Gianni Gori pubblica il libro Giuseppe Di Stefano: Voglio una vita che non sia mai tardi per Zecchini Editore. Non è una monografia ma “un modo di trasvolare un settantennio di glorie” del tenore siciliano…
Il tesoro scoperto per caso: la voce di Giuseppe Di Stefano, il tenore che ha incarnato in un lampo di vita e nella fragranza naturale dello smalto l’anima popolare di un nuovo “recitar cantando”. Non è stato solo la voce di soavità ammaliante in una pleiade di grandi cantanti e in quel divismo dell’Opera tanto avvincente quanto le storiche passioni sportive del tempo. È stato il tenore più amato dal pubblico di tutto il mondo — nella buona e nella cattiva sorte — anche per la straordinaria comunicativa, l’innata simpatia, la generosità, lo slancio istintivo e temerario con il quale aveva gettato il cuore (e la voce) oltre l’ostacolo di un repertorio sempre più vasto ed insidioso. Gli si rimproverava aspramente di aver bruciato nell’arco di un decennio le sue qualità assolute di “lirico”, di aver consumato troppo presto la sua carriera, come del resto aveva fatto la sua leggendaria partner Maria Callas.
Di questo eccentrico cantore della “dolce vita” Gianni Gori ripercorre l’avventura umana ed artistica nel segno della Leggerezza. E ne fa un ritratto narrativo che muove proprio dalla leggerezza degli esordi di Pippo e chiude con il ritorno al suo primo-e-ultimo amore, fra l’operetta e la grande canzone. Riemergono da queste pagine non solo le purezze vocali della gioventù, ma anche, filtrate dalla cronaca e dalla storia, le emozioni che il tenore dalla “vita spericolata” ha saputo sbalzare nelle interpretazioni e negli affetti dell’ultima stagione.
Il libro della collana Grandi Voci contiene una posfazione di Adolfo Vannucci
Giuseppe Di Stefano, per la mia generazione “di guerra” è un peccato di gioventù. Lui stesso è un pé ché de jeunesse. E` l’incarnazione stessa del peccato. Veniale, ma pur sempre peccato. E dolcemente irresistibile come le tentazioni.
Chi, in quel dopoguerra fremente di operistici furori, non ne ha amato lo smalto vocale? Chi non ne ha subìto la seduzione quasi erotica, assaporando la fragranza di quel canto distillato da una sorta di alambicco dei sensi? Chi non ne restava soggiogato, arrendendosi all’impetuosa corrente di simpatia?
Eppure il tenore siciliano, irrompendo nel canoro divismo italico, pronto ad incrociare il ferro, temprato alla fucina di Gigli, con il rivale “poderoso” (Del Monaco), a misurarsi – lui stilisticamente “conservatore” – con il riformismo sensazionale della Callas, sarebbe diventato presto vittima del suo stesso iperattivismo spericolato, che ne avrebbe fatto appunto uno dei nostri peccati di gioventù, uno dei migliori rimorsi.
Giuseppe Di Stefano: Voglio una vita che non sia mai tardi
Il tenore che ha incarnato in un lampo di vita l’anima popolare di un nuovo recitar cantando
di Gianni Gori
Zecchini Editore – Le Grandi Voci
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