LIVE AID: 30 anni fa prendeva vita il più grande concerto live realizzato a scopi benefici. Nato grazie a Bob Geldof e a Midge Ure e dalla scia lasciata dal loro primo progetto: il singolo di Natale Do They Know It’s Christmas?
Live Aid, 30 anni. Non di sola musica vive l’uomo. E nemmeno questo blog, nonostante il suo nome. Ma anche di ricordi e di ricorrenze. Soprattutto queste ultime. E mai come in questi anni vi è un continuo susseguirsi di ricorrenze. 30 anni fa il Live Aid, proprio nel bel mezzo del decennio maggiormente edonista reaganiano del secolo scorso. Era il 1985 e il rock e la sua comunità decisero di tentare la carta della maturità, dell’impegno a costruire qualcosa fuori dal palcoscenico, di darsi una ragione di vita che non fosse solo il puro divertimento. Bob Geldof dei Boomtown Rats e Midge Ure degli Ultravox, che lo organizzarono, erano animati da sano entusiasmo, chi aderì lo fece in buona fede, sorretto da ottimi principi, ma non tutto andò nel verso giusto. E non stiamo parlando della musica, ma dei risultati prodotti in termini di ricadute positive per le popolazioni che si intendeva aiutare.
Eppure le esperienze precedenti dovevano mettermi sul chivalà gli organizzatori del Live Aid. A partire da esperienze come quella che porta alla mente il primo dei concerti rock di beneficenza, il Concert for Bangladesh organizzato da Sir George Harrison, che venne rovinato dall’intransigenza degli addetti alle tasse che insistettero per avere il loro tornaconto, nonostante il valore della causa. Le case discografiche avevano rinunciato alle loro royalty, ma sia il governo britannico che quello americano tassarono pesantemente l’evento. George commentò: “I responsabili della legge e del fisco non ci aiutano. Fanno in modo che valga la pena di fare nulla di decente”. Nonostante la sincerità con cui George presentò la situazione degli innocenti che soffrivano in Bangladesh e l’urgenza del loro bisogno di aiuto, le sue argomentazioni si scontrarono con l’ottusa burocrazia. Jenkins, l’allora Ministro delle finanze britannico, fu irremovibile e rifiutò di ritirare la richiesta d’imposta. “Forse preferite che me ne vada dall’Inghilterra, come praticamente tutte le altre importanti pop star britanniche, portando i miei soldi con me?” disse George. “Questo signore è, naturalmente, a sua totale discrezione” rispose Jenkins. Amareggiato da questo atteggiamento ostinato, George pagò personalmente un assegno di un milione di sterline alle autorità fiscali.
Anche con l’album triplo uscito a seguito del Live Aid ebbe dei problemi. I commercianti di dischi lo facevano pagare di più ed intascavano il denaro. L’Unicef riuscì a ricevere un primo assegno di 243.418,50 sterline, i proventi del concerto stesso, ma ci vollero quasi dieci anni per raccogliere il resto dei soldi, che sarebbero stati necessari con urgenza. 10 lunghi anni. Alla faccia dell’urgenza!!
Nel Live Aid, come nel concerto per il Bangladesh, non erano le buone intenzioni a mancare. Era la gestione del fiume di denaro raccolto. Se nel 1970 fu l’ottusità della burocrazia inglese a mettere i bastoni fra le ruote, dopo 15 anni fu la mancanza di un progetto vero e proprio, che fosse altro della mera raccolta finanziaria. Raccolta che andò benissimo, infatti attraverso i concerti gli spettatori sono stati invitati a donare soldi per la causa. Trecento linee telefoniche approntate dalla BBC perché fosse possibile effettuare donazioni tramite carta di credito. Il numero telefonico e un indirizzo a cui inviare assegni ripetuto ogni venti minuti. Dopo quasi sette ore di concerto a Londra Bob Geldof ha controllato quanti soldi fossero stati raccolti, riferendo poi una cifra di circa 1,2 milioni di sterline. Si dice sia apparso deluso dall’importo, dirigendosi verso la postazione di commento radiofonico della BBC. Esaltato ulteriormente dall’esibizione dei Queen che da quel momento definì “assolutamente stupefacente”, Geldof concesse un’intervista, in cui molti ricordano averlo sentito dichiarare “Dateci questi fottuti soldi, la gente sta soffrendo ORA. Dateci i soldi ORA. Datemi i soldi ora”. Dopo tale irruente affermazione, le donazioni sono aumentate al ritmo di 300 sterline al secondo. Nei giorni successivi la stampa ha valutato la raccolta fondi tra i 40 ed i 50 milioni di sterline. Ad oggi viene valutata in 150 milioni di sterline la cifra totale raccolta per merito dei concerti.
Cosa resta del LIVE AID?
Di questi fondi, purtroppo e non per colpa degli organizzatori, ben pochi vennero usati per combattere la fame in Africa. O meglio, vennero messi a disposizione e vennero spesi in modo tale da non fornire un valido supporto alle popolazioni africane colpite, tant’è che la bambina scelta come simbolo dell’evento, alcuni anni più tardi ebbe ad affermare che, nonostante gli sforzi, tutto era come prima del concerto. Fame e miseria non erano stati minimamente intaccati.
Cosa resta di quell’evento? Le buone intenzioni. L’album triplo, recentemente ristampato. Il dvd del Live Aid. Le immagini di un concerto mai prima pensato, con tante star che cantano tante belle canzoni. Il desiderio e la volontà di aiutare chi soffre. L’impegno. La speranza di cambiare il mondo. Che purtroppo non si cambia con le canzoni. Queste possono solo renderlo un po’ meno brutto, o un po’ più bello, fate voi. Ma nessuno si impegni ad organizzare, oggi, un Atene Aid. Sarebbe un’altra delusione. E di queste, oggi come ieri, non ne abbiamo proprio bisogno.
Vittorio
Foto tratta da: http://www.dailymail.co.uk