È uscito per Appaloosa Records il nuovo disco di Fabrizio Poggi, armonicista italiano di fama internazionale. For you è composto da 10 brani che partono dal blues e dallo spiritual fondendo insieme brani originali e canzoni senza tempo. Un lavoro che ricade perfettamente nel periodo storico che stiamo attraversando portando con sé tutto il suo carico di resilienza che la musica afroamericana ha nel proprio Dna
Benvenuto Fabrizio Poggi. Com’è nato questo lavoro? Chi è il “tu” a cui si rivolge il titolo?
Siamo noi tutti. Perché solo uniti ce la faremo. For you è un disco per tutti coloro che sono preoccupati. Per chi si sente solo e perduto. E’ un disco per chiunque abbia bisogno di sentirsi dire che qualcuno ha fatto qualcosa “per te”. Solo per te…
For you è un disco che è stato pubblicato in occasione degli anniversari del discorso di Martin Luther King, della marcia da Selma a Montgomery soffocata nel sangue, e dell’eroico rifiuto di Rosa Parks di cedere il suo posto sull’autobus a un passeggero bianco. Sembra che poco o niente sia cambiato da allora, considerato il recente caso George Floyd. Cosa può fare la musica per contrastare questa ondata di ritorno di violenza?
Qualcosa è cambiato, anche se non abbastanza. Bisogna tenere duro e continuare perché la strada per la giustizia e la libertà è ancora molto lunga. Con questo disco voglio ricordare ancora una volta le parole I HAVE A DREAM di Martin Luther King, quattro parole il cui profondo significato, espressione di valori universali, è ancora oggi, con il movimento black lives matter, il caso di George Floyd e i soprusi quotidiani dolorosamente valido. L’ondata di proteste che sta dilagando ormai da tempo negli Stati Uniti e di riflesso, seppur con meno forza, nell’intero mondo occidentale ha riacceso l’attenzione sull’attualità delle tensioni razziali. Un’attenzione che per me non si era mai spenta. Sono ormai diversi anni che porto in giro lo spettacolo “Il soffio della Libertà” con le canzoni e le storie che hanno fatto da colonna sonora alle lotte per i diritti civili. Qualcuno sta prendendo posizione, ma bisogna fare di più. La musica può fare molto. L’ha fatto in passato e lo farà ancora. La musica da sempre è capace di infondere forza, speranza, coraggio. Sarò ingenuo, ma a sessantadue anni io ci credo ancora. Credo ancora che la musica possa rendere questo mondo migliore. E lo dico ogni sera dal palco. Ripeto, c’è ancora tanta strada da percorrere per far diventare il sogno di Martin Luther King realtà ma io non ho perso la speranza e credo che le canzoni possano fare, ancora oggi, davvero tanto.
Lei ha inciso 22 album, nel 2018 è stato candidato ai Grammy Awards. È più difficile per un bianco farsi strada nel blues che ritrova le proprie origini nelle piantagioni del Sud nel XIX secolo?
Difficile. Difficilissimo. Per tutti. Perché il blues non solo una musica. C’è la cultura e cultura di un popolo dietro ad ogni canzone. E quindi occorre onestà, rispetto e tanto lavoro. Non solo sul proprio strumento. Per ottenere il passaporto da bluesman l’ho già raccontato tante volte, non ci sono trucchi, segreti o scorciatoie. Basta essere sé stessi, cercare di suonare ogni sera con passione onestà e determinazione. Il blues non può e non potrà mai essere un mestiere. E’ molto di più. Tutto ciò che ho ottenuto l’ho ottenuto grazie alla mia armonica, alla mia compagna Angelina che mi ha sempre sostenuto nei momenti difficili e suonando ogni sera come se fosse l’ultima, con tanti sacrifici e tante “lacrime e sangue”.
L’armonica è uno dei suoni che più caratterizza il blues, strumento prediletto di giramondo ha contribuito fin dall’inizio alla diffusione di questo genere musicale. Com’è nata la sua passione per questo strumento che l’ha fatta diventare uno trai più significativi rappresentanti?
L’armonica ha scelto me non sono stato io a scegliere lei. A parte gli scherzi (ma in parte è vero) il colpo di fulmine vero e proprio è avvenuto tanti anni fa quando vidi per la prima volta al cinema “The Last Waltz”, il film d’addio di THE BAND e venni folgorato dal carisma di Muddy Waters e dall’incredibile suono dell’armonica di Paul Butterfield. Non avevo mai sentito quello strumento suonare in un modo così emozionante. Nello stesso periodo decisi che la musica che più rappresentava i miei sentimenti, ma soprattutto la mia rabbia di operaio sfruttato, era il blues. E da lì è cominciata un’avventura, un viaggio che dura ancora oggi con lo stesso entusiasmo e la stessa passione di tanti anni fa.
In brani come “My name is Earth” traspare il suo interesse per il nostro pianeta. La Terra non sta attraversando un bel momento, secondo lei c’è qualcosa di fattibile per invertire la rotta?
E’ ora di cambiare rotta. E’ urgente. “My name is earth” e “It’s not too late” sono un grido disperato a far presto. Ad andare oltre le mode e alle tendenze. Di questa terra prima o poi dovremo cominciare a prenderci cura perché non è troppo tardi, davvero… E’ ora di fare sul serio. E il momento è adesso.
Il blues è una musica immortale che riesce a scavare nella profondità dell’anima, qual è il suo segreto per Fabrizio Poggi?
Il segreto sta nel fatto che non ci siano segreti. Il blues è la musica più semplice del mondo. Ecco perché è così difficile da suonare. Lo diceva anche Jimi Hendrix. E non è una questione di tecnica. E’ una questione di cuore. Ecco perché è diventata la madre di tutte le musiche. Il blues è e sarà sempre attuale, magari trasformandosi come ha sempre fatto, perché il blues è rabbia, dolcezza, disperazione, tenerezza, passione. Finché ci saranno sentimenti che risiedono nei luoghi più intimi e segreti dell’animo umano ci sarà posto per il blues. Il blues altro non è se non libertà dalla sofferenza. Libertà di scacciare le proprie malinconie, soffiando dentro a un’armonica o passando il collo spezzato di una bottiglia sul manico di una chitarra. Il blues è una grande, grandissima medicina di cui ci sarà sempre grande bisogno. Fino alla fine del mondo.
Grazie Fabrizio Poggi per aver trascorso un po’ del suo tempo con Blog della Musica.
A cura di Anna Nani
Cantautrice e Giornalista
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