Pubblicato dall’etichetta Dodicilune il 22 novembre 2022 Rohesia Violinorchestra è l’ultimo disco del violinista salentino Francesco Del Prete. Un progetto trasversale, cha radici profonde nelle tradizioni locali e nella musica mediterranea. Non a caso i brani sono stati composti per descrivere in musica i vini della Cantina Cantele, una realtà legata anch’essa al territorio pugliese. Ecco il racconto di Francesco Del Prete su come è nata questa nuova avventura.
Francesco Del Prete su Blog della Musica: grazie di essere qua. Rohesia Violinorchestra è un disco ricco di contaminazioni dove il protagonista è il tuo violino. Ce ne vuoi parlare brevemente?
Un anno fa ho proposto a Cantele, un’azienda vinicola salentina ormai affermata a livello internazionale, di selezionare qualche bottiglia tra le loro più prestigiose per le quali avrei provato a comporre colonne sonore ideali dopo averne studiato le caratteristiche specifiche: colore, note gustative e aromatiche, sentori olfattivi, intensità, corpo, eventuale effervescenza, modalità di produzione, nome, etichetta…
Ecco quindi – pensati, realizzati e coprodotti con la Cantina – progetto e disco Rohesia Violinorchestra, edito quest’ultimo dalla veterana etichetta discografica Dodicilune (con cui ho pubblicato Cor Cordis nel 2021) e contenente cinque brani in versione orchestrale concepiti con arrangiamenti ricchi di tracce, ripieni, colori e sfumature diverse dedicate ad altrettanti vini – Rohesia Pas Dosè, Teresa Manara Chardonnay, Rohesia Rosé, Rohesia Rosso, Amativo – e altre cinque variazioni degli stessi ma più asciutte, minimali ed unplugged impreziosite da numerose collaborazioni: un brano solo con violino e arpa, un altro con violino, flicorno e violoncello, oppure violino, pianoforte e voce lirica o anche violino e chitarra acustica.
Come si colloca questo lavoro nella tua discografia?
È nel filone ViolinOrchestra, parola-macedonia che ho escogitato per riferirmi non solo alla procedura che utilizzo ormai da anni per creare la mia musica – un’intera orchestra realizzata con un solo violino elettroacustico a 5 corde collegato ad apparecchiature elettroniche come loop station e pedaliere multieffetto – quanto piuttosto alla consapevolezza che lo strumento ad arco in questione, grazie alle sue caratteristiche strutturali peculiari (una cassa armonica in legno eventualmente da colpire, delicatamente, per realizzare incastri ritmici, delle corde da pizzicare, da plettrare oppure da sfregare con l’archetto il quale all’occorrenza diventa anche una bacchetta percussiva) e agli impieghi più disparati tra il melodico, l’armonico ed il ritmico-percussivo (questo realizzato attraverso la chop technique), abbia qualcosa di nuovo, inedito e straordinario da dire e da aggiungere alla letteratura violinistica degli ultimi secoli già abbondantemente documentata: strumento vivo e modernissimo, dunque.

Nella composizione, essendo un album legato a cinque vini, sei partito come ispirazione dal singolo vino, oppure hai abbinato successivamente ad ognuno la composizione?
Ogni bottiglia è stata al centro della scrittura per 3-4 settimane circa. Me la sono presa comoda: volta per volta ho preferito immergermi, letteralmente, nella descrizione e conoscenza approfondita delle proprietà e particolarità del vino in questione a cominciare dal nome, senza essere distratto da altre e nuove sensazioni dedicate e scaturite dai differenti vini; una volta ultimata una composizione passavo all’etichetta successiva cercando di ricominciare da zero. In questa maniera è venuto fuori un lavoro discografico piuttosto variegato pur nella sua omogeneità, cinque colonne sonore percorse da respiri differenti tra di loro che propongono quindi un’interpretazione autentica e puntuale delle peculiarità di ogni specifico calice.
Hai raccontato una storia del territorio, pensi che attraverso questo lavoro si possano portare all’attenzione di chi non lo conosce, cultura, tradizione, ed anche innovazione (vedi la versione elettronica dei brani)?
Ogni tanto ricordo a me stesso come proprio la parola cultura derivi dal verbo latino còlere, che vuol dire “coltivare”, termine e concetto che in questo caso particolare si sposa perfettamente al nostro progetto. Dal connubio tra la musica e una forte espressione del territorio – com’è appunto il vino nato da vitigni coltivati, curati e cresciuti in loco – possono solo nascere splendide e originali occasioni per trasmettere e indagare specificità e tipicità esclusive di un luogo e di una tradizione: se è vero che l’unione fa la forza allora chiunque ascolterà il brano magari avrà voglia di gustare il vino relativo approfondendone la conoscenza; oppure al contrario, apprezzando il calice sarà tanto stimolato ed incuriosito da ascoltare il brano per esplorarne trame e modalità di scrittura sottese; quel che di certo ci auguriamo noi stessi, per essere ancora più ambiziosi, è la possibilità di unire le due esperienze, degustazione e ascolto, sì da sublimarne il momento, magari approfondendo la percezione di sé stessi.
Quando si parla di musica e vino si parla anche di lavoro, cosa trovi in comune?
Prima di tutto, per tirar fuori il risultato migliore in qualsiasi contesto e situazione ti ci devi applicare fino allo sfinimento, lavorando senza sosta. Inoltre, innumerevoli sono le analogie tra il mio mestiere e quello di un enologo: come me anche lui potrebbe essere considerato un compositore tout court, avendo a disposizione degli ingredienti unici, l’uva in tutte le sue declinazioni possibili come per me lo sono le note musicali, da mescolare, mixare ed editare seguendo e assecondando certamente delle ormai consolidate regole di base ma soprattutto ispirazione e gusto personale. Ecco dunque legittimata la mia proposta a collaborare insieme a Cantele alla realizzazione di qualcosa di inedito ma soprattutto di unico.
Come hai interagito con gli altri musicisti che hanno suonato sul disco, durante la composizione oppure interagendo nel momento dell’arrangiamento?
In entrambi i momenti, in realtà. Proprio come in ogni mio lavoro discografico – sottolineo che tutti i miei dischi, nonostante siano definiti da solista proprio perché il violino ne è l’artefice primario, contengono collaborazioni considerevoli – anche in questo sono presenti contributi fondamentali da parte di musicisti eccezionali: Arale (Lara Ingrosso) con la voce, Marco Schiavone e Anna Carla Del Prete ai violoncelli, Angela Cosi all’arpa, Pacifico Tafuro al flicorno, Emanuele Coluccia al pianoforte e Roberto “Bob” Mangialardo alle chitarre acustiche sono stati scelti con cura per le qualità e sensibilità musicali già ampiamente dimostrate nei loro rispettivi progetti. A proposito di interazione e riguardo agli arrangiamenti, per forza di cose mi son regolato prendendo in considerazione sicuramente il brano in questione ma anche rispettando il ruolo specifico del determinato strumento musicale coinvolto per la versione unplugged: arpa e chitarra, per esempio, date le peculiarità proprie, oltre a cantare melodie o improvvisazioni sono state anche coinvolte a creare substrati alternativi, ottenendo in tale maniera risultati espressivi totalmente lontani rispetto alle versioni orchestrali perché orientati verso suggestioni e soluzioni musicali del tutto differenti ma altrettanto efficaci.
Parlando del violino invece cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso?
Ho cominciato da piccolo a studiare violino classico laureandomi in conservatorio a Lecce; ma sin dai primissimi anni forte è stato il desiderio di chiudere lo spartito musicale e provare a tirare fuori le note che mi frullavano in testa. È stato abbastanza scontato quindi, da una parte, approfondire lo studio della musica jazz (di cui sono innamorato) e, dall’altra, confrontarmi con una miriade di gruppi di musica etnica, pop, rock… che avevano nel proprio Dna l’elemento “improvvisazione”. Il violino in realtà permette quotidianamente di raccontarmi creativamente attraverso infinite modalità di espressione, cercando così la mia voce originale e il mio sound.
E quali sono le potenzialità del violino elettroacustico?
Doveroso da parte mia riconoscere l’ausilio fornitomi dalla tecnologia nel momento del bisogno, quando per esempio mi trovo costretto ad alzare il volume per esibirmi nelle grosse location destinate ad accogliere un pubblico numeroso: il violino elettrico è la risposta più immediata per superare tale impasse. Ma collegarmi a devices elettronici quali pedaliere multieffetto e loop-machines – le prime filtrano e modificano la mia voce attraverso delay, riverberi, chorus, distorsioni varie, wha-wha, octave…, le seconde registrano in tempo reale le varie parti e sezioni di un brano musicale permettendo di realizzarlo come se mi trovassi al lavoro con un multitraccia – fornisce al sottoscritto nuovi e più originali strumenti per meglio comunicare e rivelare il mio mondo interiore attraverso un sound necessariamente e inevitabilmente originale oltreché decisamente personale.
Approfondirai in futuro altri aspetti del territorio?
Le idee che mi girano in testa sono tante, confortato dalla consapevolezza che il materiale più o meno grezzo da cui trarre ispirazione per fortuna è attorno a noi. Sto meditando su un paio di intuizioni recenti, basterà aspettare il momento appropriato e soprattutto l’ispirazione giusta per mettersi all’opera. Il desiderio di licenziare roba originale è sempre molto forte e straordinariamente eccitante; in questo sicuramente mi aiuta la volontà di rendere il mio violino una sorta di lente speciale, un prisma di vetro attraverso cui leggere e interpretare i tempi in cui viviamo.
Ascolta il disco di Francesco Del Prete
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