Improvvisazione jazz: didattica e riflessioni. Jazzisti si nasce o si diventa?

Si può insegnare l’improvvisazione e nello specifico l’improvvisazione jazz? Jazzisti si nasce o si diventa? Lo scopriamo nell’articolo di Virginio Aiello, pianista, compositore e jazzista

La didattica del jazz ha conosciuto di recente nel nostro paese una rapida crescita, sia per quel che riguarda gli aspetti strumentali e improvvisativi, sia per quanto concerne l’ambito teorico e storico-critico. E’ necessaria oggi, una riflessione sull’insegnamento della musica jazz come concezione improvvisativa e come pratica strumentale, in un momento in cui nel nostro paese la richiesta di apprendimento di tale musica è assai viva e i corsi dedicati al jazz nei Conservatori conoscono un notevole incremento di allievi e un indubbio incentivo nella qualità dell’insegnamento. In questo articolo cercheremo di dare delle risposte ad alcune domande. L’improvvisazione jazz si può insegnare? Jazzisti si nasce o si diventa?

Utilizzo didattico dell’improvvisazione jazz

Per chi ha ricevuto un’educazione musicale accademica, spesso la pratica dell’improvvisazione è vissuta come un percorso difficile da affrontare, pensando che occorrano chissà quali abilità o percorsi specifici di studio. Una corretta educazione al Suono dovrebbe invece prendere vita proprio da un lavoro improvvisativo e di auto-ascolto: le prime musiche suonate dall’uomo infatti non possono essere state altro se non questo.

Per quanto riguarda l’utilizzo didattico dell’improvvisazione jazz è utile ricordare in particolare Emile Jacques-Dalcroze che ha inserito nella sua visione pedagogica l’improvvisazione come fattore di crescita creativa e di sviluppo della maturità dell’allievo (di qualsiasi ordine e grado, anzi la sua visione è applicabile anche ai processi formativi di natura professionale riferiti alla improvvisazione e al jazz). Egli propone un metodo dinamico e interattivo, che problemizza l’aspetto didattico, offrendosi più che come un ricettario di formule, come stimolo all’applicazione della creatività individuale, attentamente incanalata e guidata dal docente.

I Suoni dell’esistenza umana

L’uomo ha scoperto come la natura gli potesse comunicare con i suoni (il rombo di un vulcano in eruzione, o il cupo rombo di un terremoto, i suoni prodotti dal vento tra i rami degli alberi, i diversi suoni comunicativi degli animali ecc.). Basta fermarsi un attimo per riprendere questa atavica e primitiva capacità di ascolto della realtà circostante e rendersi conto di quanto siamo immersi nel suono e quanto questi suoni possano interagire con il nostro pensiero.

Prendere coscienza che anche l’essere umano immerso nella natura è un involontario produttore di suoni (il respiro, il movimento ecc.) è forse stato il primo atto di creatività comunicativa e artistica. Suono – azione è un binomio che si è sviluppato fino a creare quello che siamo: un insieme immenso di probabilità sonore in cui la scelta di alcune non esclude le altre, ma ne riafferma la probabilità.

Il suono, il significato dato al e dal collegamento di suoni, la parola, il ritmo che ne giustifica la stessa esistenza, creano quello che comunemente chiamiamo musica. Come può tutto ciò non evolversi attraverso l’improvvisazione jazz? Cioè il tentare, attraverso anche la sublimazione dell’errore, di guardarsi dentro nel tentativo di dare una motivazione estetica alla stessa realtà. La musica in fin dei conti dà un senso estetico al fluire del tempo, e l’improvvisazione fa della sua stessa fugace apparizione temporale irripetibile, un arcaico ritorno alla volontà di comunicare con la propria esistenza riconoscendone l’inscindibile relazione con il tempo e la stessa realtà.

La voglia di imparare… improvvisando

La pratica dell’improvvisazione jazz si deve intendere come un work in progress, un laboratorio continuo attraverso il quale si raggiungono risultati parziali ma non una meta finale.

L’atteggiamento dell’improvvisatore non dovrà essere quello dell’interprete bensì dello sperimentatore; se si sbaglia, si proseguirà senza fermarsi per poi ripetere; in questo modo il nostro pensiero si abituerà alle decisioni immediate. Proprio perchè l’improvvisazione è irreversibile, non si possono cancellare le note mal riuscite ed infelici; si può solo reagirvi, farvi fronte, trasformandole in qualcosa di altro, un tentativo di revisione che diventa esso stesso parte della musica. La pratica costante è necessaria in quanto l’improvvisazione è come la tecnica strumentale: se non si esercita decade e si dovrà recuperare studiando.

Improvvisazione jazz: Jazzisti si nasce o si diventa?

Ornette Coleman jazzista sax

Il musicista Ornette Coleman in un momento di improvvisazione jazz

Non esiste una contrapposizione strutturale tra jazz e formazione teorica, tra jazz e formazione accademia. L’improvvisazione jazz si è sempre studiata, perché è un linguaggio, ed è composto di parti che si combinano tra loro dando origine talvolta a soluzioni originali. Il jazz si è studiato attraverso l’ascolto dei dischi, fondamentale per la ricezione in Europa, ma anche per la circolazione negli Stati Uniti stessi, poi il jazz è arrivato nell’accademia, e c’è arrivato non ieri, o l’altro ieri, ma c’è arrivato da vari e svariati decenni; c’è arrivato attraverso le sue figure più avanzate: penso a Ornette Coleman, che fu introdotto nel mondo accademico da John Louis, un musicista tutt’altro privo di preparazione tecnica. Vi è una convinzione ancora abbastanza diffusa per cui il jazz è un qualcosa che non si può e non si deve studiare, perché il jazz è considerato un genere musicale legato alla genetica e allo spontaneismo.

Pensate all’espressione “avere nel sangue il jazz” normalmente abbinata agli afroamericani. Pensate all’altra espressione per cui il jazz appunto è creazione spontanea che non deve essere regolata, essere inquadrata dentro degli schemi tecnici perché altrimenti perderebbe valore. In realtà queste convinzioni, hanno una serie di fattori causati, per esempio dal fatto che la critica del jazz in Europa, negli anni ’20, ha molto messo l’accento sull’esotismo e sulla radice africana del jazz, anche quando la radice africana del jazz magari neanche esisteva. Lì si è molto posto l’accento sulla diversità del jazz: il jazz è qualcosa di diverso dalla musica classica o comunque dalle incursioni musicali europee.

Altra ragione della convinzione per cui il jazz non debba essere studiato è data dallo spontaneismo. Spontaneo, rivendicazioni forti di originalità e identità culturali provenienti da jazzisti in particolare afroamericani: penso ad esempio alle posizioni di Miles Davis sulla rivendicazione del jazz, come anche neroamericana, come espressione unica, peculiare dell’identità culturale degli afroamericani, ma anche da parte di alcuni bianchi, soprattutto nel periodo del cosiddetto Dixieland revival degli anni ’40, ci sono stati musicisti bianchi che hanno sostenuto, che il jazz è qualcosa d’inventato dai bianchi, con la cui invenzione i neri nulla hanno a che fare, quindi legato alla genetica d’identità culturale. In Italia questa convinzione per cui il jazz è creazione spontanea che non va studiata, e che non ha bisogno di essere studiata, è molto legata alla ricezione, a mio avviso distorta, di certe correnti del free jazz in particolare newyorkesi, come musica antiborghese e quindi anche accademica: il jazz è libero, è rivoluzionario, è di sinistra, è quindi antiaccademico, antiborghese.

A cura di Virginio Aiello
Pianist, Composer, Accordionist

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Info: https://www.facebook.com/virginioaiellopiano

Ringraziamo il pittore Francesco Toraldo per le immagini dei suoi bellissimi dipinti. Maggiori informazioni le potete trovare su www.francescotoraldo.com

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