Fabrizio Festa, compositore, direttore, e direttore artistico del Concorso 2 Agosto di Bologna, in questa intervista ci racconta le origini del concorso in occasione della ventiduesima edizione…
Siamo giunti alla ventiduesima edizione del Concorso 2 Agosto, concorso internazionale di composizione che d’anno in anno scocca lo stesso giorno, a commemorare il giorno della strage della stazione di Bologna, ed abbiamo l’onore di parlare con Fabrizio Festa, direttore artistico e fondatore. Come è nata l’idea di questo concorso?
L’idea innanzitutto non è nostra, fu Torquato Secci, primo presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna, a coinvolgerci dopo alcuni anni dalla strage. Prima, tutti gli anni, in occasione del 2 Agosto c’era un concerto in piazza, ad eccezione delle prime due (memorabile la prima: Carmelo Bene che lesse Dante dalla torre degli Asinelli). Evidentemente si sentì il desiderio di cambiare registro, così Torquato ebbe l’idea ascoltando un concerto di percussionisti di Strasburgo; il suono di queste percussioni lo colpì fortemente perché in qualche modo evocava il suono di una bomba, si scatenò così in lui il desiderio di cambiare il segno di questo suono da fragore negativo che era (la bomba e la distruzione) alla musica e al gesto creativo.
Il mondo dei concorsi è un mondo di contrasti: da un lato fuggito da molti artisti, dall’altro ambito e ricercato. Se andiamo all’etimologia, con-correre e com-petere hanno tutt’altro che valenze negative, eppure il mondo artistico ricade spesso entro uno schema di concorrenza di aspra battaglia, perdendo forse di vista il competere, il cercare assieme. Cos’ha di buono il mondo dei concorsi?
La competenza prevederebbe una solidarietà tra coloro che mettono in gioco le loro competenze in un contesto concorsuale in cui tutti concorrono a cercare il bene di una data cosa. Tutto questo però è stato trasformato dallo “star system”, dal “media system”, e non solo per ragioni legate al profitto, sebbene questo ne rivesta un grosso ruolo. Il nostro caso è a parte. In primo luogo abbiamo una visione, ossia l’obbligo morale di commemorare le vittime della strage, questo distoglie dalla idea di pura corsa al premio con conseguente profitto. In più abbiamo stabilito alcune regole, ad esempio l’assenza di tasse d’iscrizione e la completa libertà ai concorrenti pur in richieste assolutamente determinate (il concerto sarà in piazza, dunque con le conseguenze dovute al luogo). In definitiva viene valutata la capacità di comporre la musica, più di come essa venga composta: non abbiamo mai fatto questioni di stile, per cui abbiamo avuto tra i vincitori brani di “super-avanguardia”, come brani tonali, brani di vero jazz ed ancora brani strutturalisti. Non ci interessa questo, bensì che i brani abbiamo certe caratteristiche specialmente tecniche.
L’apertura ai più vari stili e generi non è oggi certamente facile a trovarsi, ma qual è lo stato della musica contemporanea, se mai si potesse riscontrarne uno soltanto?
L’ambiente della contemporanea è cambiato moltissimo. Oggi la scena è molto aperta e disponibile, già i compositori della mia generazione avevano cambiato le carte in tavola, abbandonando certe rigidità ideologiche e non solo stilistiche. Oggi ne resta una grande libertà e solidarietà, sono tramontati da un tempo i momenti di forte scontro tra scuole, al punto che non si parla più di scuole, non c’è quasi più questo aspetto appunto “competitivo”. Dunque si varia dal jazz al rap allo strutturalismo e persino al post-serialismo, perché no?
Questo graduale mutamento sta cambiando anche il rapporto tra compositore e pubblico che, nell’avaria generale dello scorso secolo, aveva subito una indiscutibile frattura?
Io ho vissuto in coda la stagione in cui compositore e pubblico erano in lotta. Non dimenticherò mai come io e i miei coetanei passassimo moltissimo tempo a spiegare che eravamo sì compositori, ma non “contemporanei”, perché questo non significava soltanto “viventi”, ma usi a rifarsi a modelli che all’epoca erano essenzialmente IRCAM, Darmstadt, e poco altro (curioso che si parli di gruppi numericamente non rilevanti, eppure artisticamente significativo). Oggi il compositore è tornato a fare il compositore ed il pubblico vuole musica nuova, ne è un esempio il nostro concorso. Noi abbiamo avuto, dalla prima edizione, Piazza Maggiore completamente piena. Sono oltre 5000 persone alla volta che ascoltano tutto dall’inizio alla fine senza restare sconvolta da musiche estremamente difficili. Il rapporto è tornato ad essere positivo e dialogico.
Emerge dal nostro dialogo che stiamo vivendo un’apertura sempre maggiore del ventaglio espressivo, in grado di accogliere e sintetizzare il diverso sotto un’unico gesto creativo. La domanda, a questo punto, è: cosa verrà poi? Quale sarà la musica del domani, cosa ascolteranno i figli dei nostri figli?
Io non credo che ascolteranno qualcosa di molto diverso. Negli ultimi secoli, possiamo dire dal Seicento in su, la musica è rimasta sostanzialmente tonale: evidentemente il tonale ha dei vantaggi (poi può essere politonale, modale…). Certo, ci sarà un’evoluzione nel timbro, l’allargamento timbrico, ma in ogni caso la gestione della musica sarà legata alla cultura. Come si evolverà la cultura nei prossimi anni è un qualcosa molto difficile da prevedere, io però una cosa, se mi permette, la vorrei dire. Noi vorremmo ricordarci che TUTTA la musica è contemporanea. Un pianista che suona Mozart sta suonando oggi, non all’epoca di Mozart, non sullo strumento di mozart, e del resto non è Mozart. Bisogna dunque stare attenti: noi abbiamo una contemporaneità estremamente estesa, che va dalla musica medievale alla musica etnica alla contemporanea… E questa varietà potrà solo crescere.
Questa sera, alle ore 21.15, in Piazza Maggiore si terrà il gran finale del concorso con l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e la premiazione dei tre finalisti: Alessio Manega, Matthieu Lechowski, Giuseppe Ricotta. Inoltre sentiremo una commissione in prima assoluta di Francesco Maggio, la prima di “Risveglio”, composto da Colangelo-Cassano-Tricarico, il tutto accompagnato dalla compagnia di Danza Körper. Un concerto denso, cos’altro chiedere?
La sfida di quest’anno è stata il balletto. Andando a memoria non ricordo un balletto in questa piazza, almeno dal ’78 ad oggi, ricordo Luciana Savignano sul sagrato di San Petronio. Abbiamo chiesto ai compositori di lavorare sul balletto, cosa a cui tengo molto e spiegherò perché. Per me il balletto è l’origine della musica, se c’è la musica è perché l’uomo ha imparato a ballare, prima ha imparato a ballare e poi è arrivata la musica. Quindi domani il pubblico vedrà qualcosa di molto particolare, perché il balletto sarà inserito in una cornice di immagini appositamente preparate proiettate sul nostro mega schermo integrate alle riprese in tempo reale delle nostre telecamere. Una sintesi di linguaggi molto diversi: cos’altro chiedere? Ascoltare.
A cura di Nicola Rigato
Info: http://www.concorso2agosto.it/