JAKE X è un cantautore e produttore italiano che, dopo un percorso artistico condiviso con importanti realtà musicali, pubblica due singoli e inizia a camminare lungo la sua strada solistica che lo sta facendo conoscere in Italia e all’estero. Ecco la nostra intervista
Ciao JAKE X e benvenuto. In poche righe ti puoi presentare ai nostri lettori?
Innanzitutto grazie mille per l’intervista. Sono un cantante, musicista, songwriter, produttore e vocal coach, nella musica da molti anni e recentemente ho iniziato il mio progetto solista di genere pop elettronico, del quale mi occupo di tutte le fasi di composizione, realizzazione, produzione ed esecuzione.
I tuoi inizi con la musica come sono stati?
La musica ha sempre fatto parte della mia vita, cominciando ad 8 anni a suonare la chitarra. Successivamente, ho imparato a suonare la tastiera ed a 14 anni ho cominciato a studiare canto, in quanto a 11/12 anni già scrivevo e componevo. Sentivo dunque la necessità di apprendere ad esprimermi con la voce, con la quale ho sviluppato un feeling immediato e prediletto fin dai primi passi. Nel corso degli anni ho fatto un po’ di tutto (musical, band, duo, trio etc), tanti live nelle più svariate situazioni, tour in Italia ed all’estero con icone della storia musicale, lavori in studio etc. La musica è stata dunque una costante.
Cantante, cantautore, musicista e produttore: tanta roba… JAKE X è tutto questo o c’è una sfaccettatura in cui ti riconosci di più?
Sono oggettivamente tutto questo. Credo di non ricordare un singolo momento artistico della mia vita in cui mi sia sentito di essere un’unica cosa, un categoria “pura”. Sentivo invece convivere in me un’unione di numerosi aspetti i quali ho sempre visto come un vantaggio da sfruttare. Difficile è stato riconoscerli, accettarli, farli coesistere e quindi declinarli in un “output” che avesse comunque un senso e che fosse la giusta sintesi di tante cose, a volte anche contrastanti tra loro.
Contaminazioni e ispirazioni. JAKE X ascolta molto la musica di…?
Diciamo che è più facile dire cosa non ascolto. A parte la musica italiana (degli ultimi 30/40 anni) ascolto e studio davvero qualunque sonorità, dal rock e metal al blues e soul, dal funky e pop, all’elettronica e tutte le sue derivazioni, passando per hip hop e rap (soprattutto della loro prima fase storica). Un altro genere che ha sempre fatto parte dei miei ascolti è la musica classica, con la quale ho avuto il mio primo imprinting con la musica stessa, grazie ad un CD di Mozart casualmente capitato in mano ai miei genitori quando avevo 5 anni. Credo dunque di aver sviluppato una predilezione per il concetto di ensemble, di armonia maestosa data da una molteplicità di suoni e strumenti, declinati al servizio di un’idea da rappresentare.
Nel 2019 hai pubblicato due singoli in due mesi… Come mai l’esigenza di mettere così tanta carne al fuoco?
Il materiale era pronto da abbastanza tempo, era da un bel po’ che pianificavo la mia carriera da solista. In precedenza, tutti i miei progetti discografici erano stati con band e di un genere completamente diverso. Più che esigenza è stato dunque una pianificazione, dettata dall’intenzione di far si che il 2019 vedesse due brani e 2 “scenari” dipinti dallo stesso pittore ma eterogenei fra loro.
Parliamo un po’ di questi tuoi brani: iniziamo da Ship Sailing Nowhere. Come è nato?
Testo e musica sono nati praticamente allo stesso tempo, in una notte mentre mi trovavo su un aereo che andava verso il Sud America. In quel periodo della mia vita, dopo anni passati ad incarnare fondamentalmente uno spirito tremendamente pragmatico, razionale ed organizzato, stavo vivendo invece un’epoca in cui facevo veramente moltissime cose, viaggiavo ogni settimana, ma non c’era davvero una meta nella mia vita, non c’era un perché. “L’illuminazione”, se così si può dire, è stata quella appunto di riconoscere la bellezza, la potenza e l’utilità di perdersi, per poi rendersi conto che non è così male.
Adesso invece ci racconti la genesi di Made of Dreams?
Made of Dreams è stata una logica conseguenza di A Ship Sailing Nowhere. Questa volta è nata prima la musica, dal momento che cominciavo a prendere gusto con questa versione “sperduta e felice” di me e quindi ricercavo di mettere in musica delle emozioni energiche e positive, attraverso appunto un ritmo ed un sound più diretto. Una volta trovate queste caratteristiche, il testo ed il messaggio che avevo in mente si sono praticamente scritti da soli, ovvero l’importanza ed il valore imprescindibile dei sogni e delle illusioni, in un mondo che tende a schiacciare un po’ il tutto verso un ordine tecnologicamente perfetto e razionalmente programmabile.
Testi e sonorità musicali: quali le differenze tra i due singoli?
Quello che ho cercato di fare nei due brani è di mettere nel primo una sensazione di pace, data dal fatto di essersi tolto un fardello pesante che era quello del concetto di tempo e di ubicazione rispetto allo stesso. Il testo è dunque molto autobiografico e segue il percorso del prima e del dopo rivelazione. La sonorità e gli spazi creati dalle elettroniche vogliono dunque dipingere questo oceano nel quale si rivela questa pace. Il secondo brano invece vuole incarnare l’energia della dimensione onirica, il fatto che essenzialmente siamo esseri irrazionali, educati a prediligere la dimensione pratica e razionale rispetto a quella spirituale, artistica ed emotiva. Le sonorità sono quindi più compatte ed incalzanti ma, soprattutto nel ritornello, sempre atte a collocare il tutto in questa atmosfera sognante.
Se potessi collaborare con un musicista, del presente o del passato, chi sceglieresti?
Ad occhi chiusi sceglierei Michael Jackson. Credo che nel pop non ci sia ne ci sarà mai più una figura come la sua. Eclettica, geniale, capace di creare musica senza tempo, dannata. Ne avrei tanti altri, ma se proprio ne devo scegliere uno, opterei per lui.
Per chiudere: esordire oggi, cosa significa per te?
E’ una grande emozione esordire con il mio progetto solista, avendolo accarezzato e pensato per molto tempo. Significa esprimere tutto ciò che è per me la musica, l’arte e l’introspezione in generale; in poche parole, la mia visione dell’esistenza stessa.
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