La Stanza Blues: un mondo in 12 battute

Qualunque musicista voglia approcciare il blues, sa che per farlo dovrà prendere confidenza con una struttura ben precisa: la forma in 12 battute (“12 bars blues”), altrimenti detta la Stanza Blues. Vediamo, allora, di cosa si tratta, e soprattutto le meraviglie che poche note e una dozzina di battute di spartito possono racchiudere

La Stanza Blues è la cellula formale su cui si basa la stragrande maggioranza dei brani blues. La tipica stanza blues è una struttura lirico-musicale che – in estrema sintesi – si può così riassumere: dodici misure; tre accordi; tre versi, di cui i primi due uguali, e il terzo che rima con il secondo; ogni verso è riempito per metà dal canto, e per l’altra da una frase strumentale. Vediamo più nel dettaglio di cosa si stratta

  1. La Stanza Blues: un mondo in 12 battute
  2. Il massimo risultato col minimo sforzo
  3. Ma quando?
  4. Conclusione

La Stanza Blues: un mondo in 12 battute

Di solito, in una canzone, la stanza viene ripetuta tre o quattro volte: ogni volta il testo cambia (in tutto o in parte), mentre tutto il resto (misure, tempo, giro armonico) rimane invariato; è anche frequente che una o più stanze siano prive di testo, e che su quel giro armonico trovi spazio una parte solista.

Schema 12 battute stanza blues

Lo Schema di 12 battute stanza blues

Iniziamo il nostro esame dal giro armonico. La fonte da cui trae nutrimento è la diffusissima sequenza di tonica (I grado), sottodominante (IV) e dominante (V): in tonalità di Do, Do-Fa-Sol. Il musicista di colore sceglie questo materiale, oltre che per comodità (una successione di tre accordi comune alla maggior parte delle culture tonali, e dalla facile resa melodica), perché percepisce l’adeguamento a tale modo come un avvicinamento alla tradizione dominante, una sorta di “promozione sociale”.

La struttura standard si completa verso gli anni Venti, con l’inserimento di un IV grado alla seconda e alla decima misura, e di un V grado alla nona e alla dodicesima: nasce il modello I-IV-I-I, IV-IV-I-I e V-IV-I-V, lo schema più utilizzato nella maggior parte dei blues incisi.

Su questa struttura armonica si innesta la parte verbale, disposta su tre versi. I primi due versi sono identici (o presentano lievissime discrasie), mentre il terzo – differente nel testo – rima coi precedenti secondo lo schema AAB. Ogni verso si può immaginare suddiviso in due semi-versi: all’enunciato verbale, che occupa più o meno la prima metà, risponde (come in un call-and-response) una parte strumentale. La fine o l’inizio di una frase melodica (vocale o strumentale), infine, ben raramente coincidono con la cesura metrica: spesso, anzi, presentano un anticipo (o un ritardo), uno sfasamento più o meno marcato, un controtempo.

Il massimo risultato col minimo sforzo

La stanza blues, apparentemente semplice, nasconde un meccanismo narrativo assai robusto ed economico, e unico al mondo: tutto è volto a produrre la massima tensione emotiva e il massimo effetto lirico utilizzando pochissimi mezzi.

La disposizione dei versi (AAB) riflette il bisogno psicologico di un discorso organizzato in tre parti: un’enunciazione affermativa (A, primo verso), una riesposizione testualmente identica, ma armonizzata in modo diverso (A’, secondo verso), e la conclusione (B, terzo verso). La ripetizione fra primo e secondo verso rafforza il significato dell’enunciato: ma – grazie alla variazione armonica – suggerisce al tempo stesso una nuova interpretazione. Questo, inoltre, consente al bluesman – impegnato nel processo di improvvisazione – di “guadagnare tempo”: potrà cosi pensare al terzo verso e costruire una chiusura degna di nota, giocata sulla metafora e sul ribaltamento semantico.

Il V grado compare in nona misura (l’abbrivio del terzo verso), proprio quando il testo si prepara a esplicare il suo “vero” significato: e, non a caso, si ripete in dodicesima misura (la chiusura), predisponendo il rilancio (“turn-around”) sulla strofa successiva. Il controtempo, poi, aggiunge ulteriore imprevedibilità al tutto, alimentando un continuo gioco di attese, conferme e sorprese.

Ma quando?

Tutto molto semplice ed economico, chiaro e inalterabile: fin troppo, per essere una creazione folk! Quando ci riferiamo a questo scheletro formale, stiamo parlando di un procedimento convenzionale che si afferma a partire dagli anni Venti, e diventa così utilizzato e condiviso da soppiantare tutti gli altri schemi, conquistando non solo il blues ma anche il jazz, e parte della musica popular. È una forma musicale unica, versatile e senza paragoni in nessuna parte del mondo: ma nessuno sa esattamente cosa fosse il blues prima di questa codificazione. È possibile che la stanza-blues moderna esistesse già a fine Ottocento, e condividesse il terreno con altri modi; così come può darsi che sia il frutto estremo di un’elaborazione durata decenni, e portata a compimento proprio negli anni delle prime incisioni.

Nella storia della critica musicale sono stati fatti innumerevoli tentativi per trovare un sicuro ascendente, più o meno lontano nel tempo, e di varia matrice etnica: ma ogni teoria attributiva mostra debolezze scoraggianti. Identico discorso per la forma strofica AAB.

Da dove deriva, allora, la stanza-blues? La prima risposta può sorprendere: la stanza blues non esiste nella pratica dei bluesmen del Delta. Per questi artisti, l’organizzazione formale e la regolarità sono cose del tutto insignificanti. Musica di tradizione orale, il blues si inscrive in un universo esteso di brani improvvisati: dove l’“improvvisazione” va intesa come stadio intermedio fra riproduzione e creazione, un movimento che si situa in modo assai flessibile all’interno di un modello; un campo d’azione in cui esistono “pratiche”, ma non regole.

In una performance blues v’è un sovrapporsi continuo di elementi più o meno stabili, e di altri inclini all’elaborazione: ma nessuno è sempre e soltanto fisso, come nessuno è inevitabilmente variabile. Se il testo necessita più spazio, o di una variazione melodica, non c’è problema: la forma muterà, si adatterà e, se necessario, magari già alla strofa successiva, cambierà nuovamente.

La classica forma-blues non è, quindi, una peculiarità tipica dei bluesmen rurali: se ascoltiamo le loro (rare) registrazioni, ci accorgiamo che queste norme sono spesso e volentieri violate o ignorate. La “dittatura” della stanza-blues è figlia dell’industria discografica: il disco richiede un linguaggio uniforme, i cantanti – sovente riciclati dal teatro o dal vaudeville – necessitano di un’espressione più lineare, e ai musicisti che devono incidere occorrono metro e ritmo regolari. È solo con la commercializzazione, quindi, che la forma blues diventa prevalente: e che – nelle mani dei pianisti di boogie, e negli arrangiamenti proposti dalle prime jazz band – assume dignità e consapevolezza strutturale.

La “classica” stanza-blues, negli anni, è stata sottoposta, più o meno consapevolmente, a molte varianti: alcuni artisti hanno agito sul sistema armonico, soprattutto con alterazioni degli accordi di base (solitamente con accordi diminuiti o di settima), mentre altri hanno preferito scardinare la struttura metrica di 12 battute, ricorrendo alla più arcaica forma a 16 battute o alla più “moderna” forma a 8 battute.

Conclusione su La Stanza Blues

Tutte le declinazioni della stanza-blues (e altre ve ne sono ancora, come le misure irregolari) non fanno altro che confermare due cose: che il blues è – prima che una struttura musicale – una forma letteraria, determinata cioè più dal bisogno di esprimere un contenuto che non da uno scheletro astratto cui obbedire; e che – quando si è rivestita di una configurazione stabile – questo è avvenuto soprattutto in ambito industriale, come cristallizzazione di svariati influssi in un modello adatto a tutte le esigenze… Un modello, peraltro, dal funzionamento perfetto e dalle mille sfaccettature.

a cura di Francesco Conti “Chiccoconti”

Fonti

  • AMIRI BARAKA (LEROI JONES), Il popolo del blues, tr.it., Milano, Shake Edizioni, 2007
  • EDOARDO FASSIO, Blues, Bari, Laterza, 2006
  • GILES OAKLEY, Blues – La musica del Diavolo, tr.it., Milano, Shake Edizioni, 2009
  • PAUL OLIVER, La grande storia del blues, tr.it., Roma, Anthropos Editrice, 1986
  • STEFANO ISIDORO BIANCHI, Pre-war folk, Camucia (Arezzo), Tuttle Edizioni, 2007

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