Louis Moreau Gottshalk, la musica americana incontra il ritmo

Per tutti, o quasi, New Orleans è l’essenza stessa del Jazz: il luogo dove, negli ultimi cinquant’anni dell’Ottocento, si sono coagulati tutti quegli elementi – come le parade bands, i Rag, gli umori blues, le irregolarità ritmiche cubane, la scuola europea – che hanno dato vita a quella che è forse la musica americana per eccellenza. Ma, sempre a New Orleans, e ben prima, ha agito un compositore di scuola classica che, in modo del tutto eccentrico, ha provato una strada ancora differente, ma che sempre della contaminazione fa il suo comandamento: stiamo parlando di Louis Moreau Gottshalk

Nel post “padre” riguardante il pianoforte afroamericano, abbiamo notato come l’approccio dei neri allo strumento mettesse in evidenza l’elemento ritmico rispetto alla quadratura metrica e alla struttura armonica dei bianchi. E, nella scorsa occasione, abbiamo incontrato, con un po’ di sorpresa, un artista che non agiva in un polveroso juke joint del Sud, ma agitava la bacchetta da direttore nelle feste in divisa dell’educata Philadelphia.

Ora scendiamo di latitudine, e arriviamo nella meticcia New Orleans: e nelle sale dei suoi eleganti teatri, dove l’autore e pianista Louis Moreau Gottshalk propone al suo pubblico l’equivalente in musica del piatto creolo yambalaya… Un mix speziato di ingredienti africani, spagnoli e amerindi, in cui le sincopi e le irregolarità ritmiche rivestono una parte fondamentale.

Chi è Louis Moreau Gottshalk (1829 – 1869)

Louis Moreau Gottschalk: già dal nome bizzarro possiamo intendere molte cose. E, cioè, una genealogia composita e un intreccio di culture, proprio come la natia New Orleans: città multiforme e dal contesto sociale variegato, capitale coloniale fra le più colorate, e porto commerciale dalla fama dissoluta.

Gottschalk nasce nella capitale della Louisiana nel 1829 da padre inglese di discendenza germanica e fede ebraica, e da madre creola francese, di origini aristocratiche, fuggita dalla vicina Haiti dopo i moti rivoluzionari guidati dall’ex schiavo Touissaint Louverture. A soli sette anni Louis mostra già uno strepitoso talento per il pianoforte, e a tredici è mandato a Parigi per completare la sua istruzione musicale. Nella Ville Lumière prende lezioni a fianco dei coetanei Georges Bizet e Camille Saint-Saëns nello studio del maestro Maledan: un istruttore intelligente, molto più attento a liberare le capacità creative dei suoi studenti che non a calare dall’alto regole e norme precostituite.

Alla ricerca delle spezie ritmiche: Francia, Spagna, Caraibi e Brasile

A diciassette anni Gottschalk è ormai un affermato virtuoso del pianoforte, ammirato e additato pubblicamente da Chopin, Liszt e Berlioz, e inizia a lavorare ai primi pezzi originali per piano: il risultato saranno le cosiddette quattro “Fantasie creole”, fra cui primeggiano “La Bamboula, dance de nègres” e “Le Bananier, chanson nègre”, basate su rielaborazioni delle reminiscenze musicali assorbite nella madre patria in età infantile.

Fra il 1851 e il ‘52 Gottschalk è in Spagna, dove compone opere ispirate a suggestioni locali (“Manchega”), e si attira le lodi – ma anche le gelosie – della corte. Espulso dalla regina Isabella II torna negli Stati Uniti, da cui manca ormai da dieci anni: ma gli americani, delle sue “pagine spagnole e creole”, non ne vogliono proprio sapere. Pur di sopravvivere – e mantenere la numerosa famiglia materna, tutta a suo carico – sposta il repertorio su toni più consoni al gusto comune: “The Last Hope” è un pezzo svenevole, scritto su misura per gli amanti della parlor music, mentre altri (come i capricci “The Banjo” e “Columbia”, derivati dalle arie minstrel di Foster) sono sicuramente più originali e contaminati.

Dal ’54 il nostro si imbarca per i Caraibi, scoprendo un mondo al cui fascino non si sottrarrà più: anche qui assorbe gli spunti locali e li rielabora in composizioni nuove, colorate e sperimentali, come le danze “El Cocoyé”, le marce “Souvenir de Porto Rico” e “Souvenir de La Havane”, e la sinfonia “La noche de los tropicos”. Scosso dagli eventi della Guerra Civile torna in patria: nordista acceso, si spende per la causa con concerti di beneficenza, e dona alle giacche blu una sonata – “The Union” – dove i rumori e i ritmi della battaglia convivono con citazioni popolari e patriottiche (“The Star-spangled Banner” e “Yankee Doodle”).

Dopo uno scandalo sentimentale, abbandona per sempre gli Stati Uniti: gli ultimi quattro anni della sua vita sono dedicati alla scoperta del Sudamerica, delle sue musiche e delle sue miserie umane. Nel 1869, in Brasile, stroncato dalla febbre gialla, Louis collassa sul palco, proprio dopo aver terminato la performance di “Morte!”, una piece romantica di sua penna: tre settimane dopo, nella sua stanza d’hotel a Tijuca, muore: ha solo quarant’anni. Le sue spoglie sono inviate a New York per la sepoltura.

Dalla fama all’oblio, e ritorno

Il suo nome cade immediatamente nell’oblio. La nomea di “Chopin dei creoli” ha più nuociuto che favorito alla considerazione dell’opera di Gottschalk: il suo virtuosismo alla tastiera ha dato al talento creolo, in vita, la fama di un’odierna rock-star, ma ha deviato l’attenzione dall’originalità e profondità del suo pensiero. Gli “scandalosi” ritmi ancheggianti del giovane americano sono considerati, dalla spenta Europa post-quarantottina, un infortunio: solo la dedizione di pochi amici salva la sua opera dalla totale oscurità… Oblio che cesserà solo nel centenario della morte, quando la ristampa del suo catalogo riproporrà all’attenzione del pubblico e della critica la grandezza della sua poetica.

Fra ricerca, esotismo e ritmo

Il geniale artista creolo osserva la musica nera con il massimo rispetto: la studia, la ascolta, la ama… E così fa con qualunque patrimonio “etnico” entri in contatto: grazie alla sua straordinaria e curiosa sensibilità, riesce a entrare in simbiosi col cuore della musica locale, a estrarne i principi fondamentali, e ad adeguarli alla scrittura colta, in una sintesi originalissima. Nelle sue pagine – e non importa a quale colore si riferiscano – domina il ritmo, inteso come impulso fisico propulsivo, carnale, vitale. A L’Avana, in qualità di direttore del teatro Tacón, Gottschalk scandalizza il pubblico con “La noche de los tropicos”: opera la cui coreografia prevede un’orchestra, una banda militare e un gruppo di schiavi, addetti ai tamburi. “La Bamboula” è una fantasia pianistica basata sul patois del Sud e su un battito ossessivo (il ricordo dei tamburi di Congo Square?) che si stratifica in un castello ritmico a più livelli: una miscela che – al pari della gemella “Le Bananier” – colpisce subito per la freschezza e la forza con cui dipinge, in pochi minuti, un mondo esotico, vivace e mitico.

Conclusioni: Louis Moreau Gottshalk e il ritmo

In Gottschalk si trovano, in nuce, moltissimi elementi che, da lì a quarant’anni, faranno la fortuna del pop: la scansione del rag, lo sferragliare ipnotico del boogie, e la costruzione del brano per accumulo e stratificazione, tipica del pensiero ciclico africano. Gottschalk è, a tutti gli effetti, il primo compositore pienamente “americano” e “moderno”: dà voce a una nazione giovane, multiforme e poliglotta, che sta trovando nella collettività – e nei suoi riferimenti più veraci, come i canti popolari e il ritmo – la sua identità.

a cura di Francesco Conti “Chiccoconti”

Fonti letterarie

  • EILEEN SOUTHERN, La musica dei neri americani, tr.it., Milano, Il Saggiatore, 2007
  • A.A.V.V., La musica colta afroamericana, atti, Roma, S.I.S.M.A. – Società Italiana per lo Studio della Musica Afroamericana, 1995
  • GILDO DE STEFANO, Ragtime, jazz e dintorni, Milano, Sugarco Edizioni, 2007
  • JOHN TASKER HOWARD, GEORGE KENT BELLOWS, Breve storia della musica in America, tr.it., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963

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