Guy Littell pubblica una riedizione di due dischi usciti nel 2011 e nel 2009 Later e The low light and the kitchen. Blog della Musica li ha recensiti

Smettiamola di chiamarlo rock anni 90. Lo dico anche a me stesso. Ogni volta che c’è una chitarra distorta, con suoni che cercano le dissonanze come in Coffee and TV dei Blur, o che c’è un basso che suona regolare e impassibile come quello dei Sonic Youth, o come quando c’è la malinconia costante dei primissimi Radiohead, ci riempiamo la bocca di “90’s”.
Io credo invece, che col ritorno del rock nel mainstream, possiamo parlare anche di una lecita risalita dell’attenzione anche verso il rock che all’epoca si definiva “alternativo”. Dunque, chiamiamolo rock contemporaneo. Quella di cui parliamo qui, è una doppia riedizione digitale di Guy Littell, uno dei tanti artisti che meritano più attenzione di quella che hanno. E nelle intenzioni non c’è nulla di nostalgico, né retrospettivo.
Uno è il primo disco, Later, uscito nel 2011 e che quindi compie dieci anni.
L’altro è del 2009, ed è come dire il “disco zero”, l’EP The low light and the kitchen, entrambi autoprodotti.
Entrambi raccolti e valorizzati dalla AR Recordings, i due lavori sono caldi ed accoglienti, con chitarre acustiche ed elettriche che ti trascinano via.

Del primo EP, spicca The safer past, un indie-rock condito dal glockenspiel. Non faccia paura il termine “indie”, defraudato negli anni Dieci perché collegato a un itpop ruffiano. Qui si tratta ancora di quelle belle chitarre degli Arctic Monkeys, per intenderci, e una voce che in certi momenti ricorda quella degli Editors, per non nominare i Grandaddy.
Ecco, per specificare cosa si intende per indie.
Il pensiero alla chitarra di Coffee and TV scritto prima, è arrivato a causa degli assoli di Sweet thoughts of pain dell’EP, e di “Black water” dell’LP. Ma sono sensazioni personali e puramente aleatorie.
C’è anche un tocco psichedelico, con le scivolate sulla chitarra con lo slide, in No damn week, dove arrivano anche banjo e percussioni, a farti compagnia vicino al caminetto. O il sentore blues, corroborato dall’organo in A gifted summer, canzone tripartita nella struttura: un momento blues secco, una seconda parte melodica, una terza trascinata e asettica. Non tutte le canzoni seguono la struttura strofa-ritornello.
Il crunch della chitarra rende croccante il ritmo shuffle di Within, ma lo spirito generale è quello di una certa stanchezza di vivere e una difficoltà comunicativa, un sentimento che potrebbe essere condiviso da molti, in questi tempi, ascoltando Tired of tellin: “I’m too tired to be through trying, I’m tired of telling, please understand me”.
A sorpresa c’è anche un divertente punk melodico, Needed that call. La voce si fa rauca in Small american town, mentre un violino arricchisce Best thing ever, il pezzo di chiusura.
Difficile avervi trasmesso quel che volevo trasmettervi, perché questa musica è sì malinconica, ma è anche un abbraccio che ti consola. Rubo le parole a Guy Littell da The nightmare came per chiudere: “I got no words to describe”.
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