Mac of BIOnighT, nato a Luino nel 1964, ha iniziato a suonare all’età di 16 anni e non ha più abbandonato la musica. Da sempre affascinato dagli strumenti autocostruiti che producevano suoni e rumori particolari è stato inevitabile per lui l’avvicinamento alla musica elettronica. Vediamo un po’ chi è questo musicista misterioso nell’intervista che ha rilasciato al Blog della Musica
Ciao Mac, prima cosa: il tuo nome. Come ti chiami esattamente? Scusami ma non l’ho ancora capito 😉
Mac of BIOnighT. Il “cognome” viene dal duo di cui ero metà fino al 2011 (BIOnighT), il nome è semplicemente il mio nome da adulto. Sono dell’idea che bisognerebbe fare come alcune tribù pellerossa ed altre popolazioni dove ognuno da piccolo aveva un nome e poi, una volta diventato adulto, se ne sceglieva uno che sentiva essere più adatto. Questo è il mio. Su Facebook ho dovuto inventarmene uno – Jason Krueger – perché il programma rifiutava di farmi creare un profilo a mio nome, in quanto avevo già una pagina artista come Mac. Così ho scelto Jason (dal nome dell’assassino in Venerdì 13) e Krueger (dal Freddie di Nightmare), piccolo tributo alla passione per gli horror che avevo negli anni ’80.
Ho letto che vieni da Berlino…
In realtà sono italiano, di Luino (Va), è solo una delle mie influenze musicali principali che viene da Berlino – si chiama appunto “Scuola di Berlino”, in quanto è un genere creato da musicisti tedeschi (Tangerine Dream, Klaus Schulze…) all’inizio degli anni ’70, basato su sequenze ipnotiche ed improvvisazione. Ne fui fulminato all’età di 19 anni, quando un conoscente mi registrò su cassetta un disco dei Tangerine Dream – “Ricochet”. Fu come entrare in un’altra dimensione… da cui non sono più uscito. Ho quindi registrato una serie di album in questo stile, a cui ritorno spesso, spinto da una necessità interiore.
Facevi parte di un duo poi vi siete divisi…
Purtroppo pare essere il destino della maggior parte dei gruppi (e dei rapporti, non solo musicali). Si cresce, si cambia, e non sempre nelle stesse direzioni. A volte questo rende il gruppo più vitale e creativo, a volte però si diventa incompatibili dal punto di vista caratteriale oppure musicale, o tutti e due. A noi purtroppo è accaduto così, con amicizia ed affinità musicali che si sono dapprima lentamente e poi sempre più rapidamente disgregate fino a rendere impossibili sia un rapporto personale che una collaborazione musicale. Per fortuna, dopo una pausa totale di quattro anni, abbiamo recentemente ristabilito almeno un rapporto amichevole. Di questo sono ovviamente molto contento, anche perché il modo più stupido per sprecare vita ed energie è il rancore. Nessuna intenzione di tornare a fare musica insieme, ma va bene così. Tutto questo non ha comunque influenzato le mie produzioni personali, che proseguono da sempre e, spero, per sempre incuranti di qualsiasi accadimento…
Quando hai iniziato a comporre?
Le prime cose che cercavano di avere un senso risalgono a quando avevo 16 anni. Lavori assolutamente imbarazzanti, che diventano vergognosi se penso che Mike Oldfield a soli 17 anni compose Tubular Bells… Il primo album solista “ufficiale”, invece, risale al 1999 (io sono del 1964, fate voi i calcoli), così come il primo album registrato in duo come BIOnighT.
Hai all’attivo diversi dischi, autoprodotti o hai avuto la fortuna di essere prodotto da discografici?
Non sono sicuro che essere prodotto da discografici sia una fortuna, visto che oggi una produzione, specialmente nel caso di una major, vuol dire appiattimento, commercializzazione e caduta verticale di contenuti… Comunque tutti gli album dei BIOnighT uscirono ai tempi per una piccola etichetta indipendente tedesca – Syngate – così come alcuni dei miei dischi solisti. Dallo scioglimento del duo, però, tutto quello che faccio è autoprodotto. In fondo i dischi non vendono più comunque, e allora meglio optare per la totale libertà creativa. Sempre per Syngate, però, uscirà – probabilmente a novembre 2015 – l’album che ho ultimato da poco in collaborazione con l’ottimo musicista belga Syndromeda, dal titolo “Volcanic Drift”.
Nei tuoi lavori si possono trovare molti generi musicali, come mai questo ecletticismo?
La musica è un universo immensamente vasto, quasi infinito. Una vita non basta neppure per esplorarne una minima parte, da tanti aspetti meravigliosi e diversi che ha. I “luoghi” musicali sono così tanti e sorprendenti che non capisco assolutamente come la maggior parte della gente – ascoltatori e musicisti – scelga di vederne sempre lo stesso metro quadro per tutta la vita, rifiutando di andare oltre la propria siepe, di scoprire e vivere quello che c’è dall’altra parte. Non sopporto quelli che credono che l’unica musica vera sia quell’unico genere che piace a loro o che suonano, ed insultano e sputano su tutti gli altri, sono ridicoli e penosi. La musica è infinita, non solo rifiuto di ingabbiarmi in un metro quadrato, ma desidero ardentemente esplorarne quanta più possibile. C’è qualcosa di buono in tutti i generi, e soprattutto come musicista credo sia fondamentale questa esplorazione, l’unico modo per arricchirsi di nuove espressioni e modalità, di crescere e cambiare costantemente. Guardare solo te stesso nello specchio rifiutando il resto, fuggire dal confronto e dalle domande su se stessi non porta mai a nulla, se non all’inaridimento totale, nella musica come nella vita.
Quale fra i tuoi dischi è il tuo preferito. Quello in cui ti riconosci?
Domanda per me difficilissima, in quanto la musica è ed è sempre stata il mio diario personale, tutto quello che sento e che vivo finisce nella mia musica, si trasforma in suoni. Così come sarebbe quasi impossibile dire qual è la pagina del tuo diario in cui ti riconosci maggiormente – in quanto ogni pagina ed evento raccontato fa parte interamente di te – così mi è impossibile dire qual è l’album che maggiormente mi rappresenta, dato che… lo sono tutti, ognuno rappresenta la persona che ero in quel momento.
A chi ti sei ispirato all’inizio della tua carriera musicale, a chi ti ispiri oggi?
Le influenze principali sono sicuramente la Scuola di Berlino e il genere Italo Disco, ma anche le sigle italiane dei cartoni giapponesi anni ’70/’80 (le varie Ufo Robot, i Superobots, i Cavalieri del Re, i Balestra, e tutti quei musicisti e compositori pazzeschi che vi lavorarono). I miei tre gruppi preferiti sono Tangerine Dream, Banco del Mutuo Soccorso, Rockets (gli spaziali argentei). Ma in realtà non c’è forma musicale che non abbia influito su quello che sono e che faccio, ogni singolo brano che ho mai sentito è in qualche modo parte del me stesso musicale.
A quale uso è destinata principalmente la tua musica?
Diversi miei amici direbbero che è un ottimo lassativo ;-P
Simpatici…
Seriamente… serve principalmente a me come forma di comunicazione con me stesso, a sfogare la necessità di rendere suono quello che vivo e provo. Deve corrispondere esattamente alle emozioni, pensieri e sensazioni che sento dentro. E’ una valvola di sfogo, un diario, una fonte di gioia, un sistema di autoanalisi. Se poi l’ascolto da emozioni ad altri, ne sono ancora più felice, e se in qualche modo li aiuta, allora acquista un senso totale.
I tuoi prossimi progetti?
Tantissimi, registro sempre fra i tre e gli otto album simultaneamente, raggiungendo sovente il ritmo di uscita di un album al mese… Al momento sto ultimando un album di brani semi-spaziali e ritmati che avevo composto nel 1991, poi un album vocale che si avvicina al synthpop, un album di space rock, anch’esso vocale, un album in stile Scuola di Berlino, un altro paio di album che non saprei definire; tra non molto inizierò a lavorare anche su un nuovo album dei Gorgon Nebula (una collaborazione con il musicista americano Arpegiator), mentre questo inverno c’è in ballo una possibile collaborazione col mio gruppo di pizzica (o taranta che dir si voglia) preferito, i Briganti di Terra D’Otranto, che spero si concretizzerà. C’è probabilmente altro, ma sui due piedi non mi viene in mente…
Come è possibile registrare così tanti dischi quasi in simultanea? Non si rischia che vi siano somiglianze?
In realtà il rischio ci sarebbe se tutti gli album appartenessero allo stesso genere. In questo modo, però, le rassomiglianze non ci sono, dato che uno è Drone, un’altro è Italo Disco, un’altro etnica, etc. Accade però una cosa interessante, ovvero che le idee di un genere si mescolano con quelle di un altro. Non amo particolarmente le contaminazioni, quelle ovvie e chiaramente distinguibili, dove – che so – la musica tradizionale di un posto si mescola con il jazz, costringendo i due linguaggi a vivere nello stesso corpo. Raramente trovo che l’effetto funzioni, anche se sicuramente capita. Trovo per contro affascinante come le soluzioni ritmiche o armoniche di un determinato genere possano entrare in un altro senza che nessuno se ne accorga, ma dando uno spunto diverso alla musica in cui vengono usate. Ad esempio, mi capita di dare ad una sequenza di basso Scuola di Berlino il ritmo di una danza popolare, o di fare un solo di chitarra elettrica su un brano elettronico seguendo però lo schema della musica celtica, etc. Come dicevo, nessuno si accorge di nulla, perchè i suoni – il “vestito” della musica – sono quelli che uno si aspetterebbe da un determinato genere, eppure quello che stanno sentendo proviene magari da musiche diversissime e lontanissime. Ecco, questo mi affascina e mi capita proprio per il fatto che realizzo così tanti album diversi allo stesso tempo. Le rassomiglianze – qualcuna inevitabile – sono solo imputabili alla paternità comune, ma in fondo penso (spero) non siano così gravi da disturbare l’ascoltatore.
Grazie Mac of BIOnighT di averci dedicato un po’ di tempo. A presto.
Grazie infinite a voi per tutto il lavoro prezioso che fate per la musica!