INTERVISTA | Gaspare Bernardi e il disco del cambiamento

Gaspare Bernardi si diploma in Corno al conservatorio di Lucca, poi in Didattica della musica e Musicoterapia a Bologna, nel 2009 diventerà Esperto Diplomato in Medicina Psico-Somatica a Milano. Ha pubblicato il disco Stranger at Home per Egea Music e l’ha raccontato ai microfoni di Blog della Musica in questa intervista

Ciao Gaspare Bernardi e benvenuto. Ci racconti la genesi di Stranger at home, il tuo nuovo disco pubblicato per Egea Music?
Questo album è frutto della necessità di dare una forma anche simbolica alla chiusura di un lungo ciclo di quasi una dozzina di anni e segnar, almeno negli intenti, l’inizio di una nuova fase. Ciclo il primo entusiasmante costellato di cose, impegni, fatiche, i primi riconoscimenti di un certo significato, la contemporanea nascita della rassegna ideata molti anni prima, poi quella di un ideale centro di formazione creativa, un po’ di confusione e, appunto, una purtroppo triste dolorosa chiusura di questa esperienza per la quale avevo rimesso incautamente tutti e due i piedi nella mia terra, proprio mentre ero più spesso fuori che a casa ed il trovarmi a riprender come un tempo un più solitario percorso ricominciando come da capo, cercando nuovi spazi, eventuali compagni di percorso e l’energia, una non scontata rinnovata voglia e forza di continuare.

Così, insieme a molte altre cose, l’avvio, la ripresa di un progetto appena iniziato e rimasto poi  necessariamente sospeso ma che in più di due anni e molte traversate notturne per l’appennino si caricherà di questi ultimi vissuti prendendo una forma che è in continuità con il precedente lavoro ma con un brano che diviene poi una vera e propria song e linee melodiche più definite e velate di molte sfumature anche un poco melanconiche. Tutto su uno sfondo comunque di spazi di incanto, meraviglia e mistero… quello che ancora le mie montagne continuano ad esercitare su di me come da bambino.

Sentirsi stranieri a casa propria penso sia un sentimento che prima o poi viviamo tutti quanti. Metterlo in musica ti ha aiutato a superarlo? A sentirti nuovamente a casa tua?
Solo nel senso di sentire forte l’inscindibile legame con questa terra e il desiderio di cantarne sempre e comunque la poesia di cui è pervasa, anche attraverso suoni, sonorità che almeno negli intenti possano evocarla assomigliargli… In tal senso mi sento sempre a casa ma una certa estraneità a qualsiasi contesto mi accompagna un po’ da sempre e non penso a questo necessariamente come un qualche cosa da risolvere e superare ma piuttosto da comprendere ed accogliere. Dove il legame è profondo, dove c’è amore vi anche la massima possibilità di ferita,contrasto o semplicemente una non facile comunicazione.

Un disco, Stranger At Home, quasi interamente strumentale. Solo nella titletrack l’uso di un testo. Come mai?
I miei inizi sono con le canzoni, in parte raccolte nei primi 2 album, L’Arco terrestre uscito tardivamente alle soglie del 2000 ed Estati lontane del 2005, poi le raccolte di poesia, questo e l’album precedente segnano un po’ il desiderio di ricordarmi dei miei inizi musicali, di strumentista con appunto il mio corno tra classica e progressive. Così in ogni album strumentale non riesco a rinunciare ad almeno un piccolo momento di vocalità e parola. In Cor’n  Connexion il breve momento vocale e poetico di Peana for my father, in questo ultimo, da una lunga intro strumentale, prende vita un momento simile che poi però inizio a strutturare come una vera e propria canzone che dà il titolo all’album stesso Stranger at Home appunto.

L’uso del corno in questo contesto sonoro ne ha fatto emergere una sonorità a dir poco magnifica, che si ritrova in tutti i brani del disco. Quanta ricerca c’è stata?
Non so la mia natura è un po’ altalenante tra un certo perfezionismo, la cura di ogni dettaglio ed un lato un poco più naif che cade a tratti in piccole trappole o passi un po’ incauti. Sento molto in tal senso l’esigenza di lavorare con un produttore in quanto fin ad ora lo sono stato di me stesso ma questo segna certamente un certo limite. Comunque fin ad ora le risposte, le critiche sono davvero molto positive, il corno poi non è uno strumento semplice da registrare per vari motivi come fonici professionisti sanno bene, in questo, come nel precedente lavoro poi, oltre al modo “naturale” ho utilizzato anche un vecchio effetto digitech per gli sfondi con più parti di corno di cui l’album è continuamente colorato ed anche, in certe parti melodiche, una vecchia sordina che lo fa assomigliare un po’ ad una tromba tanto che molti hanno pensato fosse proprio quest’ultima. Comunque sia, in compagnia dell’amico Pablo che si era reso disponibile con un piccolo studio a darmi una mano, ci son stato su un due anni e mezzo di notti e sarei andato avanti ma per sfinimento ed altri problemi ho poi decretato il finished work. 

In cosa differisce Stranger at Home dal tuo precedente lavoro discografico Cor’n Connexion?
Beh…. sia nelle intenzioni ma poi anche concretamente Stranger vuol esser il secondo capitolo di una ideale trilogia che ho in mente, in continuità assoluta col precedente quindi ma con elementi di differenza significativi ed un carattere proprio che lo distingue come spero sarà il terzo che qua e là sta prendendo forma e che probabilmente sarà meno ricco di dettagli, particolari, ecc… e più centrato sull’idea, il momento essenziale di ogni brano e forse più rarefatto.

Gaspare Bernardi cura anche la rassegna musicale “Le vie del suono”, ci puoi raccontare di cosa si tratta?
Ma… è una storia lunga che si avvia sul finir degli anni ‘70 quando con le prime esperienze orchestrali, la conoscenza di solisti straordinari, sognavo così, in modo persino infantile, di vederli suonare nella chiesa del mio paese o in spazi suggestivi tra questi monti, sperando di condividere le stesse emozioni in me suscitate. Nascono alcuni primi appuntamenti con grandi difficoltà che a volte sembrano davvero insormontabili, poi farsi strada l’idea di una vera e propria rassegna strutturata, dalle esperienze con la classica e il pop sconfinando anche nel jazz che negli anni ‘80 sempre più mi appassiona ma solo nel ‘98 molti anni dopo, per una serie di combinazioni, questo sogno si avvierà davvero con una prima rassegna “le vie del suono” da principio un po’ timidamente, poi via via consolidandosi come una pianta in un terreno molto difficile, non proprio adatto e favorevole, fino ad esser alcuni anni dopo segnalato tra i festival significativi e particolari della penisola e conosciuto un po’ a tutti. Certamente con un complessivo budget a dir poco minuscolo e problemi strutturali e organizzativi che però negli anni con tenacia e una certa fantasia ha visto avvicendarsi con molto piacere ed entusiasmo artisti da tutto il mondo, talvolta unendo l’avanguardia più alta ad esponenti che hanno fatto la storia del jazz e con trasversalità di linguaggi fino a l’ambito letterario. Una faticaccia indescrivibile in questi luoghi.

C’è un messaggio di cui vuoi essere portatore con la tua musica? Non so… il messaggio dovrebbe esser intrinseco penso e spero… si può parlare in modo esplicito di questo o quell’argomento magari però con un linguaggio o una musica poco significativi, non appropriati che sconfermano, contraddicono ciò che si vuol andar a dire… se un lavoro ha accenti poetici, qualche chiaroscuro di una certa profondità, tocca qualche cosa di noi, il messaggio è parte del contenuto che si incontra e realizza poi con vissuti e contenuti del eventuale ascoltatore.

Grazie Gaspare Bernardi per aver trascorso un po’ di tempo con Blog della Musica.

Info: https://www.facebook.com/gasparebernardi

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