Radiohead? Sex Pistols? Afrobeat? Elettronica? Tutto insieme? Gilberto Ongaro cerca di decifrare la novità art rock dei Fiesta Alba.
Devo essere sincero, il disco dei Fiesta Alba l’ho ascoltato in tre modi diversi. Faccio una confessione: spesso le mie recensioni più riuscite le scrivo prima di dormire, in quello stato intermedio tra la veglia e il sonno. Non so perché, ma in quella fase, si apre la mente in qualche modo; poi il giorno dopo rileggo cos’ho scritto, e mi stupisco delle parole che ho usato.
Il primo ascolto di Fiesta Alba è stato così, dopo aver letto le indicazioni del comunicato: si scrive che questo è un debutto art rock, che mescola afrobeat e elettronica anni ’90. Con questi tre termini hai già tutta la mia attenzione. L’errore mio, al primo ascolto (ve lo dico, così non lo fate voi), è stato concentrarmi nel cercare questi tre elementi: art rock, afrobeat ed elettronica. Ed effettivamente li ho trovati tutti e tre, ed è davvero curiosa come commistione. Poi mi sono addormentato.
La seconda volta, ho ascoltato l’EP Fiesta Alba lavando i piatti, e caspita, solo allora mi sono reso conto di quanto aggressiva sia questa proposta. Il sound complessivo è molto antagonista. Il beat è violento, e quei riff di chitarra pulita, tipicamente afrobeat, si mescolano con la chitarra distorta ed il resto dell’arrangiamento in maniera caotica, a tratti dissonante. La voce che canta in “Laundry” (Welle) alterna lamenti sofferti à la Thom Yorke nei Radiohead, a urla più convinte, da novello John Lydon dei Sex Pistols. Un sentore di Radiohead (della seconda fase) si sente anche nelle scelte estetiche del sound di chitarra. Ma solo lì, non c’è spazio per la malinconia, qui c’è più rabbia, quella che prima distrugge ma poi permette di ricostruire, con criteri diversi.
Ora sono al terzo ascolto, sveglio e in cuffia, da diligente ex studente del Dams. E posso dirvi che: a volte la musica si arresta senza preavviso, come al centro di “Juicy Lips”, brano che ospita il rapper Tha Brooklyn Guy. “I just wanna be feelings of joy”, ripete Kylo Osprey, artista nigeriano, sopra la musica di “Dem say”, che si basa su riff distorti di chitarra e basso all’unisono, che suonano forti e minacciosi.
Al contrario, “Burkina Phase” porta il suo approccio sperimentale ad accostare il beat da club, a dei loop di marimba. L’intenzione è meno corporale e più cerebrale. Poi, si sente una voce parlare, ed è nientemeno che Thomas Sankara, il celebre e scomodo leader del Burkina Faso, ucciso nel 1987. Nella seconda metà del brano, parte un assolo di tromba. Con un ritmo simile a quelli della trip hop, si avvia la conclusiva “Octagon”. Sull’elettronica si versano le distorsioni di chitarra, assieme a loop di tromba e trombone.
Se non bastassero tutte queste idee musicali frizzanti, dal vivo i Fiesta Alba si esibiscono con maschere da wrestling. Questa novità è davvero da tenere sott’occhio, perché riprende l’attitudine della musica sperimentale, così cara negli anni ’90, e la riporta nell’attualità del sempre più capillare afrobeat.
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