INTERVISTA | Jacopo Lorenzon: l’artigiano della musica che insegue l’imprevedibilità sonora ed esistenziale

E’ uscito su tutte le piattaforme digitali l’esordio discografico di Jacopo Lorenzon: Controluce siamo tutti uguali, per l’etichetta La Stanza Nascosta Records. Blog della Musica ha incontrato Jacopo Lorenzon per una chiacchierata sul suo lavoro artistico, tra voluta artigianalità, suggestioni ispirative e benefica imprevedibilità sonora ed esistenziale.

Nel fronte della copertina di Controluce siamo tutti uguali, prodotto e distribuito da La Stanza Nascosta Records, non compare né il nome Jacopo Lorenzon, né il titolo dell’album, che figurano invece nel retro. Immaginiamo che si tratti di una scelta stilistica…

Una scelta estetica, anche. Ho voluto dare valore all’illustrazione di Andrea Tamarindo, l’artista che ha scelto di accompagnarmi disegnando la copertina, e che colgo l’occasione di ringraziare. Ho sempre amato copertine in grado di lasciare un segno anche senza riferimenti scritti, e mi piaceva l’idea che anche il mio lavoro avesse un volto così.

Una certa rarefazione sembra volontariamente minare, nel suo album, la certezza armonica di fondo, a favore dell’imprevedibilità della soluzione musicale. Ci sbagliamo?

La musica che ho sempre amato e che trovo più stimolante è quella che non capisco subito, quella che mi chiede di dedicarle tempo. Mi dà soddisfazione trovare qualcosa di nuovo in ogni ascolto, qualcosa che cambia sempre: una sfumatura armonica, una lettura diversa del testo. Non so quanto volontariamente, quindi, ma probabilmente nello scrivere i miei brani ho cercato di minare in prima persona le certezze che annoiano innanzitutto me stesso.

In rete abbiamo trovato una sua bella riflessione su “Anime salve” di De André. «In Anime Salve è bello pensare di poter leggere, ascoltare ed assaporare quella libertà della solitudine (le due sono qui forse troppo velocemente o ingenuamente accostate – lo si perdoni) messa sul piatto da De André: una sensazione sempre più difficile da provare, se non superficialmente, in un mondo senza distanze, dove tutti ti possono raggiungere e dove, se non ti cercano, puoi anche impazzire.» Che rapporto ha lei con la solitudine?

Credo molto nella solitudine, o almeno nel suo valore. Non perché mi pensi solitario, né tantomeno solo. Penso semplicemente che nella solitudine si possa trovare un modo di capire se stessi. E non certo fine a se stesso: penso che imparare a stare bene da soli sia necessario per imparare a stare bene con gli altri, per imparare a condividere. Nessuna pretesa di parlare per nessuno, sia chiaro: è solo che per me è stato così.

Quanto è durata la gestazione di “Controluce siamo tutti uguali”?

I brani sono nati nel corso di diversi anni: ho iniziato a scrivere canzoni senza un particolare obiettivo, era solo una forma d’espressione strettamente personale. Circa un anno fa, però, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con La stanza Nascosta Records. Da lì è nata la possibilità di far nascere qualcosa: ho scelto tra i brani che avevo nel cassetto quelli legati da un filo comune e li abbiamo messi insieme per provare a raccontare qualcosa.

In “Dormiveglia” è una scatola di cartone, suonata con delle bacchette, a fungere da batteria. Ci spiega le ragioni di questa scelta?

I miei brani sono sempre nati in casa, scritti e registrati con mezzi di fortuna. Abbozzi che inevitabilmente, nelle prime stesure, portavano con sé tutti i limiti di un approccio solitario e non professionale. Quando sono poi stati portati in studio, con Salvatore Papotto abbiamo capito che parte della loro identità stava proprio in quella loro natura artigianale, nel bene e nel male. Abbiamo quindi scelto una produzione che cercasse di conservare quelle caratteristiche sonore.

4’33” di John Cage nacque dalla visione degli white paintings di Robert Rauschenberg. C’è un’opera d’arte non musicale che ha influenzato la nascita del suo primo album?

Credo proprio di sì, e credo che siano anche più di una. Non saprei però identificarne in particolare: sono convinto che tutto ciò che si legge, si ascolti, si guardi concorra a creare un immaginario che si riflette e si stratifica in ciò che si prova a esprimere. Anche inconsciamente: sono sicuro che Controluce siamo tutti uguali sia a suo modo una risultante di tutto ciò che ho amato e che mi ha condizionato, ma al tempo stesso non ne voglio avere un’idea nitida.

Ascolta l’album di Jacopo Lorenzon

Secondo il poeta Mario Luzi il cantautore, “figura ibrida per definizione, tradizionalmente si distingue dall’interprete di canzoni perché è anche ‘drammaturgo’ della sua performance; non solo ‘attore’, non sempre ‘regista’, ma comunque figura d’artista complessa. Nel cantautore c’è qualcosa del compositore, del letterato e del pensatore; ma allo stesso tempo il cantautore non può davvero chiamarsi intellettuale, poeta o musicista, e questo senza voler essere puristi. Il suo piuttosto è un mestiere, nel senso etimologico del termine, un mestiere che attinge sapienza da un’eredità storica di grande tradizione”. E’ d’accordo con questa analisi?

Sono d’accordo sul fatto che sia un mestiere, nel senso che un cantautore ha a disposizione una serie di attrezzi che può scegliere di usare o non usare per costruire il proprio modo espressivo. A piacimento, senza dover rendere conto a nessuno. Ha la libertà di poter scegliere cosa dire e come dirlo, almeno nella propria bottega di scrittore di canzoni. Sta poi agli altri scegliere se quello che ha da dire abbia un valore e se il modo in cui lo dice possa essere apprezzabile anche esteticamente. Lui può continuare a farlo a prescindere, però. E credo che questa sia una fortuna.

Lei, Jacopo Lorenzon, si considera un cantautore?

Non mi considero un cantautore, ma solo una persona che ha scritto delle canzoni.

Le notizie biografiche che circolano sul suo conto sono scarsissime, una scelta controcorrente…

Mi piacerebbe lasciare che siano i brani a parlare per se stessi. Non penso di essere personalmente così interessante, e soprattutto non penso di avere la personalità adatta per mettermi troppo in mostra. Scelta controcorrente? Non saprei… Penso siano semplicemente scelte legate agli obiettivi che si pone chi scelga di esporsi artisticamente. Scelte personali e quindi legittime.

Il libro che ha sul comodino?

Stalingrado, Vasilij Grossman. Consigliatissimo.

Il suo regista del cuore?

Queste sono le domande più difficili a cui rispondere: impossibile limitarsi a uno, quindi precauzionalmente non mi esprimo.

Il videoclip: forma d’arte o strumento promozionale?

Entrambe le cose, direi. Dipende dall’obiettivo che si pone chi lo realizza. Personalmente preferisco la prima strada: un videoclip può essere una meravigliosa occasione espressiva, una forma d’arte che può arricchire un brano, ampliarne contenuto e chiavi di lettura. Penso che possa anche essere un’opportunità per un regista di mettersi alla prova e fare sentire la propria voce, per mostrare qualcosa di sé. Non abbiamo ancora pubblicato un video che accompagni Controluce siamo tutti uguali, ma non è detto che dall’incontro con qualcuno che abbia voglia di fare un percorso insieme non possa nascere qualcosa di bello.

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