INTERVISTA | Entropia: viaggi nello spazio dell’ambient

Attivi da metà anni Novanta, gli Entropia hanno appena pubblicato Tales from Oumuamua, nuovo album ambient tutto incentrato sulle dinamiche dei viaggi spaziali. Abbiamo rivolto loro qualche domanda.

Ciao Entropia e ben trovati. Cosa vuol dire fare musica ambient nel 2021?
E’ un compito difficilissimo, ogni mese escono decine e decine di produzioni ascrivibili a questo genere e si tratta di un’area musicale che contiene ormai migliaia di artisti. Dopo l’esplosione della musica elettronica post-techno a fine anni ’80 il perimetro “ambient” si è allargato enormemente e sono stati registrati album divenuti iconici del genere, dopo quelli pionieristici di Brian Eno, pensiamo a dischi come “Selected Ambient Works vol.2” di Aphex Twin una vera pietra miliare.
E’ quindi molto difficile muoversi in un territorio del genere ed è necessario lavorare sul linguaggio in modo originale per evitare omologazioni.

Il vostro progetto è in piedi da molto tempo. Ci sono state fasi complicate oppure fin qui avete avuto un percorso “stabile”?
Le complicazioni nel tempo ci sono state, abbiamo percorso varie fasi e collaborato con numerosi artisti. La nostra idea era quella di confrontare il suono tecnologico anche l’approccio di autori e musicisti di altri generi per dare luogo a delle contaminazioni oppure di affrontare materiali poco consueti, come la colonna sonora italiana degli anni ‘70 piuttosto che il canto armonico, creando dei ponti fra generi utilizzando l’elettronica come centro gravitazionale.

Siete arrivati al nuovo disco che si intitola Tales from Oumuamua. Ci raccontate come nasce?
Nasce dalla volontà di tornare a produrre un disco completamente elettronico anche se per la maggior parte suonato manualmente. Solitamente i nostri lavori si muovono attorno ad un concept tematico-sonoro che indirizza il lavoro, spesso abbiamo musicato materiale visivo ad esempio.
In questo caso l’idea di base è stata lavorare brani dilatati senza particolari costrizioni formali e di struttura utilizzando frammenti sonori di varia provenienza, cercando di elaborare un lessico concreto e ex novo.

Le ispirazioni arrivano da fantascienza ed esplorazioni spaziali. Quali sono gli autori di fantascienza che vi piacciono di più?
Avendo una certa età siamo grandissimi ammiratori di Philip K. Dick ben prima che il cinema attirasse l’attenzione sul suo lavoro.
Poi sicuramente ci piacciono gli approcci sociologici alla fantascienza come quelli di J.G. Ballard, Robert Sheckley, Ursula Le Guin, Ray Bradbury e William Gibson.
Ovviamente fanno parte del nostro background anche prodotti di natura cinematografica come Solaris, Planet of the Apes (1968), 2001 Odissea Nello Spazio, Blade Runner, Alien, Interstellar, Arrival e naturalmente la saga di Star Trek.

Avete incluso la voce di Samantha Cristoforetti in un brano. Come avete avuto l’idea?
L’immaginario spaziale ha sempre attinto alle voci degli astronauti.
I campionamenti degli astronauti americani sono presenti ormai in migliaia di dischi, sono ormai un elemento sonoro abbastanza scontato e prevedibile.
Volevamo utilizzare un processamento granulare di campioni vocali di provenienza “spaziale” senza ricorrere a un elemento così inflazionato e abbiamo pensato a una visione diversa.
Innanzi tutto ci piaceva l’idea di una donna per scardinare questa visione permanentemente maschile degli astronauti e alimentare un nuovo stereotipo.
Una donna, inoltre, che è riuscita a divenire iconica anche nello spazio mediatico attraverso le sue popolari corrispondenze dalla stazione spaziale internazionale e il suo lavoro di divulgatrice.
Ci piaceva l’idea che la voce non parlasse in inglese, altro stereotipo troppo sfruttato, ma in italiano, un elemento linguistico nuovo dell’immaginario spaziale. Gli europei e i cinesi saranno i protagonisti del futuro dello spazio che non sarà solo prerogativa di russi e americani.

Se doveste spedire in orbita un disco (e solo uno) per entrare in contatto con gli alieni, quale scegliereste? Non vale il vostro!
Per entrare in contatto con una civiltà aliena dovremmo evitare innanzi tutto le canzoni, già sulla terra fra una nazione e l’altra le lingue non vengono comprese, figuriamoci con gli extraterrestri.
Probabilmente sarebbe da evitare anche il sistema tonale, troppo legato ai modelli sonori occidentali, quindi una musica senza melodie o armonie consuete. Come Jodie Foster su “Contact” sceglieremmo la matematica come linguaggio universale e nelle sue simmetrie geometriche e per l’assonanza del nome indichiamo “Kontakte” di Karlheinz Stockhausen.

Avete già idee sul prossimo materiale da pubblicare? Sempre in orbita o tornerete sulla Terra?
In realtà abbiamo già pronti due e.p. in uscita entro l’anno. Uno con la vocalist Laura Desideri e l’altro che conterrà quattro brani scritti per questo album ma che, per motivi di spazio, non abbiamo potuto inserire e che usciranno in vinile.
I quattro brani “vocali” sono delle vere e proprie songs elettroniche, un territorio che esploriamo da tempo. Abbiamo pubblicato nel 2020 un altro e.p. con un’altra vocalist, Vera di Lecce e anche in questo caso abbiamo cercato di realizzare dei brani con strutture formali poco consuete, molto dilatate e che non tengono conto della forma canzone. Il lavoro con Laura Desideri avrà analoga connotazione, tenta di deformare le strutture della musica cantata sfruttando l’indeterminatezza strutturale permessa dall’impiego di un’elettronica molto aerea e ambientale.

Ascolta Tales fron Oumuamua il disco degli Entropia su Spotify

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