INTERVISTA | Fab (e i fiori): un bel pop minimale

Si intitola Nonmiscordardite ed è l’esordio di Fab E i fiori che ci propongono un disco di bel pop minimale…

Fab E i fiori con Nonmiscordardite ci propongono un disco di bel pop minimale. Acustico di pochi strumenti, ma con grinta e carattere e senza mettere a dieta di certo la composizione e i suoi obiettivi. Un quartetto tutto romagnolo che non prevede elettricità e digitalizzazione, che sviluppano i titoli tra le parentesi e che raccontano in 13 tracce il difficile rapporto tra i sessi, in questo momento sociale di perenne crisi e tiepide speranze. Ovviamente il tutto a passo coi tempi e con le problematiche del contesto attuale. L’intervista per gli amici del Blog Della Musica.

FAB E I FIORI: ovvio partire da questo nome. Da dove viene?
Bè, Fab sono io, e fin qui non ci piove. Sui fiori invece ci possono essere due versioni alternative. Una è più tradizionale e prevede che i fiori siano i miei compagni suonatori: quindi abbiamo la calla-Antonio al violoncello, il sambuco selvatico-Libero alla chitarra elettrica, il glicine-Filippo al piano. E in questo caso io faccio la parte del girasole-Fabrizio. La seconda versione, più intimistica, prevede che i fiori siano invece le canzoni stesse: perchè “le canzoni son come i fiori / nascon da sole e sono come i sogni / e a noi non resta che scriverle in fretta / perchè poi svaniscono / e non si ricordano più”.

Nonmiscordardite. Titolo assolutamente accattivante. Come mai questo gioco di parole?
Nasce tutto dal fiore “nontiscordardimè”, che ha un nome che si perde nella leggenda: in inglese si chiama “forget-me-not”, in francese è “ne-m’oubliez-pas”, ed è il simbolo del non essere dimenticati, quasi un fiore-promemoria, e fin da piccolo m’è sempre piaciuta questa cosa. Ho semplicemente invertito i destinatari mantenendo lo stesso concetto: al posto di “non ti scordar di me” è diventato “non mi scordar di te”, perché tutte le canzoni rappresentano (anche) un vero e proprio promemoria emotivo che mi impedisce di dimenticare chi e cosa ci finisce dentro. E la stessa cosa succede anche agli ascoltatori, che inevitabilmente associano una canzone o un disco a determinate persone, situazioni, periodi ben precisi, e riascoltando a distanza di tempo ci ritorna addosso tutto quell’insieme di cose. Così questo “monito” a non dimenticare mi è sembrato azzeccato per intitolarci tutto un album che è a tutti gli effetti una sorta di concept-album sui rapporti di coppia e sul tempo che li stravolge.

Ascoltando il vostro disco e guardando il video mi viene da pensare a “Il magico mondo di Amelie”. Quanto sono andata lontana?
Mi fa piacere che tu abbia pensato a un film! Mi piace che le canzoni abbiano uno stile testuale molto cinematografico, d’altronde a lezione di “testi-cinema” sono andato da due maestri come Ivan Graziani e Paolo Conte che riuscivano a far respirare proprio una sorta di scenografia cinematografica, nei testi delle canzoni a metà fra narrazione e descrizione, creando un mondo visivo fantastico e immediato dentro i pezzi. “Il favoloso mondo di Amélie”, anche se non è propriamente fra le cose a cui ci siamo ispirati, ha sicuramente una fotografia eccezionale, e quell’attenzione assoluta verso i particolari e le piccole cose è certamente anche un nostro tratto importante, soprattutto nel videoclip di “Pose (la regina del telefono)” dove abbiamo fatto prendere forma al testo della canzone in maniera molto giocosa, quasi infantile. Mentre, a livello concettuale, un personaggio come quella simpatica e romantica disadattata di Amélie starebbe benissimo nella prima metà del nostro album. Nella seconda metà invece, dove le storie di fanno più truci e succulente, mi immagino personaggi da film di Sergio Leone o Fernando Di Leo, più noir.

Si respira anche un andamento latino, mexicano. Soprattutto sul finire del disco. Sbaglio? E con l’occasione cito il brano “Spara (la canzone più tragica che c’è)”.
Non sbagli! Siamo molto appassionati di musica gitana, ispanica, flamenco, e anche di tutto il mondo sudamericano, bossanova, tango, salsa. La passione ritmica che viene da quel tipo di musica è ineguagliabile, per non parlare delle sonorità: caldissime, piene di tensione espressiva. Da lì viene anche tutto l’apporto percussivo che c’è nel disco (shakers, ovetti, zoccoli, cajon, maracas…), che usiamo massicciamente soprattutto nei live per infuocare un po’ le canzoni. E “Spara” è un brano che rappresenta benissimo tutto questo mondo ispanico-sudamericano-romagnolo che ci siamo creati! E’ anche una delle mie preferite in assoluto.

Essere emergenti ora. Essere una band ora. Che Italia discografica vi trovate davanti?
La discografia vista da qui è una giungla pericolosa, buia e affollatissima. Noi siamo sotto una piccolissima etichetta e cerchiamo di fare del nostro meglio per diffondere questa proposta musicale che pensiamo possa avere un proprio spazio nel safari attuale. Abbiamo notato che è da tempo che il cosiddetto mainstream non produce quasi nulla di nuovo in termini di pop e di nazional-popolare: escludendo i prodotti della De Filippi e simili, in classifica ci sono gli stessi grandi nomi da dieci anni, anche quando producono album oggettivamente orrendi, come se a decidere il successo di un album fosse lo stesso soggetto che lo produce e il pubblico non avesse più voce in capitolo. Oltretutto c’è anche un’uniformità sonora e stilistica imbarazzante: mi chiedo come si possa non sprofondare nella noia assoluta a sentire 10 canzoni per radio tutte con gli stessi suoni e gli stessi arrangiamenti. Non so bene a cosa attribuire la colpa, ma è innegabile che ci sia stato proprio un crollo assoluto del concetto di nazional-popolare che un tempo coincideva con il rendere accessibile al popolo un prodotto di qualità, una sorta di arte semplice ma non meno profonda, e per questo complessissima da creare: se penso che gli artisti più venduti in classifica nel 1980-81 erano Battisti e Dalla, ammetto che guardando al presente un po’ prende male. Probabilmente oggi quegli artisti, se fossero emergenti, non verrebbero nemmeno notati. Se poi ci aggiungi che ultimamente (come dice Filippo, il nostro pianista) molta gente non vuole più ascoltare davvero la musica, ma solo vederla, magari nei programmi tv tipo gara dell’ugola d’oro che si spacciano per scopritori di talenti, il quadro diventa tragico. Ma a differenza di molti altri artisti emergenti o già emersi, io non credo che esista musica di serie A e musica di serie B, e di conseguenza un pubblico “dignitoso” e uno ignorante. Questo snobismo di puntare sempre il dito mi repelle, questa spocchia nei confronti degli artisti in cui si riconoscono le grandi masse è patetica proprio perché presuntuosa e inutile. L’unica cosa che dovrebbe contare – se fai canzoni – è emozionare le persone. Se migliaia di persone si emozionano con un prodotto che a me fa venire il vomito non è affar mio: noi nel nostro piccolo puntiamo a emozionare con le canzoni ed entusiasmare coi concerti. Più che sprecare tempo e soldi per fare audizioni nei talent-show preferiamo fare concerti anche davanti a pochissime persone in un bar lurido. Ci viene naturale e lo facciamo sempre con tanta serena determinazione, ben consapevoli delle difficoltà e dei muri contro cui potremmo andare a sbattere. Seminiamo questo pop romagnolo floreale e sanguigno, e poi staremo a vedere se riusciamo a portare a casa qualche frutto.

Un disco minimale ma non “acustico”. Pochi strumenti, pochi arrangiamenti, il gusto di sagomare le cose con semplicità. Una soluzione inseguita come obiettivo o frutto delle risorse a disposizione?
Un insieme delle due. Detto molto sinceramente: i tempi erano propizi per un primo album, ma il denaro scarseggiava. Quindi abbiamo cercato di dare il massimo con quello che avevamo senza scadere nel solito lavoro tirato via. E’ pieno di artisti cosiddetti indie che fanno album suonati, arrangiati e registrati malissimo e spacciano questa mancanza di cura (e di rispetto per l’ascoltatore) come una scelta: è un po’ come dire di essere scapoli per scelta (altrui). Noi abbiamo pensato a quali erano le cose che la mancanza di fondi non poteva intaccare: la sincerità espressiva e la forza delle canzoni in sè. E abbiamo puntato tutto su quello, con arrangiamenti mirati, e registrando tutto in presa diretta, concentrati e sudatissimi. In questo modo siamo certi che il nostro disco non suonerà mai come altri venti dischi in commercio, ma solo come il nostro disco. Spesso è proprio dalla mancanza di qualcosa che si trova il modo più efficace per dare il massimo e raggiungere un buon risultato, e per ora possiamo dirci abbastanza soddisfatti. D’altronde in latino andavo malissimo ma mi ricordo che un tipo tosto diceva “facer de necessitate virtute!” o qualcosa del genere. La mia professoressa sarà fiera di me (se non ho sbagliato la citazione).

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