INTERVISTA | Jeordie, l’epilessia e la musica come terapia

Jeordie, della classe 2000, è un giovane artista di Sant’Arsenio (Salerno) da poco entrato nel roster della 33db Good Noise. Il suo nuovo singolo 20:00 (un orario del giorno) è uscito da qualche settimana e sta facendo il giro del web. Il tema che viene trattato riguarda il cercare di trovare il lato positivo in tutte le cose che accadono nella vita, anche quelle brutte. In occasione del pezzo, abbiamo scambiato due parole con l’artista proprio per parlare di un evento che gli ha cambiato la vita: l’epilessia.

Ciao Jeordie. Ci potresti spiegare cos’è l’epilessia?

Non entro nei dettagli altrimenti servirebbe una serata intera per spiegarla, in parole povere è una condizione neurologica che porta il corpo a manifestare le cosiddette crisi. Immagina il cervello e l’intero corpo come una rete di cavi elettrici, ognuno scarica quando e dove deve con una precisione certosina, bene la crisi si ha quando avviene una scarica incontrollata, quando e dove non dovrebbe esserci, ciò porta il corpo sotto stress e si manifesta la crisi.

Come ha inciso sulla tua vita?

L’ho vissuta come un problema solo inizialmente, perché di fatto lo era, o comunque è qualcosa che nella vita di un diciottenne scombussola un po’ le cose. Sicuramente all’inizio ha inciso negativamente, come ogni piccola difficoltà della vita appena si presenta. Ero solo spaesato e avevo tanta paura, che poi si è dimostrata infondata, ma fin da subito ho avuto la voglia di non abbattermi e seguire ogni consiglio dato da chi ne sapeva più di me. Ad oggi invece sono convinto che mi abbia portato tanto bene, come ho sempre detto mi ha aperto gli occhi sulle cose davvero importanti come la musica e l’università, e poi mi ha portato a scrivere 20:00, quindi direi che siamo pari.

Alle otto di sera prendi la famosa pillola che ha dato spunto al pezzo 20:00. Cosa pensavi all’inizio che la prendevi? Cosa ti frullava in testa?

Non mi sono mai posto il problema, mi fido della scienza e della medicina. Ero consapevole di cosa prendevo e mi rendevo anche conto che non era un farmaco che prendono tutti i ragazzi della mia età, ma mi rendeva solo più unico mi dicevo. Naturalmente i primi tempi sono stati un po’ destabilizzanti, sai tutte le domande “ma perché proprio a me?” o mi chiedevo semplicemente da dove uscisse fuori. All’inizio non vedevo l’ora di smettere di prenderla, ora mi protegge e ho fatto l’abitudine agli effetti che ha sul mio corpo, quindi non penso neanche a smettere di prenderla, tempo al tempo.

Quando ha cominciato a non essere più un problema la pillola e la malattia?

Dopo circa un annetto e mezzo, poco prima di iniziare a scrivere 20:00. Ho semplicemente preso consapevolezza, un giorno mi sono fermato e ho fatto il punto della situazione, il prima e dopo. Cosa c’era prima e cos’era rimasto dopo, e se qualcosa era rimasto allora magari era davvero importante, questo mi ha portato alla consapevolezza per scrivere 20:00, a mettere il focus sulle persone e le attività presenti da tempo a cui prima avevo dato poca importanza.

Col senno di poi, era giustificato secondo te il tuo sentirti cosi male? Mi spiego: ci sono tante persone che convivono con malattie incurabili come cancro, sla. Eppure escono e sono felici. Nel tuo caso, cosa ti ha fatto reagire male all’inizio?

La mia forma di epilessia è molta leggera, di conseguenza non è paragonabile al cancro o la sla, ma in generale non lo è nessuna forma di epilessia. All’inizio l’ho vissuta male perché mi è stato imposto di evitare determinate cose che per me erano all’ordine del giorno, ad esempio anche una birra con gli amici e imporre ad un diciottenne di non prendere una birra con gli amici è abbastanza destabilizzante. Stessa cosa vale per il prendere una compressa due volte al giorno per tutti i giorni senza sapere quando smetterai di prenderla, è stato solo un periodo, ho superato abbastanza in fretta la situazione. Quindi sì, penso fosse giustificata dall’impatto del momento, ma infondata per ciò che in realtà era.

Mi lancio invece sul pezzo. Quando è nato 20:00?

Il pezzo nasce durante la prima ondata della pandemia, ad aprile del 2020. Uanmness mi mandò il beat e in due giorni (cosa per me strana) avevo scritto tutto il pezzo. La calma della produzione mi aveva trasportato completamente e mi è venuto naturale parlare di questa condizione, dato che quel periodo, al contrario di ciò che si possa pensare, mi aveva portato tanta serenità. Appena il lockdown è finito sono andato in studio e in una sessione il pezzo era finito.

Jeordie cosa vuole trasmettere con questo pezzo e col video?

Il mio intento iniziale non era di lanciare un messaggio, come già detto la musica aiuta in primis me stesso. Mi rendo conto però che sapendo di cosa parla il pezzo molta gente può ritrovarvici. Penso che il messaggio più importante, tra i tanti, è che in ogni condizione, negativa o positiva che sia, c’è un motivo di crescita. Ogni situazione nella vita di una persona non va presa singolarmente, ma come il dettaglio di un quadro più ampio, che poi siamo noi. Siamo fatti delle esperienze e delle persone che incontriamo, la cosa importante è non dimenticare mai chi siamo e nonostante tutto restare calmi e apprezzare tutto ciò che abbiamo o che stiamo vivendo, perché è solo grazie a tutto ciò che c’è stato che ci siamo.

Finisci la frase? “La musica per me è …”

Terapia, per rimanere in tema. Penso sia l’aggettivo più adatto. La terapia non è per forza medica, la vedo molto come una cosa viscerale e incredibilmente intima. Grazie alla musica sono “guarito” tante volte, o almeno ho cicatrizzato tanto nonostante ancora abbia delle cicatrici. Grazie alla musica sono cresciuto e cosa più importante, mi sono conosciuto, in questo senso può essere una psicoterapia, un’auto-terapia se vogliamo.

Cosa ti senti di dire a tutti i giovani che combattono con una malattia?

Come già detto in altre occasioni, non mi sento di definire ad oggi l’epilessia una malattia, tanto meno posso mettermi nei panni di chi soffre di qualcosa di molto grave. Mi sento solo di consigliare di ascoltarsi un po’ di più, di concentrarsi su ciò che c’è di bello, nonostante io sappia che è molto più semplice per la mente concentrarsi sui lati negativi della vita. Amarsi è il primo passo, credere in se stessi è la cosa più importante All’inizio può, anzi, è, sicuramente dura, ma basta sapere chi si è per non perdere di vista la strada e non sprofondare. Sono fermamente convinto nel trasformare una situazione destabilizzante in un punto di forza e non in un’ancora da trascinarsi dietro per la vita. Non c’è cosa più bella della consapevolezza, quindi, consiglio solo di fermarsi, ascoltarsi e conoscersi.

Grazie Jeordie. A presto!

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