Le Avventure di un Jazzista-Filosofo: Roma, Caravaggio e l’improvvisazione Jazz

Le avventure di un jazzista-filosofo è un libro di Arrigo Cappelletti pubblicato per Universale Arcana. A margine della lettura di questo bel libro, Francesco Stumpo ha scritto questo articolo su una ipotetica visita a Roma…

Scendete alla fermata metro di Piazza di Spagna e poi seguite il flusso della gente, ne osservate il passo lento, affrettato o cadenzato e poi vi trovate insieme con quelle persone al centro della bella Piazza. Non è la prima volta che siete stati nel centro di Roma, vi ci siete recati in passato altre volte ma a cadenza annuale o addirittura biennale. A questo punto potreste prendere una mappa cartacea e seguirla fino ai monumenti di vostro interesse, oppure individuare la vostra posizione sul display del cellulare e farsi guidare. Scegliete la seconda possibilità e, dopo un po’ di cammino (circa venti minuti) vi accorgete di trovarvi in Piazza Navona e poi davanti alla Chiesa di “San Luigi dei Francesi” dove volete entrare per ammirare la Cappella con i “Caravaggio”. Tuttavia vi accorgete che per strada avete perso più tempo a guardare sul display rispetto a ciò che vi stava intorno. Come un improvvisatore jazz che, preoccupato di inserire quel “giusto” frammento di scala su quell’accordo, al momento “giusto”, perde lo sguardo dei suoi compagni di viaggio (musicale), addirittura non si auto-ascolta né cura il fraseggio. La vostra attenzione si concentra sulla famosissima tela “La vocazione di San Matteo”.

Caravaggio La vocazione di San Matteo quadro

Caravaggio: La vocazione di San Matteo

Del dipinto vi colpisce l’attempato personaggio con la barba che, guardando amorevolmente Gesù mentre lo indica col dito, a sua volta, alza l’indice come a voler dirgli: “è me che stai indicando?” Sarebbe cioè lui, Matteo, chiamato a “vocazione”? Ma l’indice dell’uomo potrebbe essere rivolto anche al giovane uomo che sta contando delle monete con lo sguardo fisso su di esse e che sembra non accorgersi della presenza di Gesù e San Pietro. Il primo personaggio rappresenta la saggezza, la tradizione, la sicurezza e per questo la scelta di Cristo cade su di lui.

Come nel jazz la conoscenza della tradizione, delle scale, delle armonie, dell’equilibro temporale che non fa vi fa perdere tra le battute, aiutano sicuramente a realizzare una buona improvvisazione, ma sarà altrettanto naturale e autentica?

Il secondo personaggio del dipinto caravaggesco rappresenta invece l’irrequietezza, la personalità non ancora compiuta, forse anche l’inganno, il nuovo: è a lui che Gesù vuole consegnare il messaggio cristiano?

A volte nel jazz si improvvisa guardando a capo chino senza sapere dove si sta andando ma avendo al  proprio fianco la tradizione dei maestri, che a loro volta hanno guardato nel vuoto.

Da tempo i critici d’arte discutono su quale delle due interpretazioni sia quella giusta, in realtà non lo sapremo mai e forse Caravaggio ha voluto lasciare il messaggio che entrambi le possibilità siano valide, l’innovazione è cioè solo nella tradizione e ogni improvvisatore sa come  fare tesoro di questo suggerimento.

Continuate a camminare, avete un andamento abbastanza slow e non avete fretta, non avete un luogo preciso da raggiungere né un tempo. Decidete quindi di non usare alcuna mappa e prendete come riferimento solo il Tevere, vi basta sapere se vi trovate aldilà o aldiqua di esso. Andate quindi “a zonzo” seguendo il vostro istinto e la vostra memoria (ricordate che non è la prima volta che vi trovate in quel posto). Avete una mappa inconscia di ricordi: lì una volta avete visto un mimo, più in là un giocoliere e senza rendervene conto andate in quella direzione. Seguite anche le orde di turisti che di solito vanno nei posti più conosciuti, anche i colori e gli odori sono stampati nella vostra mente.

Così quando si improvvisa non si improvvisa ma si va verso sentieri interiori già conosciuti e praticati. Anche se non contate le misure il vostro istinto, il vostro orecchio e la vostra memoria profonda vi dicono esattamente dove vi trovate, questi aspetti vi guidano dove non sapete di voler andare ma ci andate.

Alcune volte sbagliate strada ma grazie a quell’errore avete scoperto un negozietto particolare, un tipo strano, una targa alla memoria di un poeta ce ha abitato in quella casa.

Così i grandi musicisti del bep-bop “sbagliando consapevolmente” hanno inventato nuove scale, nuovi modi di suonare uno strumento, nuove pronunce ritmiche delle frasi. Questi “errori” sono diventati da manuale e noi oggi li studiamo.

Quando vi trovate di fronte al Pantheon o a Fontana di Trevi avete un fremito di gioia e sorpresa, molto diverso da quello che avreste avuto guardando la mappa e sapendo di trovare quel monumento. Sarà come nel corso di una improvvisazione avrete scandito una melodia di ineguagliabile bellezza ed esattezza, molto di più di quando di usa un pattern già fatto da altri e semplicemente applicato.

A cura di Francesco Stumpo

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Le avventure di un jazzista filosofo copertina libro

 

Le Avventure di un Jazzista-Filosofo

di Arrigo Cappelletti

 

 

 

Le Avventure di un Jazzista-Filosofo di Arrigo Cappelletti

Le Avventure di un Jazzista-Filosofo è il libro di Arrigo Cappelletti uscito a settembre 2017 per Universale Arcana.

Il jazz ha sempre diffidato della parola. Il vecchio Benny Carter dichiarava brutalmente: «Io non scrivo e non leggo nulla sulla musica. Il mio compito è crearla, se ci riesco». Oggi le cose sono un po’ cambiate. Oggi i musicisti jazz devono sapersi interrogare e ridiscutere continuamente e un pianista come Brad Mehldau tiene lezioni di fronte a filosofi e scrittori in cui mostra i fondamenti filosofici della sua poetica. Non è solo la voglia di filosofia che caratterizza questi nostri anni sempre più incerti e avvelenati e che spinge sempre più persone di cultura non elevata a partecipare ai convegni dei filosofi. È l’aver capito che il jazz muore se si definisce come semplice ri-combinazione fluida e in tempo reale di pattern ereditati dal passato, se rinnega l’improvvisazione e la sua vocazione a scardinare schemi e regole ereditate. La sfida, il paradosso dell’improvvisazione jazzistica sta qui: nell’insegnare a essere liberi in modo ordinato e rigoroso, senza rinunciare a darsi una forma, ma anche nell’insegnare a non ghettizzarsi, nel guardare fuori dal proprio stretto ambito. E ciò senza montare in cattedra, ma sentendosi eredi di una tradizione che ha sempre contestato qualsiasi discorso normativo e astratto. Questo, esattamente questo fa Arrigo Cappelletti, jazzista, e filosofo, in un libro di riflessioni, scritti d’occasione, approfondimenti teorici, pensieri e brevi saggi attraverso i quali restituisce una visione vivace, intelligente, dotta e divertita del jazz: quasi un irresistibile zibaldone di improvvisazioni su vita, musica, scrittura, ma anche sesso, città del mondo, incontri e musiche eventuali.

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