Le Formae di Lino Cannavacciuolo. Blog della Musica ha ascoltato e recensito il nuovo album del violinista napoletano
Formae. Ibride come quelle della scultura di Lello Esposito, la cui sirena Partenope campeggia in copertina. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), la creatura leggendaria moriva per l’insensibilità di Ulisse al suo canto; il suo corpo, trasportato dalle onde, naufragava fino alla foce del fiume Sebeto, dove i Cumani avrebbero fondato Neapolis. Dea protettrice della città per alcuni, simbolo della stessa natura meridionale per altri, forma ibrida, in ogni caso.
Ibrida è anche la musica di Lino Cannavacciuolo, sin dai tempi del Solis String Quartet. Un meticciato di locale e globale, elitario e popolare, eterogeneo come l’almanacco delle sue collaborazioni: Peppe Barra, Roberto De Simone, Luca De Filippo da una parte, Adriano Celentano e Claudio Baglioni dall’altra.
Filo conduttore, in questo personale melting pot, non può che essere il contatto con la tradizione partenopea, di cui Formae — anticipato dal singolo Serenata — ripercorre le tappe risalendo ai progenitori barocchi Nicola Matteis (1650-1714) e Leonardo Vinci (1696-1730). Del primo, Cannavacciuolo riprende l’Aria Amorosa, dopo aver rivisitato (traccia 4) la Sinfonia dall’opera Partenope del Vinci. Riletture e composizioni originali si spartiscono la scena, incrociandosi talvolta all’interno di uno stesso brano e terminando il racconto in un punto ancor più remoto del tempo (la Gagliarda, mutuata dal compositore rinascimentale Antonio Valente, è pienamente cinquecentesca).
A delineare queste Formae, pur lontane dall’intento filologico, arrangiamenti e timbri scevri dalle forzature contemporanee che spesso funestano questi progetti. La texture che fa da basso continuo al violinista napoletano è piuttosto un eccentrico consort formato da pianoforte, mandoloncello, organetto e sax baritono (unica deroga a un panorama timbrico altrimenti pre-novecentesco). D’altronde, scopo dichiarato da Cannavacciuolo non è tanto rinnovare la tradizione quanto venire in soccorso di un tempo, il nostro, «che sembra aver smarrito le sue forme».
Per la morale cristiana, le sirene sono state emblema di lussuria e sensualità, monito contro i peccati della carne e della vanità. Non c’è lussuria, né vanità, in Formae; c’è tanta sensualità per fortuna, ed è quella di un’arte senza tempo. O meglio, di un tempo che le sue forme non le ha mai smarrite.
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