É sensibile Feeda. Forse una delle Artiste giovani più intime e introspettive degli ultimi anni. Il suo nuovo pezzo Solstizio d’Inverno, fuori per 33db Good Noise, unisce semplicemente la sua voce al suo ukulele. Solstizio d’Inverno è stata scritta di getto proprio il 21 Dicembre (il giorno in cui la terra è più lontana dal sole) e nasce in seguito ad uno sfogo causato da un disagio interiore dell’artista.
Il Solstizio d’Inverno di Feeda rappresenta in questo caso uno stato mentale, simboleggiando il disagio interiore che porta a riflettere su se stessi in mezzo agli altri. Il brano esprime la sensazione di inadeguatezza nel vivere contesti apparentemente normali pur sapendo di estraniarsi dal mondo a causa di “un inverno sempre dentro quando fuori è palesemente estate”.
In questa intervista, Feeda ci racconta della sua grande scelta, di chi è, della sua intimità. Parlando di Musica si arrivano anche ad affrontare altri temi fra cui l’importanza del supporto famigliare, la felicità e l’art therapy.
Ciao e benvenuta, come mai il nome Feeda?
Feeda è l’abbreviativo del mio nome, Federica e non posso dire di essere stata proprio io a sceglierlo (n.d.r. ride). Il merito è dei miei amici che, nei pomeriggi insieme, mi presentavano come Feeda proprio durante i karaoke. Mi piace dire che è merito loro perché è magicamente diventato il mio nome preferito. Feeda sono io. Un nome per me speciale, ma nato in maniera totalmente casuale.
Quale sarebbe un altro nome artistico per te se lo dovessi scegliere tu?
Molto probabilmente non stravolgerei il mio nome. Non mi ha mai entusiasmato l’idea di utilizzare un nome artistico diverso, nonostante riconosca la bellezza dei nomi di molti artisti. Se mi venisse imposto di cambiare credo che utilizzerei semplicemente Federica. In ogni caso sarei meno originale dei miei amici o di tante altre persone, ma la verità è che sono semplicemente Federica e nel mio nome ci sta tutto quello che ho vissuto fino ad arrivare a questo momento.
Leggendo la tua biografia pare che improvvisamente, dopo un periodo di tentativi, tu ti sia messa a studiare musica seriamente. Cosa ti è scattato internamente?
Credo, anzi spero, che la costante per tutti sia il bisogno. Per me lo è stato, ma prima di capirlo le emozioni sono state contrastanti. Un po’ perché non lo credevo possibile e un po’ perché stavo svolgendo un percorso universitario, imponendo a me stessa di portarlo a termine a qualunque costo per il bene degli altri. Poi ho pensato al mio, di bene; quindi ho lasciato tutto quello che stavo facendo perché l’unica cosa che mi faceva resistere, nella mia stanza piena di libri, era fare musica. Ho sempre avuto l’abitudine di appuntare un’emozione o uno stato d’animo nelle note del mio cellulare, e, a parer mio, quando canti ciò che scrivi ti rendi conto che l’unico posto autentico che hai a disposizione per trovare un posto all’interno di questa vita è fare musica.
Hai detto una cosa che mi ha riportato ai miei vent’anni, quando ho dovuto scegliere l’università. Quando dici “per il bene degli altri” immagino che ti riferisci alla famiglia. Te lo chiedo in maniera spontanea: se pensiamo ai giovani di oggi, quanto è essenziale la famiglia nella realizzazione dei sogni e se parliamo del binomio felicità/depressione?
La famiglia è essenziale. Non credo ci sia un momento in cui lo sia di più o viceversa. Quando hai un sogno, avere il supporto della tua famiglia è una cosa sacra. Le scelte non si fanno mai a cuor leggero e quando hai qualcuno dalla tua parte il peso di quella scelta diminuisce. Ma comunque, i sogni restano di chi li immagina e non di chi sta attorno e la famiglia non sparisce, c’è e basta. E se dovesse sembrare che questo supporto manchi, prima o poi arriverà con la stessa potenza.
Per quanto riguarda il binomio felicità/depressione il discorso prende una piega leggermente diversa. Sicuramente è più semplice esprimere una gioia piuttosto che un dolore e, a volte, può essere difficile dire quello che si prova a chi ti conosce bene, però non è impossibile. Secondo me è il primo ostacolo da superare per avere la consapevolezza del periodo che si sta attraversando.
Ho visto un altro singolo online, ma Solstizio d’Inverno è il primo ufficiale. Di cosa parli in questo pezzo?
“Solstizio d’inverno” è un mix di emozioni per me. In questo pezzo ho cercato di racchiudere il disagio che in quel periodo stavo provando e che non riuscivo a spiegarmi, o forse ci riuscivo ma preferivo fingere che non ci fosse. Il brano è nato quando ancora stavo mettendo le idee in ordine e quando mi sembrava che nessuno capisse realmente quello che stavo provando nel decidere quale strada prendere nella mia vita. Mi sentivo sempre al posto sbagliato e mi sembrava inutile provare a spiegarmi con le persone. Insomma, mi sentivo l’unica in grado di risolvere la confusione nella confusione. Ed io, che confusa lo sono spesso, quando entro in questo tunnel di sensazioni tendo ad isolarmi dal resto del mondo, perché credo che fare i conti con sé stessi sia la migliore terapia.
Da dove nasce questo disagio di cui parli? E’ legato a qualcosa successo nella tua infanzia?
Credo che il disagio sia una sensazione che almeno una volta abbiamo provato tutti nella vita. Fortunatamente non è dovuto ad alcuna situazione avvenuta durante la mia infanzia, ma credo di portarmelo dietro dall’inizio della mia adolescenza. Sono sempre stata una ragazza molto riflessiva, emotiva ed empatica, ma tendo a mostrarmi come una persona su cui contare. Il problema di quando ti dedichi un sacco a ciò che accade nelle vite degli altri è che quando invece sei tu ad avere bisogno di qualcuno, non lo accetti. Sono sempre stata abbastanza precisa ed organizzata; la scuola tutto bene, gli amici tutto bene e i panni sporchi si lavano a casa.
Casa mia, in questo caso, sono io, che non accetto quasi mai un aiuto perché penso sempre di riuscire a cavarmela da sola. Quando però non ci riesci puoi percorrere due strade: la prima ti porta a continuare ad incastrarti nelle tue stesse azioni, la seconda, invece, ti porta ad accettare di avere bisogno di una mano. Io ho percorso la prima strada, e forse ho ancora un piede su di essa ma la direzione è opposta, perché ho finalmente capito che sapersi appoggiare agli altri è coraggioso.
Sapere chiedere aiuto è coraggioso. Hai detto bene. Credo che sia alla base di ogni cura contro ogni malattia mentale legata al nostro secolo (depressione, ansia, panico, malessere). Sei giovanissima. Stai imparando a dominare questo disagio? La musica ti aiuta?
Ti dirò di più, convivo da così tanto tempo con lui che ormai non posso farne a meno. Molte volte mi aiuta a comprendermi. Diciamo che siamo degli ottimi coinquilini io e lui. Per quanto riguarda la musica, beh, certo, mi aiuta a parlare con lui, mi aiuta a dire quello che non sarei in grado di dire a parole.
Guarda il video Solstizio d’Inverno di Feeda
Come nascono i tuoi pezzi?
Solitamente nascono con molta naturalezza; sento il bisogno di scrivere e lo faccio. Parlo sempre di quello che sento o vedo. mi viene difficile inventare una storia che non ho vissuto o che non mi è stata raccontata. Ho bisogno di vivere le cose per raccontarle in una canzone. A volte mi aiuta la melodia. Le melodie sono potenti ed ognuna di esse mi trasmette un colore diverso. Alcune volte ne ascolto una, scelgo il suo colore, e in base ad esso ripenso a qualcosa che ho vissuto.
Cosa fai, oltre alla musica, nella vita? Quali altre cose ti piace studiare?
In questo momento, oltre alla musica, lavoro presso una struttura con persone con disabilità fisiche e psichiche. Mi piace l’arte in generale e tutto ciò che è espressione di essa. Da piccola ho studiato danza per nove anni, però volevo fare la pittrice. Alla fine ho scelto la musica, con molto orgoglio. Sto imparando suonare la tastiera. Mi piacerebbe studiare la batteria ma confesso che ho sempre amato il violino. Vorrei conoscere tutte le sfumature che la musica contiene.
Credi nell’Art Therapy?
Si, ci credo. Credo che utilizzare l’arte come terapia sia un modo per dare alle persone, disabili o meno, un’opportunità per esprimere le sensazioni che provano. Credo che le aiuti a livello psico-fisico e che, l’art therapy, vada a stimolare sia la parte razionale che emotiva del cervello; è anche un ottimo anti-stress alla portata di tutti. Conosco amici che la praticano giornalmente, anche semplicemente per rilassarsi.
Oltre a questo singolo, stai già pianificando un disco o un piccolo progetto? So che sei insieme alla 33db Good Noise, come ti trovi con loro?
L’intenzione c’è, ma preferisco andare con i piedi di piombo. Sto lavorando ad un sacco di cose e le idee non mancano, quindi si, prima o poi arriverà qualcosa di più grande. La 33db good noise mi ha accolto con grande naturalezza. Sono felice di farne parte, ma sono soprattutto grata a tutti loro per il lavoro che stanno facendo per me. Stare con loro genera rumore buono.
Ti faccio concludere chiedendoti qualcosa di un po’ diverso dal solito. Cosa gira nel tuo stereo? Cosa ascolti? Che artisti ti piacciono?
Diciamo che non ho mai ascoltato un sono genere. Sono cresciuta con le canzoni di De Gregori, de I Ministri, Elisa e Adele, ma confesso che ascoltavo anche Avril Lavigne. Spesso ascolto Levante; mi piace il suo modo di scrivere e l’intensità con la quale canta. Ho un amore anche per l’r&b; una canzone di Lauren Hill non manca mai nella mia playlist.
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