Si intitola “In caso di pioggia la rivoluzione si farà al coperto” il nuovo disco dei BORGHESE… o forse dovremmo chiamarlo esordio per la nuova faccia di un cantautore divenuto band passato in rassegna dalle cronache discografiche con il primo album uscito nel 2013 dal titolo “L’educazione delle rockstar”. I Borghese oggi firmano arrangiamenti e scrittura di un disco uscito per la TouchClay Records che trascina oltre il confine della retorica, testuale quanto melodica, e fa razzia di luoghi comuni (citando un passato loro successo) per gettare fango e voglia di rivoluzione contro una società che ha davvero poco di cui glorificarsi. Un primo singolo che la dice lunga sulla direzione perseguita: “La tipa di Rockit”. Rabbia e risentimento anche verso il sistema giornalistico di cui tutti siamo in qualche modo complici. Oggi in radio c’è “I miei primi 30 anni“ di cui vi abbiamo presentato il video: l’ascesa alla maturità, i demoni sociali e istituzionali, un bambino e il suo futuro. L’intervista per gli amici di Blog Della Musica:
Da BORGHESE a I BORGHESE… perché si diventa gruppo? Il cantautore e il suo passamontagna che fine hanno fatto?
Si diventa gruppo quando dalle idee di uno si passa alle idee di quattro che , avendo suonato insieme nel primo disco, hanno sposato il progetto e hanno cominciato a buttare nel forno della creatività le loro idee musicali. La maschera era una provocazione verso il reame dell’immaginea (ovvero il mondo della musica) ed anche un modo puerile di malcelare un certo pudore nell’esternare le mie idee attraverso le canzoni. Presa una certa dimestichezza con “l’attrezzo” cantautoriale e godendo dell’apporto dei nuovi (vecchi) compagni di viaggio, ecco che la mia faccia è diventata più tosta e più pronta alle battaglie.
“I miei primi trent’anni”…come sono stati? Questo disco di denuncia li racconta a pieno o manca qualcosa?
Paradossalmente, in un disco corale che rappresenta quattro persone, questo pezzo è proprio quello più autobiografico per me, più personale e più sincero; tanto più che quasi tutti nella band sono ancora al di sotto della fatidica asticella dei trenta raccontata nel testo. Questi trent’anni sono stati un grande viaggio, in cui ho conosciuto molto di buono e molto di cattivo di me e di chi mi ha circondato, ho fronteggiato grandi dolori e grandi gioie (perchè le gioie le devi affrontare ed elaborare come i dolori) ma mai, e lo dico con orgoglio, mai mi sono alzato la mattina e ho guardato una faccia diversa dalla mia nello specchio. “Faccio ancora sogni con sceneggiature da premio Oscar, eppure ho perso tante volte che a trent’anni dovrei chudere le porte che a venti pensavo di sfondare”
Testualmente siete molto poco melodici in senso classico. I testi puntano molto al racconto più che al cantato. Che tipo di scelta è? Un marchio di fabbrica sicuramente…
E’ vero, i nostri testi sono praticamente prosa in musica. In particolare questo è proprio un disco di “Intercettazioni ambientali” in cui per più di un anno ho riversato, copiato, incollato e estrapolato dal contesto centinaia di frasi rubate ovunque e a chiunque intorno a me; più che l’autore preferisco dire che sono il regista di questi testi.
Il primo singolo “La tira di Rockit” ha destato meno polemiche di quello che forse cercavate. Come a dire che la polemica oggi è il motore della promozione?
“La tipa di Rockit” per una band autoprodotta proveniente dalla provincia Abruzzese invece ha fatto davvero il botto: quasi ventimila visualizzazioni tra Youtube e Fanpage, feeedback entusiastici del nostro pubblico e il videoclip (di Carlo Liberatore) addirittura vincitore del premio della giuria del Cervignano Film Festival nella sezione videoclip internazionali; grazie a quel singolo siamo stati selezionati da Repubblica come band più innovatrice per rappresentare l’Abruzzo nella loro manifestazione itinerante Next, alla scoperta delle migliori produzioni del territorio. Il pezzo in realtà non voleva essere provocatorio, quanto più un modo scanzonato ma al tempo stesso amaro di intendere il rapporto tra musicisti e critica: la nostra tesi è che autorevolezza e autoironia non possono non andare a braccetto sia per un musicista che espone la sua opera al critico, sia per un critico che giudica un’opera di un musicista. A proposito di questo, dopo sei mesi dall’uscita del singolo, una settimana fa è uscita la recensione del nostro disco da parte di Rockit: bella, dettagliata e preparata. Con un’unico neo: non menziona in nessun modo il pezzo che porta il loro nome, come se ad un critico di cucina gli si chiedesse un parere su una bistecca e lui si cimentasse nella descrizione del contorno facendo finta di non vedere altro. Autoronia e autorevolezza: ça va sans dire…
“In caso di pioggia la rivoluzione si farà al coperto”. Ma insomma, si ha davvero bisogno di rivoluzione? Non c’è altro modo di uscir fuori da questo fosso?
Il messaggio del titolo è doppiamente chiaro: “In caso di pioggia la rivoluzione si farà al coperto” schernisce l’attitudine a sbandierare rivoluzioni che non esistono e magari, dietro queste, anche a nascondere pericolosi arretramenti ideologici e sociali. Al tempo stesso, con l’immagine della copertina (un bambino dietro un vetro bagnato dalla pioggia) abbiamo voluto augurarci che il vero cambiamento epocale sia personale ed interiore.
Musica per smuovere le coscienze. Un tempo serviva anche e soprattutto a questo. Voi ne sposate a pieno il filone. Dite che la musica abbia ancora questa forza o sia solo un mero prodotto di commercio per bene dichiaratamente futili?
La musica, secondo la mia modestissima opinione, socialmente non è mai servita ad un cazzo. Ha sempre accompagnato le epoche storici e ne ha rispecchiato e osmotizzato gli umori, non peraltro i veri innovatori in musica son stati capiti dedenni dopo. Per questi tempi certo non mi immaginerei un disco alla “Voce del Padrone” di Battiato ad accompagnare una giornata di un ragazzo di ventanni. Viviamo tutti in un piccolo spazio due metri per tre, praticamente un ascensore; come normale conseguenza, la musica da ascensore è quella che sentiamo tutti i giorni. Per me scrivere è servito sempre come medicina per star meglio con me stesso; in questo senso forse , la musica ha senso… per chi la scrive. Se vi piace bene, se non vi piace, stiamo bene lo stesso.