoso, il più oscuro, il più folle dei suoi lavori.
Se in tutta la carriera ha sempre dato primaria importanza al messaggio, in Schrei 27 la Galás sembra dimenticarsene. Nell’ultimo pezzo, della durata di oltre 7 minuti, la Galás, non fa altro che ripetere “ok” ed emettere risate.
Gli ultimi dieci anni discografici hanno visto un pieno e definitivo ritorno alle origini musicali di Diamanda Galás, ovvero al mondo del blues, del gospel e del jazz. Ritorno che coincide con un crollo artistico totale: Malediction & Prayer, La Serpenta Canta, Defixiones,Will And Testament e il recente Guilty Guilty Guilty non sono altro che noiosi e ripetitivi album live, composti da cover. Curiosi, certo non affascinanti come quelli che abbiamo tentato di descrivervi.
Guarda il video di Diamanda Galás The Litanies of Satan
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