Francesco Tedesco lavora nel mondo della musica come musicista e produttore e fonda il suo studio I Make Records che festeggia 7 anni di attività…
Francesco Tedesco, nato a S. Paolo Bel Sito (Na) il 17/01/1977, studia Giurisprudenza ma decide di lavorare nel mondo della musica come musicista e produttore. Suona da quando aveva 8 anni. Fa parte dei Danamaste da 16 anni e dei Verme Robots da 7 anni.
Ciao Francesco, quando hai incontrato la musica?
Non saprei dirlo con precisione. Ricordo solo che ero molto piccolo ed estremamente attratto dagli strumenti musicali. In tv guardavo tutto ciò che aveva a che fare con la musica. Ricordo di aver guardato tutte le televendite di tastierine Casio, ricordi? Quelle a 99 mila lire? Le facevano al mattino. Ne ho sempre desiderata una, fino al giorno in cui mio padre decise di comprarmela.
Parlaci dei gruppi con cui suoni…
I Danamaste non sono solo una band, è la mia famiglia, è il rifugio più sicuro da 16 anni. Non solo perchè c’è mia moglie alla batteria, mia sorella alla voce e alla chitarra e il mio più caro amico al basso. E’ gran parte del mondo della musica per me, una questione domestica, egoista. E’ anche un progetto che ci ha dato soddisfazioni, tante. Ci ha emozionato tantissimo, e forse ci ha anche parecchio cambiato la vita – nel bene e nel male. Al di là delle ragioni personali, è anche un gruppo con una forte personalità, con un suono suo, coltivato a poco a poco, che non teme il tempo, anzi se ne serve, per cambiare le carte in tavola ogni volta.
I Verme Robots sono una band nata insieme al mio più vecchio e caro amico, Antonio Senesi (da 7 anni ormai il bassista dei Danamaste), un chitarrista e un musicista molto talentuoso e con grande personalità. Nei Verme lui canta, suona la chitarra e scrive i pezzi, io suono la batteria. Siamo un trio, al basso c’è Pasquale Aliberti (frontman del bel progetto A Rainy Day in Bergen – il cui album di debutto è stato da me prodotto, poi uscito per una label tedesca.)
Da poco sto suonando la batteria nei Mathì, altro agglomerato artistico di un certo livello. Il tutto è nato dall’amicizia e la stima che mi lega al cantautore Francesco De Simone e al suo socio in musica, Antonio. E’ quesi pronto il nuovo disco, che uscirà per Octopus Records, tra qualche
mese.
E delle canzoni che componi e di cui curi gli arrangiamenti
Scrivere è sempre stata la mia passione, non solo scrivere musica, ma anche parole. Sono due momenti completamente diversi: due facce della stessa medaglia. La musica e le parole vivono di vita propria, ma ad un certo momento si uniscono, si sposano, creando qualcosa che è molto di più della somma delle parti. Gli arrangiamenti sono gli “Ufficiali” che celebrano questo matrimonio e probabilmente anche la parte più bella del processo, perchè lì senti il peso della personalità di chi vi partecipa. Può capitare, infatti, che con i musicisti sbagliati, si concluda con un niente di fatto.
Ecco, credo che una buona canzone possa diventare un capolavoro grazie al linguaggio di chi sa interpretarla, dargli importanza.
Come è successo che sei diventato anche produttore?
Sono stato per un bel po’ produttore di me stesso, il resto è venuto da sé. Quando ho cominciato ad occuparmi di registrazioni, mi sono accorto che non riuscivo a registrare e basta. Ci finiva sempre una parte di me, del mio modo di fare, nelle canzoni.
Sette anni fa hai aperto lo studio di registrazione I Make Records. Quali aspettative avevi?
Lo studio, o meglio IMRecording – contrazione di I’m recording, intesa come “sto registrando” – nasce tra il 2004 e il 2005 grossomodo. Non avevo ancora uno studio mio e avevo allestito una piccola regia in camera mia e usavo, come sala di ripresa, la cameretta di mia sorella, passando i cavi per il corridoio. Lo studio, fisicamente, nasce nel 2007, mentre l’etichetta – I Make Records, intesa come “Faccio Dischi” – nel 2009, anno in cui ho pubblicato il primo disco: Crawler in the rush hour dei Verme Robots. Le aspettative erano di associare all’attività dello studio anche produzioni a cui tenevo e in cui avrei investito anche personalmente.
Si sono realizzate? Quali ancora invece no, ma… ci stai lavorando?
Sì, ho fatto quello che volevo fare, ma credevo sinceramente di passarmela meglio economicamente. Poi ho scoperto che, facendo quello che faccio, nel modo in cui lo faccio e come, al massimo puoi “tirare a campare”. E’ stato un duro colpo!
In IMR fai tutto da solo o ti avvali di collaborazioni?
Faccio tutto da solo, ma le collaborazioni sono all’ordine del giorno. Non si fa niente da soli.
I Make Records chi ha prodotto finora?
Gli artisti pubblicati con l’etichetta sono: Danamaste, Verme Robots, Il Vortice, Dawn Gazers, Monrows, Levia Gravia, Giobbe, Lamarck, Slaves of Love and Bones, Dasauge. Arriviamo ad una settantina di band, se ci metto tutte quelle che ho prodotto con IMRecording.
Quando senti il provino di un giovane sconosciuto, cosa ti fa dire “sì, voglio produrlo”.
Forse la prima cosa è se sento un certo feeling. In sostanza, quando una sua canzone mi piace al punto che avrei voluto scriverla io. La seconda cosa, è se ci sono idee, personalità, un suono, un modo più o meno unico di fare le cose. Se c’è swing, se c’è la scrittura. La questione tecnica viene sempre dopo tutte queste cose.
Cosa offre I Make Records ai giovani musicisti? Che consigli puoi dare a chi sta cercando di emergere…
IMR offre la possibilità di lavorare mettendo in primo piano l’amore per la musica e per l’audio. Non ha particolari strategie, perchè non deve arrivare da nessuna parte: gli artisti devono “andare”, non “arrivare”. Sono un integralista, rifuggo il marketing, le mode, il trend. Non ho consigli per emergere, lavoro sulla base che può darti quella possibilità: scrivere e produrre buone canzoni, e magari suonarle anche molto bene dal vivo. Poi che il “meccanismo”, il “fare” e il “sentire” generale, non sia pronto per certi discorsi, è di certo una questione di cui non mi curo più ormai.
Come si sta evolvendo secondo te il mondo della musica?
Non si sta evolvendo, la bilancia pende dalla parte del “prodotto” come bene di consumo frivolo, veloce, usa e getta. Lavorano le nicchie, ma le nicchie sono nascoste ai più, e si finisce per creare dei “condomìni” in cui la musica non è libera di circolare come per sua natura dovrebbe.
“Faccio dischi di notte” è il titolo della festa di I Make Records dei sette anni di attività… Cosa significano per te?
Significano tanta musica, tantissima, che se ci penso mi vengono i brividi. Significa tante persone, tanti musicisti incredibili a cui devo molto e dai quali ho cercato di prendere il meglio, mettendolo anche nella mia musica. Sono un privilegiato da questo punto di vista: ho impresse nella mente le
radiografie di ogni disco – conoscendolo in ogni piccolo dettaglio. Sono onorato di aver potuto partecipare alla creazione di cose belle e non finirò mai di ringraziare chi mi ha voluto parte della cosa.
Grazie Francesco, continua a fare dischi…
Sarà difficile rinunciarci. Grazie a te!