Un’intervista Spaghetti Americana con The Beards

Oggi facciamo una chiacchierata con i The Beards, una band Veneta con una particolarissima sonorità. Emanuele Marchiori e Massimiliano Magro provengono dalla Riviera del Brenta (Ve) e già con il primo album Mephisto Potato Sauce (2006) hanno riscosso una sorprendente attenzione in America: il loro originale mix di blues, country, folk e rock, ribattezzato proprio oltreoceano Spaghetti Americana, gli ha consentito di avere un immediato e incuriosito feedback dagli States. Compiono così il primo tour americano: 18 concerti e migliaia di miglia percorse dalla Florida all’Ohio fino a New York, dove suonano con il leggendario batterista di The Band Levon Helm.

Vediamo ora di conoscerli un po’ meglio.

Quali sono stati i vostri inizi? Anche voi, come molti, siete stati una cover band prima di essere una band di respiro internazionale addirittura prodotta da una etichetta statunitense?
Non siamo mai stati una cover band, ma come tutti i gruppi all’inizio abbiamo cercato di suonare le canzoni che ci piacevano maggiormente e sviscerandone i segreti. The Beards sono nati nella formazione Marchiori-Magro nel 2005 e fin da subito ci siamo messi a scrivere le canzoni di Mephisto Potato Sauce. Quindi direi no, non siamo mai stati una cover band. Ci paragoniamo invece ad un piccolo laboratorio artigianale che esporta all’estero il proprio prodotto.

Il vostro primo album risale al 2006 Mephisto Potato Sauce e metteva in musica il folklore e le leggende del nostro Veneto. Ha funzionato perfettamente per l’estero, ma in Italia?
Mephisto Potato Sauce è un disco pensato esclusivamente per il mercato estero , le storie e leggende della campagna veneta ci sembravano perfette per lo scopo, potrà sembrare un’idea pazza ma ha funzionato. Anche in Italia comunque questo disco ha ottenuto un ottimo riscontro tra recensioni, passaggi in radio e in tv e vincendo il premio “Armonie Musicali” al Jesolo Music Festival.

Parliamo ora del vostro ultimo album, una antologia Spaghetti Americana. Un titolo, un genere (tutto vostro), ma anche un manifesto programmatico.
Spaghetti Americana è il titolo che è stato scelto dall’etichetta statunitense America Recordings e prova a sintetizzare quello che può essere il nostro genere agli occhi degli addetti ai lavori d’oltreoceano. La parola ‘spaghetti’ ha a che fare con i film western all’italiana ed in particolare con quel modo poco americano di rielaborare le sconfinate praterie del west. A questi film veniva riconosciuta una sublime bizzarria come del resto alla nostra musica. Da qui l’associazione del termine spaghetti a quello ‘americana’, che è una sconfinata prateria di generi che comprendono blues, rock, country, cajun… La realizzazione di questa antologia è stata una volontà dell’etichetta che si è fatta promotrice anche della stampa di una versione in vinile, proprio con l’idea di riassumere i dieci anni di scorribande e fatiche musicali di The Beards.

Questa antologia esce non perché siete in una fase di stanchezza o di scarsa ispirazione, ma perché il vostro primo lungo ciclo musicale volge al termine. L’imminente nuovo cd Freak Town vede la produzione e la partecipazione come terzo elemento del gruppo di Jim Diamond. La sua produzione ha portato i White Stripes dall’anonimato al successo mondiale, cosa ci si attende da The Beards?
Siamo arrivati a Freak Town dopo molti chilometri di viaggi in giro per il mondo, molti concerti e vere e proprie battaglie in sala d’incisione. Con questo background abbiamo gettato le basi per una collaborazione importante come quella con Jim. La natura di un sodalizio non è di inspiegabile filantropia, ma è di romantico affarismo: i dischi precedenti hanno attratto interesse e determinato vendite importanti, ad es. Muskito ha ricevuto apprezzamenti da parte di Rick Rubin ed è un bestseller del mercato indipendente. Tutti i dischi hanno avuto molti passaggi in radio, recensioni e critiche positive a livello mondiale. Questi sono i presupposti per i quali si è voluto scomettere su di noi e tentare il salto ai ‘piani superiori’. Da The Beards si attende un disco che possa non solo consolidare i risultati precedenti, ma fare breccia nel circuito mainstream, non ci si aspetta un successo alla Lady Gaga ma si mira alla creazione di un ‘barbeque stopper’. Questa è la definizione australiana di quei brani che trasmessi alla radio fanno girare la testa a chi sta cucinando la carne alla brace (a detta di Julien Poulson)…

Spaghetti Americana è un ottimo biglietto da visita per conoscere The Beards. In che modo avete selezionato i brani?
Anche in questo caso la scelta è stata fatta dall’etichetta, la quale ha selezionato i brani che avevano maggior potenziale. È importante sottolineare come negli USA il concetto di antologia non sia quello di epitaffio: nel nostro caso la realizzazione di una raccolta rappresenta una fase fisiologica di un percorso discografico. Questa è l’iniziativa di una realtà che non comprende soltanto America Recordings ma altri players, tra i quali quello che sta promuovendo l’incisione di Freak Town. Soprattutto ci hanno evitato di litigare sulla scelta dei brani, così potemmo litigare su altro…

Avete definito Diggin’ Fingers (2008) come un disco di transizione, eppure ha momenti importanti, a partire dall’incontro con T.J. Cole, come mai?
Un disco di transizione per noi rappresenta un momento importante, come dimostra del resto l’antologia che sta per uscire. Diggin’ Fingers ha segnato un passaggio fondamentale tra un approccio più orientato verso la composizione ad uno volto alla sonorità. Volevamo ridurre le ambizioni compositive per sondare scenari sonori semplici, evocativi e agresti. Volevamo riempire le nostre saccocce creative di stimoli con i quali contaminare le composizioni successive. Caledonia Avalanche Blues racchiude la sintesi di questi due approcci ed è la piattaforma sonora sulla quale abbiamo modellato in melodia una lirica di T.J. Cole (Mike Bloomfield, Paul Butterfield). L’amico T.J. fu molto felice di affidarcene la trasposizione musicale e orgolioso di sentirne il risultato finale. Il testo è rimasto appiccicato al frigo di Levon Helm per diverso tempo prima di essere girato a noi, forse non se la sentiva di cantare una canzone dedicata a se stesso.

Con Widmann’s Mansion (2013) il rapporto con gli States si fa ancora più stretto: vi produce il grande Professor Louie (The Band, Mercury Rev etc.) ma in una villa veneta. Voi avete conosciuto personalmente Levon Helm e siete stati nel suo studio di registrazione a Woodstock. Com’è stato lavorare con il produttore degli ultimi 3 dischi di The Band?
È stata una grande esperienza umana e musicale. In studio abbiamo assistito alla costruzione di vere e proprie architetture vocali, abbiamo imparato quanto l’armonizzazione delle voci ha la capacità di portare l’arrangiamento in un’altra dimensione sonora. Questo insegnamento l’abbiamo messo a frutto in tutte le registrazioni succesive. Professor Louie è l’incrocio tra uno zio premuroso e un sergente di ferro, sa tirar fuori il massimo dalla truppa senza prevaricare la sensibilità altrui. In sala missaggio abbiamo imparato a concretizzare le nostre visioni musicali dal suo uso sapiente della regia. Widmann’s Mansion ha rappresentato l’inizio di una collaborazione che non si è conclusa con la realizzazione di Muskito e El Brigante, un altro progetto importante tra Louie e The Beards è in queste ore sul tavolo delle trattative…

Un’altra collaborazione arriva nello stesso periodo: Julien Poulson (Brian Ritchie e Nick Cave), vi affida la soundtrack del film Muskito. The Beards in versione colonna sonora: cambia molto?
Non cambia molto perchè la nostra prospettiva musicale ha sempre un taglio cinematografico. In un certo senso vediamo le canzoni come un flusso di fotogrammi sonori ed è per questa caratteristica che Poulson ci ha assoldato per la causa di Muskito. Lo incontrammo durante il Festival Folk Blues di Binic in Bretagna nel 2009, lui spesso ricorda la prima volta che ci ha visti dicendo che sembravamo usciti da un film western, dopo la nostra esibizione si convinse definitivamente. Con Muskito abbiamo spinto le nostre ambizioni oltre la composizione e l’arrangiamento, gestendo completamente la fase di produzione e missaggio col prezioso aiuto del nostro sound-engineer Francesco Fabiano. Attualmente stiamo lavorando con Julien alla preparazione di un musical basato su Muskito da presentare in Australia.

Nel 2014 esce un disco in italiano, si chiama El Brigante. Poulson e il Professore ci sono, c’è anche l’ottimo Alessandro Grazian: quanto c’è di americano e quanto di italiano in questo esperimento?
El Brigante come Muskito è pubblicato da Metal Postcard, un’etichetta che opera a livello mondiale e pubblica la world-music più ricercata. Metal Postcard ha sede in UK e Honk Kong, El Brigante è stampato in Repubblica Ceca, noi cantiamo in italiano ed esotico dialetto veneto, quindi stabilire la paternità del disco è praticamente impossibile! La fatica più grande è stata quella di calare l’italiano nel frastagliato contesto ritmico della nostra musica, fatica che si è espressa in termini di ricerca lessicale. Abbiamo infatti focalizzato la stesura dei testi sull’individuazione di parole che dessero un efficace apporto metrico e sonoro alle nostre composizioni senza perdere di vista il senso.

Musicalmente parlando l’America è ancora ‘the land of opportunity’? La vostra affermazione lì ha avuto del miracoloso oppure basta fare buona musica per essere apprezzati all’estero?
L’originalità ha giocato un ruolo sicuramente importante. La capacità di sopportare grandi sforzi musicali e la tenacia di fronte alle porte chiuse forse sono state ancora più determinanti. Ciò che possiamo dire è che gli Stati Uniti sono sicuramente ricettivi e soprattutto interessati all’innovazione in campo musicale, ma i buoni propositi non sono sufficienti.

Salutiamo i nostri amici Emanuele Marchiori e Massimiliano Magro e continuiamo ad ascoltarci la bellissima antologia Spaghetti Americana in attesa del sesto album di The Beards.

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