Helle, un disco importante, dai suoni digitali e non solo… dai ricordi delle grande scuole inglesi anni ’90 ma non solo… un disco che parla a se stessa ma anche ad ognuno di noi e lo fa cercando nel passato la chiave di quella leggerezza, liquida e melodica, sfoggiando un’elettronica che non soffoca e neanche costringe l’ascolto a doversi per forza identificare in altro.
Parliamo di Lisa Brunetti, parliamo di Helle e di questo Disonore uscito per la Volume! e che ad oggi sta raccogliendo già importanti riscontri di critica. Basta spulciare il video di “Carovane” per capire in quale mood ci costringe la sua voce, le soluzioni di arrangiamento. E sfogliando la tracklist di questo disco arriva forte il peso sociale delle liriche spesso rivolte all’alienazione che le nostre maschere ci regala ogni giorno. E più che uno schiaffo alle tante ipocrisie, l’accettazione di chi siamo veramente… e di cosa stiamo diventando visto che il disco non volta certo lo sguardo alle realtà dei social.
Ci incuriosisce sempre la scelte di un nome. Partiamo da HELLE: cosa rappresenta?
Il mio nome è Lisa: l’iniziale “Elle” sarebbe stata tecnicamente più corretta, ma ne è pieno il mondo. Un vecchio collaboratore suggerì di metterci una “h” muta davanti. Mi è parsa un’idea carina, perciò gli ho dato ascolto. I nomi sono un fatto scomodo, perché insieme a quelli si lega sempre un concetto identitario: com’è la natura umana, difficile e caleidoscopica, inevitabilmente anche un soprannome finisce sempre per diventare di troppo, strambo, inadeguato.
Helle, un moniker nasconde la vera identità? Perché lo si sceglie in luogo del nome proprio?
Credo in fin dei conti che il moniker sia solo una questione sonora, d’apparenza. Nascondersi o no dietro uno pseudonimo cambierebbe poco, nel concreto, tanto sul palco ci finirebbero comunque la mia faccia, i miei testi e la mia musica. Sarei sempre io, ecco, capelli ricci o lisci, Lisa o Helle. Le esibizioni hanno tutte lo stesso scopo, indipendentemente dalla maschera che porti: tramite l’arte scegli di veicolare all’esterno determinate realtà interiori. Se devo essere sincera con voi, in questo caso la questione ha ruotato attorno ad un bisogno elementare: non trovavo il mio cognome idoneo ai contesti artistici. Non mi suonava bene, lo sentivo troppo burocratico. È altrettanto vero però che con il nome d’arte in un certo senso io abbia cercato di preservare quel poco di intimità che rimaneva di me stessa: facendo il nostro mestiere è come se pubblicassimo dei diari personali, a tutti gli effetti. Forse l’ho messo come scudo, o barriera… Non chiedetemi da quale nemico cercassi veramente riparo, perché non saprei rispondervi.
La copertina poi gioca assai bene con i concetti di bene e male che sono racchiusi nel disco. Il glamour contro le “rovine”… vero?
Assolutamente. Il mio fotografo Fabrizio Romagnoli ha avuto l’idea del contrasto. Personalmente, trovo che rispecchi perfettamente lo spirito dell’album e della maschera sociale di cui parla.
Sulle nostre pagine in rotazione c’è il video di “Carovane”. Un video vintage in linea con il suono? Come l’hai realizzato?
Carovane è un montaggio di una serie di video realizzati tre anni fa, quando ancora si poteva andare in giro senza mascherine, senza paure. Eravamo liberi e inconsci del futuro. Ora quegli anni paiono quasi un’epoca lontana ed idilliaca. Ho pensato avessero un’aria nostalgica, perciò li ho montati insieme in un video. L’aria vintage è uscita fuori per caso, per esperimenti. Un elemento importante sia del video che della canzone si identifica nella gente, incontrare carovane che poi non s’incrociano più: la condizione esistenziale dell’uomo credo non differisca troppo da un viaggio.
Lo sai che questo disco starebbe assai bene in vinile? Cosa ne pensi?
Ti ringrazio molto per il suggerimento – e complimento. Sicuramente un giorno si faranno copie fisiche… Magari anche dei vinili, chi lo può dire. Sicuramente sarebbe una gioia vedere l’album stampato: mi ricorderebbe quelle domeniche a casa dei nonni, quando si ascoltavano spesso e volentieri dei vecchi vinili, la carta da parati che si staccava, i girotondi nei saloni. Sarebbe un bel tuffo nel passato.
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