Versi da bancone è il nuovo EP del cantautore Luca Burgio registrato insieme alla Maison Pigalle la band che lo accompagna da anni nei concerti. Ecco la recensione di Gilberto Ongaro per Blog della Musica
Versi da bancone è un EP dove Luca Burgio racconta quattro storie, cariche d’ironia grottesca e accompagnate dal jazz della Maison Pigalle. Le canzoni sono come cantate da quattro avventori in un locale, ed infatti spesso sembra di ascoltare le tipiche chiacchiere da bar.
In fondo al mare narra in prima persona dal punto di vista di un pensionato che ha “preso un dottorato sopra il Fatto Quotidiano”. Il signore apprende la notizia del ritrovamento delle sirene nel mare. Il pretesto della bufala serve ad arrivare a pensare come saranno queste sirene, porteranno malattie? E così ben presto parte una caccia alle sirene: “Questa invasione, io proprio non ci sto”. La situazione degenera a ritmo swing.
Con Il terzo incomodo si descrive una situazione da cabaret, una vicina di casa focosa che non lascia dormire il protagonista: “Quel fuoco si consuma tu che miagoli alla luna maledetti le pareti in cartongesso (…) cuscino sulla testa dico basta adesso stanno esagerando!” Eccitato dalla vitalità della donna, anche lui goffamente tenta un approccio, ma senza successo, e resta solitario ad ascoltare i suoi versi: “Ah! Ah! Ah! E prenditi una pausa ogni tanto! Ah! Ah! Ah! E non provocare il mostro che ho dentro, perché quello che voglio mi prendo”.
L’erotismo passa dalla casa al convento, col terzo pezzo La confessione, posando uno sguardo microscopico su una suora poco devota “pregando di nascosto a mani giunte fra le gambe”, che canta in prima persona rivolgendosi a Dio: “Perdesti il tuo primato”. Quando la suora fa outing, assieme al suo compagno difende il suo amore.
Un valzer di pianoforte introduce Carezze, che inizia coi ricordi di gioventù, quelli più dionisiaci, tra riviste “indiscrete”, la passione per la “cultura punk” e ogni “oggetto arma contundente” e il ritornello indulgente che prorompe in un 2/4 scatenato: “Ma che male c’è, se non fa male non può chiamarsi male (…) solo uno sfizio contro la monotonia”.
E i Maison Pigalle terminano la narrazione col ritmo sfrenato, fino a che arriva il conto del barista. Un piccolo lavoro alcolico, dalla voce tormentata.
A cura di Gilberto Ongaro
Info: https://www.facebook.com/lucaburgioemaisonpigalle/