INTERVISTA | Evocante, “Di Questi Tempi”: tra rock e cantautorato

Si intitola Di Questi Tempi il disco d’esordio di Evocante, pseudonimo di Vincenzo Greco. Un progetto al di fuori delle etichette che fonde il rock con il cantautorato, la psichedelia e sonorità sperimentali. Ecco come è nata questa nuova avventura musicale.

Ciao Vincenzo (Evocante) e bentrovato. Parliamo subito del tuo disco d’esordio intitolato Di Questi Tempi. Per prima cosa vuoi raccontarci come nasce questo tuo progetto?

Faccio musica da oltre trent’anni ma, tranne quel che metto sul mio profilo YouTube, non ho mai pubblicato qualcosa di più duraturo e stabile. Tra tante canzoni che potevo incidere, ho scelto di partire da quelle che raccontano i nostri tempi, soprattutto considerato il fatto che in gran parte della musica quasi tutti sembrano essere ripiegati sul privato e raccontano storie personali. Qualcuno doveva pur prendersi la briga di raccontare i tempi che stiamo vivendo.

Un disco a metà tra il rock e il cantautorato. Ce lo vuoi descrivere brevemente?

Effettivamente è un disco che riassume le mie molte anime, quella cantautorale, che è stato l’imprinting, quella rock, che in questi ultimi anni è andata sempre più crescendo, e persino quella sperimentale, che ogni tanto fa capolino, di pari passo con quella elettronica. Credo che la mia principale caratteristica sia una certa poliedricità, nascente dal fatto di non volermi ingabbiare in un solo genere o in uno schema prefissato. E il disco sembra darne conferma, a quanto vedo dai commenti che ho raccolto. Del resto, io credo in una sola distinzione, quella tra musica buona e musica cattiva. I generi sono etichette che possono dare una idea ma, proprio come accade con i vestiti, poi li devi indossare, portare in giro, farli tuoi, abbinare con altre vesti. 

Il titolo del disco Di Questi Tempi già ci fa capire l’indirizzo che hanno preso i testi e soprattutto i contenuti. Ce ne vuoi parlare in sintesi?

Noto sempre più una spersonalizzazione dei rapporti, un dedicarsi a cose effimere e superflue, spesso coincidenti con una esigenza tutta e solo esteriore, che sia la ricerca del denaro, del potere, della visibilità. Ma del nostro più profondo essere ed esserci non si parla mai, quasi a sfuggirlo, ci si vergogna quasi, forse perché non si sa bene che dire. Tempi di estreme categorizzazioni e banalità, di slogan vuoti, buoni solo per un attimo. Lo stesso tempo si è ormai ridotto a una successione di momenti isolati, non è più un processo, un percorso, ma solo una sommatoria di istanti, in cui siamo chiamati a prendere decisioni senza rifletterci su perché, come provocatoriamente dice una canzone dell’album, “non c’è più tempo”. Tutto ciò fa vivere una vita insapore, seriale, senza gioia e senza stupore. L’informatica ci ha facilitato tante cose, e ci avrebbe anche regalato tempo in più, ma questo tempo guadagnato lo stiamo sprecando, paradossalmente appresso alle distorsioni informatiche.  Le canzoni dell’album affrontano questi temi, con testi comunque brevi, appunto evocanti.

Evocante invece, il tuo nome d’arte da cosa deriva e soprattutto come è nato?

Anni fa su un libro di filosofia lessi una cosa che mi colpì sulla distinzione tra nomi numerici, che come i numeri non esprimono nulla di più di quel che dicono, e nomi evocanti che invece, per il potere magico della parola, esprimono molto più di un solo riferimento. Pensa a parole come “celeste”, “elettrico”, “arcobaleno”, ma anche “diritto”, “giusto e sbagliato”, “orizzonte”, “orizzonte degli eventi”. Ma ce ne sono a migliaia. Sono parole che nella mente di ognuno di noi scatenano tutta una serie di riferimenti, rimandi, intuizioni, ricordi tali per cui in una sola parola può contenere tutta una storia, una sensazione, una paura, un piacere. 

Io presto molta attenzione alle parole, e la stessa musica la costruisco per evocare qualcosa che sta dentro chi ascolta. Molti mi hanno detto che una canzone come “Salvami” o “Di questi tempi” o “Non c’è più tempo” sembrano parlare di loro. Quando, ascoltando una canzone, ti pare che chi l’ha scritta stia parlando di te vuol dire che l’autore è arrivato al cuore di quella persona. Sono queste le canzoni che funzionano e che durano nel tempo.

Parliamo ora del tuo percorso artistico e musicale. Come ti sei avvicinato invece alla musica?

La musica è nella mia famiglia paterna da molte generazioni. Ho una sfilza di antenati che sono stati musicisti e direttori d’orchestra. Mio padre non lo era ma era un grande ascoltatore di musica classica. Io ho fatto il salto e sono passato al rock. Ma ascolto anche io molta musica classica, ora forse più di quella leggera. La prima esperienza musicale fu in prima media, scrivevo piccole composizioni per flauto, all’epoca si suonavo quello strumento terribile che fischiava da tutte le parti e che poco aveva a che fare con il vero flauto.

La professoressa le faceva suonare a tutta la classe. Per me fu una emozione forte, oltre che una soddisfazione. Sentire la mia musica suonata da tutti. Si, i flauti non suonavano granché bene, ma le note erano quelle, era pur sempre la mia musica. Poi è stato tutto un crescendo, prima la chitarra, in tutte le sue tipologie, poi il pianoforte, e tutte le sonorità elettroniche legate alle tastiere e ai sintetizzatori. I primi gruppi rock, l’esperienza al Folkstudio e poi tanti concerti in giro per locali di ogni tipo. 

Ricercatore, Professore Universitario e anche musicista a questo punto. Come convivono queste anime di Evocante?

Perfettamente. Lo stimolo è sempre lo stesso: andare alla ricerca di qualcosa. Non a caso la mia prima musicassetta, che incisi con un registratore quattro piste, si intitolava “Alla ricerca”.Con la musica si cerca. Prima se stessi, e poi gli altri. E’ sempre comunicazione, esigenza di raccontare ed esprimere, a se stessi o ad altri, emozioni, storie, dettagli eccetera.

La ricerca universitaria e l’insegnamento nascono per lo stesso motivo: trasmettere a qualcuno qualcosa che hai dentro, confrontandosi, e quindi avvicinandosi alla verità. Che non è mai data del tutto, essendo un percorso. Un percorso fatto di parole, come di suoni, e anche di silenzi. Da soli si può fare molta strada, ma il confronto con gli altri è necessario: e gli altri li trovi nei libri, nelle musiche, sugli schermi dei cinema, sui palchi dei teatri ma anche nelle aule universitarie. 

Ascolta il disco Di questi Tempi di Evocante su Spotify

Per quanto riguarda il futuro di Evocante, invece, hai qualche novità di cui ci vuoi parlare?

Per prima cosa, segnalo che farò, con il gruppo che pure si chiama Evocante, un po’ di concerti. La prima data, 14 maggio, al B-Folk di Roma, è andata sold out già quattro settimane prima e quindi ne abbiamo aggiunta un’altra, che in realtà è la sera prima, il 13 maggio. E siete tutti invitati. Sulla pagina Facebook, Instagram, Twitter e Rockit di Evocante, comunque, trovate tutte le informazioni sui nostri concerti futuri.

Poi, seguirà un altro disco con le mie canzoni più risalenti cui voglio dare sistemazione, e sicuramente qualcuna nuova che già ho scritto, tra cui una con la quale partecipiamo nella sezione emergenti di “Voci per la libertà”, premio musicale indetto ogni anno da Amnesty International. 

Si intitola Troppo/poco e, indipendentemente da come sarà giudicata dalla giuria di Amnesty, uscirà presto come singolo. In questa canzone faccio parlare in prima persona quel bambino trovato annegato con la pagella cucita sui pantaloni. Ogni volta che la canto è una forte emozione per me, anche perché mi riporta immediatamente a qualche anno fa quando per lavoro, essendo anche un dirigente del Viminale, ai tempi in cui lavoravo alla prefettura di Roma mi è capitato di avere a che fare con i centri per l’immigrazione. E lì dentro ho visto realtà e sentito storie che i tanti soloni dalla bocca sazia che parlano sul tema neppure possono immaginare. 

Quel bambino morto annegato con la sua pagella mi ha squarciato l’anima. Non potendo ridargli la vita che meritava anche lui di vivere, e che un destino baro e una società cinica e ingiusta gli hanno tolto, gli ho almeno ridato la parola per i pochi minuti di una canzone. Spero si percepisca tutta la rabbia per chi, utilizzo le parole della canzone, “si indigna per un rigore non visto dal Var” e contemporaneamente si volta dall’altra parte davanti a tragedie umane, sociali ed epocali come queste. 

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