INTERVISTA | Le Frequenze di Tesla: uomini e robot si somigliano, forse…

Secondo disco per la band indie-rock le Frequenze di Tesla. Nome assai evocativo per un trio che torna alle origini del rock senza perdersi i pilastri fondamentali della nuova scena pop italiana. Ecco l’intervista di Blog della Musica

Si intitola Il robot che sembrava me il disco de Le Frequenze di Tesla questo lavoro a due passi dal futurismo cibernetico nelle liriche ma al tempo stesso anche molto adolescenziale e dal piglio social. Non a caso il singolo di lancio Le migliori evidenze si sviluppa proprio in questa direzione restituendo alla critica un disco che, per altra parte, è di quel rock suonato, a tratti acido, ma molto melodico… reminiscenze visionarie di quel grande rock anni ’70 che ha segnato generazioni. Ed è probabilmente questa la vera ispirazione dei nostri bolognesi che dedicano a Tesla e a tutto quel che ne deriva un disco sobrio, giovane e di grande carattere.

La prima cosa che chiedo sempre è di raccontarci la genesi di questo nome. Le frequenze di Tesla. A cosa vi riferite e perché questa scelta?
Enrico: allora il nome è nato quasi per caso. Avevo visto una scritta in via San Vitale a Bologna che diceva “we are frequencies” che mi è piaciuta molto perché la condivido. L’idea è partita da lì. Tesla è venuto dopo, ci piaceva il carattere rivoluzionario del personaggio e il fatto che molte sue scoperte abbiano contribuito allo sviluppo dei mezzi che consentono oggi la trasmissione di informazione senza fili.

Matteo: Abbiamo visto su un muro una scritta che diceva “We are frequencies”, una frase buttata lì che ci ha colpiti e ci ha fatto riflettere… E, in un certo senso, è anche vera!

Tesla, i campi magnetici, l’attrazione e la repulsione. Abbiamo appena toccato le basi della vita quotidiana in società o sbaglio?
Enrico: esattamente, ci piaceva questo doppio significato. Da un lato il concetto di trasmettere energia senza fili, dall’altra il fatto che la scoperta della loro esistenza sia stato il primo passo verso lo sviluppo tecnologico del sistema di comunicazione contemporaneo.

Matteo: I rapporti tra le persone, la comunicazione o la mancanza di comunicazione, le convenzioni sociali, sono tutte tematiche molto importanti per noi. Il pensiero di Tesla ne diviene una metafora potente.

E poi i social network hanno codificato (o forse annientato) questa “energia magnetica” tra le persone… credo sia una grave ferita alla socialità, non credete?
Enrico: i social network sono un mezzo, non hanno un valore intrinseco ma questo è determinato dall’uso che ne viene fatto. Il limite dei social è che possono far credere, a torto, che i rapporti umani veri possano essere sostituiti da quelli attraverso uno schermo. Bisognerebbe rendersi conto che, il bisogno di socialità
è una delle caratteristiche fondamentali che ci rende umani e che non ne possiamo fare a meno. Possiamo usare i social per accrescere le nostre esperienze nel mondo reale, non per fuggire da esso e crearci un mondo a nostro piacimento.

Matteo: Senza dubbio! I social network offrono a tutti la possibilità di dire la sua, di mandare messaggi a chiunque ma, allo stesso tempo, ci stanno educando a prestare attenzione solo a noi stessi.

I robot: rappresentano per voi il futuro o il presente?
Enrico: entrambi direi, un assistente vocale è un robot sebbene abbia un campo d’azione limitato al mondo virtuale e non fisico.
In futuro probabilmente vedremo una espansione nel mondo fisico del loro campo d’azione.

Matteo: I robot sono il presente. Non ce ne rendiamo conto, ma ne siamo già circondati e siamo talmente abituati alle comodità che ci offrono che probabilmente già adesso non saremmo più in grado di vivere senza.

In questo disco la musica diventa rock e finalmente torna ad essere totalmente suonata. Dal vivo come riuscirete a riprodurre tutti i contributi di questo lavoro?
Enrico: teniamo particolarmente al fatto che la nostra musica nasca tramite strumenti suonati. Non credo avremo difficoltà il disco è nato in sala prove, le sovraincisioni sono state usate come abbellimento ma l’essenza delle canzoni sta nell’ossatura ritmica e nella melodia del cantato.

Matteo: Quando abbiamo iniziato ad arrangiare le canzoni, abbiamo deciso che il punto di riferimento doveva essere il nostro gruppo (basso, chitarra e batteria o, a seconda del brano, basso, piano e batteria), quindi abbiamo iniziato le prove ricordando che i pezzi dovevano funzionare prima di tutto tra noi tre. Le sovraincisioni le abbiamo aggiunte per impreziosire il sound. Abbiamo cercato di creare atmosfere dal sapore elettronico, ma senza elettronica e, possibilmente, cercando soluzioni originali. Per esempio, il suono che introduce la title track, il robot che sembrava me, potrebbe sembrare un sintetizzatore… In realtà è un clavicembalo! Dal vivo suona tutto più rock, ma i pezzi di questo album si possono proporre tutti in concerto.

Vi nutrite spesso del pop quotidiano. E quindi quale direzione più vi rappresenta? Questa main stream, quella rock alla Woodstock o il sole inglese dei Beatles?
Enrico: cerchiamo di prendere il meglio da quello che ci piace ascoltare e provare a creare qualcosa di nostro partendo da questo. Non credo ci sentiremmo rappresentati coerentemente se fossimo confinati in modo assoluto in delle etichette. Facciamo la nostra musica che prende ispirazione sia dai Beatles che da Woodstock che dal pop quotidiano ma cerchiamo di interiorizzare questa ispirazione per andare oltre non per provare a riprodurla.

Matteo: Non è facile rispondere: ognuno di noi ha una sua identità musicale ben precisa che si unisce alle altre ma si mantiene, allo stesso tempo, ben distinta. A turno ci sentiamo rappresentati da tutte queste tre!

Info: https://www.facebook.com/LeFrequenzeDiTesla/

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