É uscito l’album di debutto del progetto Gamaar, fondato dalla cantautrice e produttrice bresciana Gabriella Diana. Un nuovo capitolo che prende il nome di Kafka For President, un disco arrabbiato che, nuotando nell’assurdo, racconta cosa succede alla mente quando galleggia e quando affoga. Noi abbiamo avuto il piacere di incontrare Gabriella Diana per una chiacchierata, dove abbiamo parlato di pandemia, battaglie quotidiane e cambiamenti.
Si chiedono i Gamaar: vivendo in una società capitalista, una società della performance, del consumo, dello sfruttamento lavorativo, del trauma, del privilegio e della discriminazione, cosa succede alla nostra salute mentale? Si rompe, si contorce e resiste. Questo disco è un alternative rock che sa di anni 90: suoni acidi e distorti, batterie energiche e ritmiche scomposte, quasi nevrotiche, con un cantato recitato, urlato, talvolta morbidamente malinconico. Ecco l’intervista…
Ciao Gamaar e benvenuti. Kafka for president è il vostro disco di debutto, come mai proprio adesso?
Abbiamo aspettato di avere tutto pronto: il disco era già concluso a metà del 2021, ma abbiamo lavorato a tutto ciò che “circonda” il progetto, come l’uscita dei singoli con i rispettivi videoclip e la nostra immagine. Dall’inizio dei lavori alla pubblicazione del disco è passato molto tempo, è stato un processo lungo e impegnativo, ma siamo molto orgogliosi del risultato.
Oltre a quello della salute mentale, quali altri temi sociali sentite vicini? Antifascismo, anticapitalismo, ambientalismo e transfemminismo sono sicuramente le tematiche che sentiamo più vicine: ci dichiariamo contro tutto ciò che opprime e minaccia i diritti umani ed il diritto ad una esistenza dignitosa e serena.
Avete anche voi la sensazione che la musica oggi sia poco “arrabbiata”? Quali sono i progetti che invece si arrabbiano che vi vengono in mente? Quali possono essere le conseguenze di questa mancanza di rabbia?
Forse la musica di oggi è poco arrabbiata perché la rabbia vende sempre meno: più si è condiscendenti verso i desideri del pubblico, più alta è la possibilità di avere successo. È sempre stato così, ma forse una volta la rabbia “andava più di moda”, basti pensare agli anni ‘60 o agli anni ‘90. Progetti arrabbiati, ognuno a modo proprio, che mi vengono in mente possono essere Verdena, St.Vincent, Nova Twins, Capre a sonagli, Stromae. Una conseguenza di questa mancanza di rabbia nella musica potrebbe essere una omologazione di genere, e che quindi escano brani di facile comprensione, di facile ascolto, o con messaggi disimpegnati: sono fondamentali certo, ma non credo che possono essere l’unica cosa di cui abbiamo bisogno, non per tutte le persone là fuori.
Come riassumeresti i tuoi anni da solista? E qual è stata la molla che ti ha fatto desiderare invece un progetto più strutturato?
I miei anni da solista sicuramente mi hanno formata nella gestione del palco e dell’ansia da prestazione, e mi hanno permesso di capire che tipo di esperienza volevo vivere sul palco. Infatti è stato rendermi conto che da sola non ero abbastanza a portarmi verso la formazione di una band: i miei brani stavano diventando più complessi e più audaci rispetto agli inizi, e chitarra e voce non riuscivano ad essere ben rappresentati. Inoltre aver studiato arrangiamento e produzione musicale al CPM di Milano mi ha fatto capire il potenziale di ogni strumento e come gestirli al meglio nell’organico di un brano, così mi sono decisa a portare sul palco con me almeno altri due elementi, e chissà magari in futuro aumenteranno.
Che differenze hai riscontrato nell’approccio alla musica da quando Gamaar è diventata una band?
Non essere più sola nella lavorazione dei brani ha cambiato sicuramente alcune dinamiche compositive, e ne sono felice: ora le idee sono filtrate da più orecchie e da più teste, e questo fa crescere i brani grazie al confronto. Per ora ho sempre portato i brani semi definitivi in sala prove, ma sono curiosa di scoprire come sarà scriverne di nuovi insieme.
Ascolta il disco Kafka for president dei Gamaar
Che cos’è stato “Atuxtour”? E in che modo siete stati colpiti dalla pandemia?
La pandemia ci ha costretti in casa subito dopo l’incisione del disco in studio, quindi abbiamo dovuto gestire mix e master a distanza telefonicamente o per posta elettronica. Inoltre non era possibile trovare date, quindi abbiamo aspettato e rimandato diverse fasi della progettazione artistica dell’album. Atuxtour è stato un grande aiuto per permetterci di suonare dopo la crisi pandemica: farsi ascoltare live prima di cominciare a pubblicare singoli e videoclip ci ha permesso di far girare un po’ il nostro nome in giro, di conoscere altri musicisti e organizzatori di eventi e di esibirci in locali che magari non avremmo raggiunto così velocemente. È stata una splendida occasione, e li ringraziamo tanto per aver creduto in noi.
A parte Le Endrigo, quali band contemporanee portano la bandiera bresciana?
Beh il primo nome che mi viene in mente è Via dell’ironia, una band amica e tutta al femminile che fa musica audace e che sta andando alla grande. Mi vengono in mente ad esempio anche Otso, Galateo Animale, Tin Woodman, Silvia Lovicario, Gemini Blue. Sicuramente ne sto dimenticando una marea quindi chiedo perdono.
E quali sono le battaglie quotidiane dei Gamaar, a chi dovete sottostare?
Necessariamente dobbiamo sottostare al sistema economico e sociale nel quale viviamo, al dover lavorare per esistere, ma lottiamo per cercare e creare bellezza attraverso le nostre azioni e le connessioni umane che abbiamo l’opportunità di vivere. Lottiamo affinché nessuno si senta solo, escluso o incompreso; lottiamo per migliorarci, per imparare anche sbagliando, anche cadendo, per resistere nonostante tutto.
Social e Contatti
- Instagram: https://www.instagram.com/gamaarband/