Ugo Gangheri, musicista e polistrumentista, ha pubblicato Un Biplano a 6 corde un corposo lavoro discografico solo strumentale con 16 brani. Anna Nani l’ha intervistato per Blog della Musica
Conosciamo meglio Ugo Gangheri, un musicista dall’innata sensibilità che ad aprile ha pubblicato il quarto lavoro discografico interamente strumentale dal titolo Un Biplano a 6 corde. E noi abbiamo deciso di salirci a bordo. Come mai questo titolo?
Un biplano a 6 corde è un titolo che nasce dalle sintesi perfetta delle varie esigenze comunicative della mia anima. Può essere inteso infatti sia come qualcosa di estremamente fisico e concreto che come qualcosa di assai più visionario e fantasioso. Una necessità quasi filosofica di ricerca interiore in cui entrambe le “modulazioni” riescono a convivere senza creare confusione.
E’ diventato title track di questo cd nel pieno rispetto di un’antica dinamica che vuole sia così, anzi quasi lo pretende. Parliamo di quel naturale dare/avere, tra la musica (che si compone o che si ascolta) ed il viaggio (ad occhi chiusi o inteso nel senso letterale del termine). Un viaggio dell’anima che a volte ferma il tempo, altre lo allunga, altre ancora lo proietta in un passato segreto, o come spesso accade ci proietta in un futuro che non esiste, se non nella nostra fervida immaginazione…
Un biplano a 6 corde nasce così, nel corso di un viaggio da ovest ad est del Tavoliere delle Puglie in un calmo pomeriggio di finto autunno, fu una sorta di illuminazione: tra le poche nuvole nel cielo, un mio brano scritto per l’ultima scena di una piece teatrale e partito senza apparente motivo dalla mia libreria, ed un frammento di autostrada pressoché deserto sui cui lati si susseguivano file di secolari ulivi con una precisione maniacale quasi militare. Con la stessa naturalezza con cui una lama affilata entra dritta senza ostacoli in un panetto di burro, così fui trafitto meravigliosamente da quel “qualcosa” che mi portò alla decisione di fare il mio quarto disco solo instrumental.
E’ così è stato… in barba a qualsivoglia teoria scientifica e non. Io dico che la mente è talmente potente da permetterti di pensare e sognare oltre qualsiasi immaginazione per il bene di se stessi, del proprio bambino interiore e per il felice e sereno prosieguo del tempo siderale che resta prima di una notte come tante.
Ci sto provando a rispondere alla tua domanda ma penso anche che le parole non possono spiegare questa genesi… la musica parla da sola, ha la immensa capacità di definirsi da sola, istrionicamente cambia pelle e colore ad uso e consumo di chi ne usufruisce. Da autosufficiente che è, non ha bisogno di verbi o aggettivi per essere dichiarata, è una delle poche esperienze soggettive che aiutano a dettare una differenza di sensibilità e cultura tra le persone, avvicinandole o allontanandole tra loro. Molto probabilmente la sua forza, il suo potere, sono rimasti immutati nel corso dei secoli perché esiste sempre un momento che si vuole sia accompagnato da una musica ed ognuno di noi poi, ci sovrappone quello che la musica ci suggerisce.
Il cd è composto da ben 16 tracce che portano in sonorità particolari ed avvolgenti, ma dove vuole condurci il pilota di questo biplano?
Credo che la rotta e la destinazione finale di questo “volo” fatto di 16 tracce, può far scoprire a chi lo ascolta, latitudini che dichiarano l’appartenenza di territori che ho scoperto, come un vero e proprio esploratore di intimità e di letture attraversate, grazie alla conoscenza di attori e registi del nostro panorama nazionale. Molti di questi brani infatti, provengono da spettacoli teatrali andati in scena sui più importanti palcoscenici italiani e, dei quali, ho curato le sonorizzazioni.
Per questa occasione le ho decontestualizzante allargandone e ricostruendone il respiro sonoro senza preoccuparmi affatto di alcun limite nell’arrangiamento come nella stesura e nella lunghezza. L’unica attenzione è stata quella di ottenere, o perlomeno cercare di ottenere, una forza e personalità decisamente acustica.
Un volo nel mio mondo musicale fatto semplicemente di un motore che si chiama“sensibilità”, una sensibilità diversa dalle altre, né più bella e né più brutta semplicemente la mia, che si è definita col tempo, grazie alla mia cultura in termini di ascolto (non ho mai studiato la musica se non consumando circa 15000 dischi nel corso degli anni).
Anche da questo deriva la mia attenzione per la lettura di copioni piuttosto che a quella di sceneggiature di film, docufilm la cultura dell’immagine o il naturale approccio quotidiano con lo strumento. Tutto in totale libertà senza vincoli di regole o dettami, tutto ciò che faccio e che carpisco dal mondo che mi circonda lo considero carburante per mettere in moto il mio biplano che uso sempre come se fosse la prima volta. Sempre come se fosse il mio primo volo da esploratore. E per questa mia anima in costante ricerca ringrazio sempre tutti gli dei del mondo che mi permettono di rimanere quello che sono sempre stato. Sono loro che custodiscono una parte importante di me in uno scrigno e che non permettono al mondo di oggi sempre più povero e annichilito di interferire e contaminare il mio io più profondo.
Si dice che ogni uomo abbia una sua vocazione, io la mia non ho capito ancora quale sia ma di certo so che, a volte mi sento come parte di un puzzle che poco alla volta si va componendosi. Un pezzetto alla volta, attraverso il cercarmi e trovarmi. Un pezzetto alla volta assieme ad un accordo ed ad una nota. Un pezzetto alla volta…fino a quando apparirò nel mio insieme in una unica melodia. Una sorta di recherche della pace, quella pace che, chi è come me inquieto, irrequieto, votato a volte alla malinconia…attende . Mi piace pensare che questo sia un viaggio sereno al di sopra delle nuvole gonfie di vanità la cui pioggia servirà ad altri…
Ugo tu sei un musicista ed un polistrumentista, raccontaci com’è è stato il tuo approccio con la musica.
C’è stato un tempo non molto lontano in cui la musica e le canzoni descrivevano e si mostravano più di ogni altra cosa, come il desiderio di rappresentare intere generazioni, quindi la loro identità culturale, ideologica, sociale, spirituale. Il sogno americano quando sbarcò in Europa trovò un humus prontissimo a fecondare il mondo del cambiamento creando la giusta ribellione che da sempre è il sale della terra. In questo contesto le canzoni avevano una inimmaginabile potenza sul percorso di formazione di qualsiasi giovane europeo, italiano… il mondo agli inizi degli anni 70 era diviso in un paio di tipologie di ribelli (e non erano di certo sette segrete). Una di queste (quella alla quale nella maniera più naturale possibile scelsi di aderire) credeva all’aggregazione e alla condivisione con l’unico scopo di “sentirsi” parte di un progetto collettivo. Era lì, in quello spazio di aggregazione che ci si poteva esprimere creando una coscienza individuale in costante mutamento grazie all’accumulazione di film, letteratura, poesia, musica. Vivevamo con i capelli lunghi e i cuori colmi di curiosità…la migliore delle diete che si potesse sperare per nutrirsi… era molto facile prendere una chitarra in braccio e farsi aiutare da un amico a maledire i primi accordi sotto le dita quasi sanguinolenti… sono stato ribelle, imprecavo ma non mollavo. Ascoltavo N.Drake e J.Martin e piangevo… Cat Stevens e Bob Dylan e scimmiottavo… fino a quando il mio istinto (l’unica cosa sfrontata che mi appartiene) irruppe su di un foglio bianco con una biro blù…avevo scritto la mia prima canzone. Avevo sedici anni ed una chitarra . Oggi ho qualche chitarra in più, molti anni in più e qualcosa che è cresciuta a poco a poco e che continua a crescere… la serenità di chi è sempre stato sincero con se stesso.
Ps. io credo che tutti, proprio tutti, abbiamo una luce da seguire ma forse, per riconoscerla, bisogna stare prima un po’ al buio.
Hai lavorato molto anche per il cinema e per il teatro con personaggi del calibro di Giobbe Covatta c’è qualche differenza, diciamo, dal lavorare su commissione scrivendo delle melodie per idee altrui e dare libero sfogo alla propria creatività?
Beh è ovvio che sono due “macchine di pensiero” che partono diversamente. Quando lavoro diciamo così per me stesso ho un rapporto decisamente più intimo con lo strumento. Quando sono da solo nella mia stanza, ho il privilegio di sentirmi assolutamente libero di esprimermi, di fare e rifare, di sbagliare e correggere, di rifare ancora una volta e risbagliare nella logica ricerca di una progressione armonica o melodica che in tempo reale mi sta affascinando. Posso sconfinare ed andare oltre, ripetere, fermarmi per cercare nel silenzio un guizzo, una nota, sublimando una sorta di anarchia che di solito il legno asseconda permettendomi poi (sempre che l’istinto abbia dato le giuste indicazioni) di raggiungere quel mare dove giungono i fiumi…e ritrovarmi così davanti a un’idea che finalmente mi piace. Questo è quello che più o meno accade quando “lavoro” per il semplice gusto di suonare.
Viceversa, la commissione impone in qualche modo delle regole e un metodo perché produrre pensieri per sottolineare o sostenere un cambio di scena teatrale, una lettura, piuttosto che una posa filmata, diventa un lavoro fatto di applicazione, concentrazione diversi. Bisogna ogni vota leggere ed immaginare. Vedere ed immaginare. Sentire ed immaginare. Risentire nuovamente, rileggere il copione e soprattutto, confrontarsi con il regista. “Imporre” le proprie suggestioni e visioni musicali diventa un lavoro nel lavoro, per questo il feeling con il “committente” è questione fondamentale. Ascoltare attentamente ciò che il regista chiede e sforzarsi di intravedere con la sola fantasia delle orecchie gli eventuali temi da mettere in note che suonino seguendo il mood del suo pensiero è ogni volta una sfida ma anche una delle cose che più mi diverte del mio mestiere.
Lavorare (da 20 anni) con Giobbe Covatta ad esempio, è senza dubbio più un privilegio che altro onestamente.
Il regista che ha tirato fuori il meglio di me è stato Gioele Dix. Con lui superati i primi momenti dettati da quella che io chiamo “danza della conoscenza”, è stata fiducia incondizionata. Mi ha dato carta bianca su molte idee e devo dire che, complice forse il testo di un autore norvegese “Matti da Slegare”, gli attori G. Covatta ed E. Iacchetti, complice forse la messa in scena particolare… è stato un enorme successo.
Guardando il panorama musicale italiano cosa ne pensi? Tutto da buttare o tutto riciclare?
Ahi! domanda difficile, risposta difficile! Vedi, non è che “ieri” qualsiasi cosa si ascoltasse o si producesse in termini di musica fosse bellissima, fatta con raffinatezza e gusto o arrivasse al cuore ed alla mente per calore e tematiche trattate, anzi… le contraddizioni spesso inspiegabili del mercato musicale esistono da sempre.
Certo è innegabile che una buona parte dell’attuale panorama musicale lascia di stucco per un certo tipo di proposte che trovano consenso. Il fatto è che esiste da sempre in tutte le dinamiche di scambio la legge della domanda e dell’offerta. Viene pubblicato ciò che viene richiesto. Per cui, se è vero che siamo il prodotto di ciò che mangiamo, in termini di ascolto e quindi in termini di messaggio che arriva all’ascoltatore, diventiamo automaticamente il prodotto di ciò che ascoltiamo. Francamente se penso agli attuali fenomeni generazionali mi si accappona la pelle per le follie che si raccontano e per la poca originalità delle atmosfere che si creano in alcuni dischi e questo onestamente mi amareggia non poco. L’idea che la massa cresca con riferimenti di così fatta arroganza, presunzione e pochezza mi rattrista (bada bene che chi si sta raccontando è uno che non è mai stato né secchione e né santo – senza volerne ad entrambe le categorie).
E’ come se oggi contasse più di ogni altra cosa mettersi in mostra con qualsiasi mezzo…e quindi via a scimmiottare J.Morrison o inventarsi un look trasgressivo, oppure autodefinirsi, parlare in prima persona di se stessi, auto referenziarsi come il più originale o maledetto poeta della storia musicale. Quando poi la storia, ha già scritto tutto e per di più accompagnata per mano dalla perfetta coerenza di un periodo storico irripetibile.
Certo mi rendo conto che oggi quando il più è stato scritto e in un tempo in cui a mio avviso, la filosofia è ferma in quel vicolo cieco del “non sapere come porsi ancora” nei confronti dell’era digitale, non è facile essere “giocattolai dell’anima”. Ma è anche vero che l’onestà intellettuale ed il porsi in maniera sincera sono ancora “regole” valide per chi crea la sostanza necessaria per accompagnare con la musica il viaggio di chi ne necessita.
Detto ciò, credo che qualche cosa di bello e di interessante da ascoltare ci sia, che nuove suggestioni nelle quali perdersi siano nell’aria sia nel nostro paese che all’estero. Non è poi tutto da buttare.
E visto che la musica che si ascolta e si sceglie in base alla propria curiosità, concludo con un “Unicuiquesuum“ per dirla come Leonardo Sciascia!
Qual è il sogno di Ugo Gangheri come musicista?
Facciamo che te ne dico di più… tanto i sogni non si negano e neanche si pagano. Il primo- suonare le mie canzoni e la mia musica in giro per l’Europa con i miei fratelli musicisti.
Il secondo- mettere in scena un musical che sogno di realizzare da anni , il cui titolo è il golfo del dolce abbandono, che tratta di un viaggio interiore alla ricerca del senso delle cose.
Il terzo- innamorarmi di una voce femminile che sia “fuori dal coro”, delicata, appassionata, fragile e poco incline alla vanità e che non sappia urlare per provare a scriverle canzoni.
Il quarto- aiutare per qualche minuto chi ha necessità di sentirsi leggero e spensierato perché il mondo, questo nostro mondo, sempre di più lascia dietro i poveri, i tristi, i malconci ivi compresi gli animali randagi, e la musica che rappresenta una compagna perfetta, quando la si sente allineata con il proprio cuore o con il proprio dolore, sa dirci e darci tanto.
E’ soltanto una squisita questione di sensibilità quella che fa muovere la coscienza, portandoci alla scoperta di pensieri, persone, cose mai viste, mai fatte, la vita e veramente il viaggio più complicato da fare, dove a volte, basta poco a volte non basta mai.
La musica sembra essere nata per accompagnarci nelle esperienze individuali ,fermando nel per sempre i ricordi – dolci o amari che siano. Con leggerezza ci induce alla quotidianità banale o profonda che sia, una dimensione udibile a tutti che riassume spesso, anzi sempre, tutto ciò che è stato un percorso, un viaggio ed il suo ritrovarlo. Ma anche la scoperta, la prima volta da dimenticarsi o da ricordarsi.Nello specifico le mie chitarre riescono sempre ad aprirmi gli orizzonti.
A cura di Anna Nani
Cantautrice e Giornalista
Ascolta il disco Un biplano a 6 corde su Spotify
Info: https://www.facebook.com/ugo.gangheri.5/