Ada Gentile, pianista e compositrice di fama internazionale, si è diplomata al Conservatorio S. Cecilia di Roma. Tra le sue opere ricordiamo “Ho scritto una canzone”, per archi, commissionata per l’80° compleanno di Ennio Morricone e “Un’ansia di pace”, per orchestra, coro e voce recitante eseguita in 1^ assoluta a Taranto nel febbraio 2010 con la voce recitante di Alessandro Quasimodo. Da oltre 30 edizioni, Ada Gentile organizza il Festival di musica del Novecento “Nuovi Spazi Musicali”. Ecco l’intervista al Blog della Musica.
La prima domanda che mi viene da farle è a proposito dei suoi primi accostamenti al mondo della composizione.
Io ho iniziato a tre anni lo studio del pianoforte, non pensavo di fare la compositrice. Poi attorno ai 16 anni c’è stato questo ripensamento, ma avrei voluto studiare filosofia e fare la giornalista.
Interessante! Come e come mai il passaggio dalla filosofia alla composizione?
La composizione si è intrufolata con una certa prepotenza, perché ripeto io ho iniziato come pianista. Poi ho conosciuto Irma Ravinale che purtroppo oggi non c’è più. Questa conoscenza è stata basilare per me, ha deviato i miei interessi pianistici sulla composizione e non me ne pento, assolutamente no.
A questo proposito. Lo studio pianistico accostato all’approccio compositivo: com’è stato per lei sperimentare questo doppio binario?
Per me lo studio pianistico insieme a quello della composizione è difficilissimo. Ecco perchè poi la composizione ha preso piede. Sono dell’idea che due situazioni musicali insieme non si possano assolutamente portare avanti perchè il pianoforte assorbe mille energie e la composizione assorbe altre mille energie quindi assolutamente non si può. Poi credo che un musicista debba anche vivere, interessarsi di altre cose.
Quali sono le esperienze fondamentali del suo percorso accademico?
Indubbiamente la conoscenza dei due Maestri: Irma Ravinale e Goffredo Petrassi. Dopo il percorso fondamentale è stato quando sono stata lasciata sola ed ho finito gli studi. Lì ho dovuto pensare da sola, non andando da questo o dall’altro maestro, assolutamente. Ho voluto cominciare a capire cosa dovevo fare e questo mi ha dato molta soddisfazione.
Questa parte dell’apprendimento – il distacco dal maestro – è una parte molto importante. Quali sono state in quel periodo le esperienze fondamentali per la sua crescita estetica, compositiva e personale?
Le esperienze fondamentali? Diciamo… Questo trauma che in genere hanno i giovani studenti quando lasciano un maestro e vanno da un altro io non l’ho subito, forse anche perchè c’è stata per me una continuità di scuola essendo la Ravinale allieva di Petrassi. Diciamo che con Pertassi c’è stato un raffinare la mano, un raffinare il pensiero, un non avere più i problemi della “scuola”. Quindi è stato un percorso non più normativo come poteva essere quello conservatoriale, ma assolutamente formativo. Dopo è iniziata la mia formazione professionale “da single”, da musicista lasciata al suo destino, ma giustamente con tutto un bagaglio tecnico molto importante. Questo è il consiglio che darei ai giovani: sbattere la testa da soli – se c’è un bagaglio solido sulle spalle, ovviamente.
Secondo Lei qual è la situazione generale della musica contemporanea in Italia ed in Europa, e qual è il suo ruolo nella modernità?
Io vedo che oggi i giovani fanno poca ricerca. Noi compositori della generazione degli anni ’80 eravamo più attenti; molto diversi tra di noi (e questa è una cosa importante: non eravamo tutti intrippati come si dice, ognuno aveva la sua personalità) e dediti alla materia e alla ricerca. Oggi mi sembra che oggi il compositore voglia subito il contatto con il pubblico, il riconoscimento del pubblico…
Per avere una direzione nell’ascoltare i suoi lavori che sono molti: ci sono tra di essi alcuni che la rappresentano di più?
No, assolutamente no. Questa è una cosa che dico sempre. Dal mio lavoro scritto nel ’78 all’ultimo scritto quattro mesi fa tutti i lavori sono molto rappresentativi, perchè la caratteristica del mio lavoro è l’unitarietà, la coerenza del linguaggio. Certo, nell’80 avevo forse una mano meno esperta, adesso invece c’è qualche furbizia in più, cioè il mestiere. Però parlando di linguaggio quello è riconoscibile in tutti i pezzi.
Vuole dirci qualcosa a proposito del Festival di Roma “Nuovi Spazi Musicali” di cui lei è l’organizzatrice?
É un festival che per 33 anni è vissuto a Roma, ora ci siamo trasferiti ad Ascoli da due anni. Questa è la terza edizione che si svolge al Teatro Lirico di Ascoli Piceno, uno splendido posto. Avevo desiderio di trasferirmi qui lasciandomi alle spalle il magma di Roma, splendida città ma molto difficile per chi lavora. Qui c’è una dimensione più umana ed è una cittadina molto colta e vivace, piena di arte e di musica. Ho trasferito questo festival quasi con paura, in quanto festival di musica particolare. Invece è stato accettato con un tifo quasi da stadio direi. Cerchiamo di continuare così, vuol dire che la musica del Novecento se si sa presentare cogliendone e presentandone l’essenza giusta può sicuramente avvicinare il grande pubblico.
Grazie Maestro per il tempo che ci ha concesso.
A cura di Nicola Elias Rigato
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