Un giorno tutto questo ci farà ridere è il titolo del primo lavoro discografico da solista di Ghiaccio, al secolo Stefano Cocco. Un Lp figlio di una lunga gestazione, nato da un momento no vissuto dal cantautore trevigiano del 1991. Un viaggio tra indie synth, le cui sonorità ricordano un po’ l’Umberto Maria Giardini quando ancora si faceva chiamare Moltheni (quello di Suprema per intenderci, gran pezzo da recuperare) e il primo Colapesce di “Un meraviglioso declino”, prima di fondersi con Di Martino in una “Musica Leggerissima”, ma questa è un’altra storia. Qui, dalle pagine del Blog della Musica, oggi vogliamo parlare del disco di Ghiaccio: 10 canzoni che si rincorrono raccontando di pensieri e lacrime, rotture sentimentali e fratture emotive.
Ciao Ghiaccio e bene arrivato su Blog della Musica. Cosa intendi con un giorno ci farà ridere?
E’ la speranza che quello che ci terrorizza oggi un giorno non ci faccia più così paura, che sia solo il ricordo di un brutto momento che siamo riusciti a superare con coraggio, guardandolo negli occhi.
Prima di darti alla carriera solista hai bazzicato nella scena alt-rock e indie italiana, che differenza c’è tra muoversi in band e muoversi da solo?
La differenza principale è che le responsabilità sono tutte sulle tue spalle, sia quelle belle del lato artistico che quelle meno divertenti della gestione pratica di un progetto musicale. Fortunatamente posso contare sul supporto di una realtà importante della musica in Veneto, Dischi Soviet, che mi sta dando un grande aiuto.
Quali sono le influenze musicali di Ghiaccio?
La mia formazione musicale è legata al rock italiano degli ultimi 20 anni, per fare un nome su tutti i Verdena. Ma sono stati importanti anche i Massimo Volume, i Marlene Kuntz e gli Afterhours.
Da un po’ di anni ormai sono molto più esterofilo: se devo dire chi mi ha influenzato di più credo siano M83, Fever Ray, Tame Impala e i Daughter, ma in generale ascolto davvero tanta musica diversa, dal rap all’ambient, e penso che in qualche modo tutti gli ascolti che ho entrino nelle mie canzoni.
Perché hai scelto “Ghiaccio” come tuo pseudonimo?
Era un modo per esorcizzare il “freddo psicologico” che sentivo attorno a me nel periodo in cui questo progetto è nato. Ghiaccio è diventato un alter ego che mi ha permesso di superare alcuni miei blocchi ed esprimere le mie paure, tirando fuori quello che sentivo dentro.
A chiudere il tuo disco c’è una canzone che si intitola “Requiem dei pensieri inutili”, quali sono i tuoi pensieri inutili?
Quelli in cui mi autosaboto mettendomi in discussione. E’ una cosa a cui sto tutt’ora lavorando…Sento molto il peso del giudizio degli altri, e a volte mi lascio influenzare negativamente dai pareri magari superficiali di chi commenta quello che faccio. La verità è che, come dico nella canzone, anche se costa tanta fatica, con un po’ di volontà si può essere ciò che si vuole senza rimanere succubi di chi prova ad abbatterci.
Cosa significa per te essere un cantautore?
Significa essere libero e originale. Non credo alla musica come fenomeno di moda, semmai come atto che la riscrive, e penso che nulla di buono sia mai nato uniformandosi allo stile del momento. Per questo cerco di essere sincero prima di tutto con me stesso e tirare fuori canzoni oneste e personali.
La sperimentazione di nuovi suoni è il 90% del mio divertimento ed è l’aspetto che mi motiva di più a continuare a scrivere. La scrittura dei testi entra in questo processo come un modo per entrare in contatto con gli altri, scoprire qualcosa di nuovo di me e del mondo che mi circonda.
Un’altra canzone di “Un giorno tutto questo ci farà ridere” si intitola “Specchio”, cosa vedi quando ti rifletti?
Vedo una persona che sta finalmente ritrovando un equilibrio che non è stato facile recuperare. Qualche capello bianco in più, segno che gli anni scorrono e lo stesso sguardo deciso che testimonia che le passioni, se sono vere, rimangono inalterate e anzi fortificate.
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