In attesa del nuovo libro su Lucio Dalla scritto a quattro mani con Ernesto Assante, Gino Castaldo firma l’introduzione al volume fotografico di Daria Addabbo Un altro giorno è andato. Le stagioni di Francesco Guccini (Jaca Book). Un ottimo “pretesto” per una conversazione sullo stato di salute del giornalismo musicale e non solo.
Nei mesi immediatamente precedenti (e successivi) all’uscita del mio libro su Francesco Guccini è stato naturale aggiornarmi e farmi aggiornare sull’avanzamento dello “stato dell’arte” relativo al cantautore di Pàvana. Tra le tante segnalazioni, un bel giorno arriva nella cassetta delle lettere — si fa per dire, ci vorrebbe un contenitore ben più capiente — un volume dal formato insolito. Non conosco l’autrice, Daria Addabbo; mi è assai familiare invece la firma del prefatore, Gino Castaldo. È un libro fotografico. Interamente fotografico, intendo. Lo sfoglio prefigurandomi ritratti dello stesso Guccini, che in realtà compare soltanto attraverso i suoi testi, i quali commentano — o meglio, ispirano — gli scatti della Addabbo. È sicuramente una scelta originale e audace, estranea alle forme cui siamo abituati. Come tale mette in difficoltà il recensore. Che però, in questo caso, altro non aspettava che un “pretesto” per interrogare una delle figure di spicco del giornalismo musicale, prendendo le mosse da questa collaborazione alla scrittura per avviare un discorso generale sulla odierna comunicazione musicale.
Benvenuto su Blog della Musica Gino Gastaldo. Inizierei chiedendoti qualcosa in più su questo libro gucciniano di Daria Addabbo, di cui hai firmato l’introduzione.
L’introduzione in realtà è un volo pindarico su Francesco, ma non spiega niente del libro, il quale è totalmente fuori dagli schemi, una follia, e come tale mi è piaciuta subito l’idea di parteciparvi. È un po’ il proseguimento di un altro volume simile di Daria su Bruce Springsteen, This Hard Land, uscito un anno fa con lo stesso taglio, stessa impaginazione eccetera. È in quell’occasione che è nato il nostro rapporto di collaborazione: Daria venne a bussarmi alla porta, non la conoscevo, e mi conquistò subito la sua idea di fare un libro su Springsteen senza Springsteen, andando a cercare i luoghi dell’America di oggi sulla suggestione delle sue canzoni. In quel caso abbiamo lavorato un po’ più assieme, nel senso che c’era più materiale scritto ad accompagnare le fotografie, con una scansione a capitoli. Facemmo subito un patto: io le dissi che ero disposto a seguirla in quella avventura a patto di intenderla come uno spazio di libertà totale nella scrittura. Lei accettò immediatamente e sia in quel caso sia — ancor più — in questo libro su Guccini ho scritto con assoluta libertà, con spirito notturno e onirico, senza l’obbligo di dover raccontare. L’assunto del viaggio fotografico mi ha fatto subito pensare al concetto di tempo, che è presente in tutta l’opera di Guccini, quasi un’ossessione…
Infatti tu scrivi: “Guccini è il tempo”. Analizzando l’opera di Francesco per il mio ultimo libro, in effetti, mi sono accorto di come quasi tutti i suoi dischi risultino dei concept album proprio in virtù di questo topos del tempo. Dico di più: la sua intera discografia potrebbe essere definita un lungo concept album.
Esatto, ero sicuro che saresti stato d’accordo. Sembra un’idea basilare, quella del tempo, ma in lui è presente molto di più rispetto agli altri cantautori, è davvero un tema caratteristico della sua opera.
In un altro passaggio dell’introduzione scrivi che i cantautori di quella generazione erano “quasi eroi”, molto più che “fabbricanti di canzoni”. Cosa resta oggi di quell’esperienza?
Diciamo che in linea di massima non riguarda solo i cantautori in modo specifico. La sensazione è proprio che un intero ciclo musicale sia finito, ormai da qualche anno. Fino a poco tempo fa non si capiva bene cosa stesse succedendo, ma ora mi sembra chiaro che sia iniziata un’epoca diversa. Al tempo di Guccini il ruolo della musica nelle nostre vite era assolutamente centrale, per la formazione e la condivisione di una certa visione del mondo. Le canzoni erano anche quello, molto più del cinema e della letteratura. Questo oggi non c’è, mi pare sia oggettivo… ma lo dico senza nostalgia, è un dato di fatto… Che poi, scusa, chi sono i cantautori di oggi?
Eh, bella domanda, volevo essere io a fartela per primo!
Mah, a parte qualcuno tipo Brunori, io sinceramente non ne vedo in giro. Il vero fenomeno del momento è quello dei rapper.
Sarà per questa mancanza di eredi che uno come Guccini è tornato così prepotentemente di moda negli ultimi anni, seppur ormai lontano dalle scene?
Certo, anche per quello. Perché ci sono due fenomeni che non si escludono a vicenda: da un lato è stata voltata pagina, ma questo stesso voltare pagina acuisce il senso di vuoto. I cantautori non ci sono più, perché ovviamente dire che i loro eredi sono i rapper è una forzatura. Grazie all’orizzontalità dei media quindi tanti ragazzi scoprono Guccini, o i Pink Floyd, per il semplice motivo che queste cose oggi non ci sono, non esiste un loro equivalente contemporaneo. Nessuno ha preso il loro posto e hanno ancora tanto da dire. Perciò riscopri Guccini, perché è unico. È come rileggere Hemingway.
La critica musicale ha avuto un ruolo decisivo nella stagione della canzone d’autore. Questo voltar pagina di cui parli investe anche il tuo settore?
Sì, oggi il rapporto tra critica e musicisti è molto più slegato. La critica, anzi, non esiste praticamente più, oggi si può parlare di comunicazione musicale, ma non di critica, di cui non vedo neanche più la funzione… il critico musicale ormai riappare, coe per miracolo, una volta l’anno durante Sanremo (ride). Al tempo, invece, c’era una mediazione che aveva un senso. Se vuoi ti racconto un aneddoto a riguardo… con De Gregori ci fu un acceso dibattito alcuni anni fa, quando pubblicavamo Musica!, il supplemento di Repubblica che fece un botto… se pensi che all’epoca il giornale aveva una tiratura di 700 mila copie e che l’allegato era gratis… a un certo punto ci fu un incidente, quando Pino Daniele in radio attaccò Ernesto Assante. Intervenne anche De Gregori, accusando la critica di essere diventata superficiale e frettolosa; io mi permisi di replicare ricordando ai cantautori il ruolo fondamentale ricoperto dal giornalismo musicale nella diffusione della loro opera. Un articolo su Repubblica all’epoca contava molto più di oggi… non l’avessi mai detto! Mi ha mandato certe lettere…(ride) Tornando al discorso precedente, quando ti dico che la critica è ormai destituita di fondamento è perché da molti anni a questa parte la musica viene prodotta per i fan, non per un pubblico generico (in senso positivo). E questa secondo me è una malattia della musica del nostro tempo: se esce un libro, esce per tutti, poi il lettore decide se gli piace o no… oggi invece quando vai ad un concerto — quando ci si potrà andare… — non incontri nessuno che sia lì per curiosità, ma solo perché è sicuro che gli piacerà. I concerti di oggi sono dei best of senza alcuna proposta… e allora a cosa servo io come critico?
Questa fidelizzazione, tra l’altro, si lega all’aumento del prezzo dei biglietti: se da un lato, il tuo zoccolo duro è disposto comunque a pagare, dall’altro sai che pur abbassando i prezzi difficilmente allargheresti il bacino di utenza, no?
Certamente. I concerti ormai sono messe cantate. E quindi a nessuno interessa questo esercizio critico di decriptazione estetica. Io estremizzo un po’, eh, ma di base è così… Quindi cerco di fare altro, soprattutto divulgazione. Per fortuna mi piacciono molti altri aspetti del mio lavoro, le lezioni, la radio, la tv…
Infatti dalle Stagioni di Guccini passerei a quelle di Gino Castaldo, contrassegnate da una ricca alternanza di media e linguaggi, dall’inchiostro all’etere fino al web.
Guarda, quest’alternanza mi è sempre venuta molto naturale. Vivo ancora di entusiasmo e sono sempre stato affascinato dalle nuove tecnologie e dai nuovi linguaggi. Già tanti anni fa all’interno di Repubblica abbiamo cercato di fare cose nuove, come ad esempio Webnotte, un format che attirava anche molti ospiti. Ancora prima con Ernesto avevamo inaugurato le lezioni di rock, era l’inizio di questo momento critico contrassegnato dalla mancanza di nuove idee musicali, e quindi abbiamo iniziato a compensare raccontando le grandi storie, lo abbiamo fatto per anni all’Auditorium di Roma… Trovo più utile la narrazione rispetto alla critica insomma, ho sempre avuto feedback molto forti in questo senso che mi hanno confermato che forse la gente in questo momento ha bisogno di quello più che del giudizio estetico. Poi mi piace l’attività di “segnalazione”: se non posso esercitare la critica, approfitto dello spazio che ho per segnalare, consigliare, in base alla mia esperienza e al mio gusto, ammesso che ce l’abbia (ride)! Mi piace la possibilità di essere una piccola guida… Io ho due figlie adolescenti, c’è una grandissima differenza tra la loro generazione e la mia, e anche la tua… noi abbiamo avuto dei grandi richiami, a cui potevi aderire o meno, oggi non c’è niente di tutto ciò.
Infatti, ricollegandomi al citato inserto musicale di Repubblica di fine anni Novanta, ricordo che una delle sezioni che più mi interessava era la recensione dei classici, che si trovava nelle ultime pagine. Ad esempio, iniziai ad ascoltare i Weather Report proprio per merito di una di quelle recensioni (l’album era I Sing My Body Electric).
Sì, appunto, io quando posso e se posso, cerco di fare questo. Ora per esempio, all’interno di Magazzini Musicali su Rai Due, in ogni puntata ho circa un minuto e mezzo di “consigli per gli ascolti”, e cerco sempre di suggerire un classico e una cosa nuovissima. L’informazione musicale dei nostri giorni è estremamente frammentaria, è tutto nebulizzato… ognuno sa una parte, ma è molto difficile avere informazioni complete su quello che succede… di artisti ne escono ogni due giorni, alcuni non li conoscono neanche le mie figlie, figuriamoci io. Cerco di unire i puntini, ecco, una cosa che mi piace molto fare…
Hai parlato di narrazione. Nel tuo programma Esordi proponevi appunto delle narrazioni riguardanti gli inizi di alcuni grandi artisti, momenti sui quali tra l’altro si è cristallizzato un genere letterario biografico quasi di stampo romantico, scandito dalle varie fasi di ascesa, successo, declino; fasi che oggi non intravedo. Come cambia quindi il modo di narrare?
In riferimento a quel programma, quello che facevo era andare a curiosare tra i vari esordi per scoprire una cosa ovvia, se vogliamo, e cioè che gli esordi sono spesso una firma biografica e narrativa. Ogni esordio è diverso dagli altri, in quel momento i protagonisti non sono ancora delle star e quindi si tratta di veri e propri pezzi di vita, anche toccanti. Il gioco era metterli in relazione agli esordi di oggi, che non hanno questo spessore letterario…
Oggi partono già esorditi…
Bravo, esatto! Poi in molti casi sono storie piuttosto effimere, sembra che nemmeno ci provino a durare nel tempo. Non so se tra cinque o sei anni parleremo ancora degli artisti di adesso.
È un po’ l’equivalente in musica dell’obsolescenza programmata nell’informatica.
Mi hai tolto le parole di bocca, volevo dire esattamente questo. È come se essi stessi non avessero l’ambizione di durare nel tempo. I percorsi sono molto frettolosi, saltano le tappe, è tutto estremamente veloce… per farti un esempio: Madame, che seguo e mi piace tantissimo, è andata ospite a X Factor e ho scoperto che era la sua prima esibizione! Ha un milione di followers ma non si era mai esibita… poi se l’è cavata bene, perché ha un enorme talento, lei potrebbe essere una di quelle destinate a durare, se non si brucia, perché è troppo sovraesposta. Oppure Anna, che abbiamo invitato nel nostro programma, anche lei sta avendo un grande successo, ma quando è venuta ha detto che era la sua prima volta… È tutto diverso da quello che è successo per decenni, tutto più frettoloso. Anche le piattaforme stanno modificando radicalmente la concezione della musica, ci si gioca tutto nei primi venti secondi per evitare che l’ascoltatore passi alla traccia successiva…
Parlando di streaming e classifiche, elementi centrali per il vostro programma, quanto ci dicono le classifiche di oggi?
Beh, innanzitutto non ci dicono più quello che è più venduto ma quello che è più ascoltato, perché lo streaming vince di gran lunga… e forse può essere anche un modo per riflettere, visto che le vendite sono diventate una roba molto strana, ultimamente, difficile da analizzare. Secondo me cambierà tutto a vista d’occhio perché è troppo legato a valori in mutazione, non sono cose fissate, è tutto molto appeso. Le classifiche classiche sono andate avanti per cinquant’anni, queste di ora non saprei. Immagino che tra qualche tempo sarà già tutto diverso…
Daria Addabbo
Un altro giorno è andato. Le stagioni di Francesco Guccini
Prefazione di Gino Castaldo
Editore: Jaca Book; Illustrated edizione (28 gennaio 2021)
Lingua: Italiano
Copertina rigida: 188 pagine
ISBN-10: 8816606150
ISBN-13: 978-8816606159
Peso articolo: 1.22 kg
Dimensioni: 23.8 x 2.5 x 25.7 cm
Fonti
- Immagine di copertina tratta da: https://www.rai.it/ufficiostampa