I Mamavegas escono con il nuovo lavoro discografico MMM per 42 Records. Un collettivo di musicisti lontani dalle mode e dai cliché generazionali che ha sfornato un disco ricco di suggestioni musicali…
MMM è il nuovo disco dei Mamavegas, collettivo di musicisti provenienti da Roma e dalla provincia di Salerno. In un panorama come quello della musica indipendente italiana attuale, i Mamavegas sono quasi una mosca bianca.
Lontani dalle mode e dai cliché generazionali, portano avanti il loro percorso con coerenza e stile.
Esterofili più per mentalità che per vocazione, per questo loro terzo album dal titolo MMM hanno deciso di fare tutto da soli.
Il disco è stato infatti interamente realizzato al White Lodge Studio di Matteo Portelli, uno dei sei polistrumentisti della band, che si è anche occupato di curarne la produzione artistica.
MMM è un disco nervoso. Elettrico ed eclettico. Raffinato, ma anche diretto.
Pieno di suggestioni diverse e che provano a far convivere indie rock ed elettronica, le ballate folk e la psichedelia, un certo sapore jazz e qualche deviazione verso la new wave, come appunto testimonia il primo estratto After the Fall, un brano che rimanda direttamente a quell’epoca in cui i Cure provavano a fondere la loro musica con le influenze provenienti dai caraibi.
MMM Track by track
MMM. È il brano che forse ha segnato la direzione che volevamo dare a questo disco, almeno una delle direzioni, sia come scrittura che come produzione, e anche quello che ha preso la veste definitiva per primo. Una scrittura più liberatoria e potente e un suono più sporco e diretto, che ci ha convinto che potevamo registrare e mixare interamente nel nostro studio, il The White Lodge, dopo due dischi prodotti fuori da qua. Il pezzo è nato, praticamente così com’è, in una sera, come sfogo per la morte imminente del mio cane, un animale a cui ero molto legato. Una riflessione sulla perdita, su come si possa accompagnare e addolcire un momento di sofferenza. Non si può negare l’evidenza della solitudine, si può dare conforto e vicinanza a chi si ama. Il titolo era un titolo “di appoggio”, come spesso facciamo con dei provini, lettere da inserire per salvare un progetto sul computer. Ma le 3 “m”, Mamavegas 3, in questo caso hanno finito per rappresentare al meglio il filo conduttore di questo disco: parliamo molto di noi, di cosa ha significato per noi scrivere e produrre un terzo disco.
Against Your Will. Questa canzone era nata con un mood molto jazzistico, un’atmosfera che inizialmente faticava a sposarsi con l’estetica che volevamo avere in questo momento, tanto che è stata fuori dai pezzi scelti per l’album per un po’ di tempo. Ma un paio di giorni a suonarla insieme, qualche leggero cambio di alcune intenzioni, tanti ascolti di Unknown Mortal Orchestra, ed è finita per diventare una di quelle preferite da tutti. È una canzone che si fa suonare, con struttura e armonia molto semplici, in cui abbiamo cercato di lasciare spazio alla melodia, arrangiando il meno possibile, pochi cambi, strumenti che mantengono il loro ruolo dall’inizio alla fine. Rimane l’atmosfera iniziale nella scelta di chiamare un musicista che stimiamo tantissimo, Marcello Alulli, un eccezionale sassofonista della scena jazz e noise (ex Nohaybanda Trio), a improvvisare sulla coda strumentale, con Davide di Pasquale, che già in passato aveva suonato sui nostri dischi, a fare da base col suo trombone. Era stata scritta per il mio matrimonio, per quanto non sia propriamente una canzone d’amore: c’è la paura del dissolvere la propria identità in quella di coppia, c’è la spinta ad abbandonare i timori e a lasciarsi andare a qualcosa di nuovo.
After The Fall. Forse il brano meno Mamavegas dei Mamavegas. È stata scritta il giorno dopo la morte di Prince, e si è chiamata “Prince” per
alcune ore (forse non lo sanno nemmeno tutti i membri del gruppo). La voglia di far ballare, di puntare sul ritmo e sul corpo più che sul cervello, una cosa molto poco Mamavegas, almeno quanto i timbales caraibici che seguono tutta la canzone. È venuto fuori un aspetto che rimandava a qualcosa di post-punk, i Clash, i Cure, e abbiamo scelto di enfatizzare questo aspetto usando una voce diversa, un cantato meno solido e pulito, forse un po’ più punk. È stata ovviamente una scelta non immediata e discussa a lungo: non usare la voce del nostro cantante Emanuele è sembrato strano all’inizio, per quanto la mia voce già negli altri dischi sia sempre presente, con cori, doppiaggi, rinforzi, che giocano sul contrasto di due timbri abbastanza lontani. Ma la canzone richiedeva questo, e abbiamo deciso di far prevalere sempre le esigenze delle canzoni su qualsiasi altro aspetto.
Kitbomb. L’abbandono definitivo della dimensione acustica: i timpani che diventano cassa dritta, le chitarre acustiche tappeti di synth, gli arpeggi con l’elettrica, da caldi e avvolgenti, si fanno nervosi e si perdono sommersi da arpeggiatori, l’esplosione di chitarra distorta che era stata scritta nel provino ha lasciato il posto a un campionamento di un coro di bambini italiani e bengalesi (ringraziamo l’inconsapevole cantante Sushmita Sultana, avvertita della sua presenza nel nostro disco solo a cose fatte). Ma il concetto alla base del brano è molto legato alla scrittura dei primi tempi, poco spazio al cantato e alla forma canzone, e una lunga coda ossessiva in crescendo, il timbro dei primissimi Mamavegas, Francesco e Daniele. Un viaggio psichedelico digitale che racconta l’uccisione del proprio padre, nel testo tutt’altro che metaforica, passando dalla nervosa e lucida analisi dei fatti
e delle motivazioni alla pace della libertà ottenuta, all’incubo ossessivo della consapevolezza.
Career High. Qua parliamo molto esplicitamente di noi, del nostro rapporto con la musica; un dialogo per riflettere ironicamente su cosa ci aspettiamo, su come ci cambiano le cose intorno e su come cambiamo noi nel nostro modo di vivere la musica. Non siamo più ragazzini, non possiamo non farci caso, non pensarci, non renderci conto che c’è una nuova generazione, con riferimenti, gusti, idoli, ascolti lontani dai nostri. Viviamo tutti immersi nella musica e a contatto continuo con gente che fa musica, ognuno per motivi diversi, tra etichette, studi di registrazione, locali, scuole di musica; è inevitabile confrontarsi con tutto questo, specialmente dopo tanti anni e diversi dischi fatti insieme a nome Mamavegas. E forse, senza averlo fatto in modo programmato, la nostra conclusione a questo tipo di riflessioni è: “suonare”. Suoniamo per suonare, per cercare altri modi di continuare a farlo, e la coda strumentale del pezzo sembra dire questo: i synth e le chitarre si fanno strada sgomitando tra loro su una ritmica elettronica, echi di postrock che cercano il loro spazio e si sporcano con sonorità più moderne. È una lettura a posteriori, ma capita che le cose che abbiamo dentro escano in musica prima ancora che a parole.
Samba. I bonghi che abbiamo sempre sognato di mettere in una canzone! “Samba” è stato un pezzo strumentale molto più a lungo di altri. Francesco e Daniele scrivono spesso partendo dalla musica, poi arriva la linea melodica della voce. Questa è arrivata tardi, quasi all’ultimo momento: Emanuele ci aveva sempre rassicurato che su un pezzo così avrebbe trovato la linea giusta senza problemi, e così è stato. Si sentono i suoi tanto amati Arcade Fire, e la voce incalza sulla ritmica ossessiva del loop alternandosi con frasi di chitarra che ne allentano la tensione. I suoni dei synth richiamano i gruppi new wave con cui siamo cresciuti, Joy Division e Cure soprattutto. “Samba” è un nostro modo per definire un certo modo di interpretare la ritmicità, un grido liberatorio di quando il ritmo ci prende e ci diverte. È una canzone sugli errori, sulla bellezza dello sbagliare, vivere la vita in tutte le sue forme.
Self Esteem. Una ballad molto molto intima e personale, che racconta di un periodo strano della mia vita. Il testo racconta di un’esperienza personale, in modo quasi cantautorale, senza elementi di astrazione, e per questo non potevo non cantarla io, una scelta non di suono o di timbro in questo caso. Credo che Emanuele non sarebbe stato molto a suo agio a dover raccontare cose che mi riguardavano in modo così diretto. È stata registrata con un pianoforte digitale, con l’idea di andare poi a registrare con uno vero la versione definitiva. Ma l’espressività non si riproduce, e anche se abbiamo registrato la parte con un bellissimo piano a coda alla fine su disco è rimasto quella originale, che con tutte le sue imperfezioni ci colpiva di più. Certe cose vengono bene una volta sola. Una musicista di un’altra generazione, Giovanna Marini, registrando nel mio studio si è stupita tantissimo sentendo che c’è chi suona la parte più volte quando registra un disco. Candidamente mi ha detto “ma la canzone dopo due volte che la suoni muore”. Forse c’è del vero. Si parla di autostima, di quanto possa far bene stupirsi delle proprie capacità, riderne e compiacersene, anche in modo supponente e arrogante, per superare dei momenti complicati: anche la scrittura di questo disco è stato un periodo strano nella nostra vita di band, con momenti di difficoltà, di crisi, di scontri; e la nostra autostima è stata la voglia di suonare, di suonare per noi, di fare cose che piacessero prima di tutto a noi, di parlare a noi prima che agli altri, perché forse piacendosi e essendo orgogliosi di sé si riesce a comunicare in modo più chiaro quello che si ha dentro.
Fake Stars. Gli Efterklang erano stati il nostro riferimento principale per il nostro primo LP Hymn for the Bad Things, i Dirty Projectors di “Swing Lo Magellan” per il nostro “Arvo”, e sicuramente uno dei gruppi che abbiamo sentito di più durante la scrittura e la registrazione di MMM sono i Tame Impala. Il giro di basso di “Fake Stars” è quasi un omaggio, chi li conosce non dovrebbe far fatica a capirlo.
Ritmo serrato, malinconia, campi sonori larghi per l’ultimo contributo di Marco Bonini ai Mamavegas: per punire la sua scelta di non continuare a suonare con noi abbiamo riempito la sua bella canzone profonda e intensa di vocoder, che tanto va di moda ultimamente.
La sinteticità della voce sottolinea il piano narrativo: un ricordo di un rapporto non vissuto fino in fondo, in cui il tempo trascorso, le stelle guardate insieme, le promesse fatte, ogni cosa appariva finta. E il rimpianto per non averci creduto apre la coda strumentale, in cui chitarre e synth riempiono i vuoti della ritmica iniziale.
High Tide. Una di quelle volte in cui una frase e una melodia ti nascono in testa e arrivano in studio e diventano canzone con facilità. un loop di batteria elettronica, dei semplici appoggi di rhodes e già la canzone funzionava. C’è voluto poco a colorarla e arricchirla, con una sensazione di grande libertà: se la canzone sta in piedi da sé la scelta di come arrangiarla è solo un gioco, e questa è stata una di quelle più divertenti da arrangiare, sembrava andar bene ogni cosa, non capita sempre. Addirittura pochi giorni prima del mix Emanuele ha proposto di inserire un fraseggio di archi sul finale, a pezzo praticamente chiuso. “Ma no, c’è tanta roba, non ci starà mai bene!”, e invece…
Nel testo del provino, provvisorio e sbagliato, si parlava di questa “old lady”: perché una canzone su una vecchia signora? E poi questa vecchia signora si è rivelata essere una donna di cui avevamo parlato in The Flood, un brano di “Arvo”: lì si raccontava di un mondo sommerso da un’alluvione, e di una coppia che rifondava tutto sul corpo di questa donna, che generava boschi, città, fiumi; ora sono passati anni, secoli forse, e questa regina-dea, ormai sola, sta morendo. Una folla la celebra, festosa e colorata, e inconsapevole del fatto che forse il mondo che ha creato imploderà con lei. “L’alta marea sta tornando, e stavolta tu non ci sei…”. Forse volevamo dire che è l’amore a tenere in piedi il mondo. O forse che è l’inconsapevolezza del destino l’unico modo per continuare a fare festa.
Ready For War. Questo è stato invece un pezzo più difficile da concludere, in cui l’arrangiamento sembrava non arrivare mai. Di tutto il disco è
quello che ha subito più tentativi, cambiamenti. Fino a un assalto finale in cui io e Francesco abbiamo azzerato tutto e ricominciato da zero: via tutte le chitarre, tempo dimezzato, spazio ai synth e all’elettronica. Finalmente ci è sembrata la veste giusta, anche in relazione al testo, che racconta di una ragazza che si fa saltare in aria, dal punto di vista di una vittima che trova liberazione nell’attentato, e amore per la sua carnefice, della stessa ragazza sorpresa dalla conseguenza inaspettata del suo gesto e di un narratore che svela l’ingenuità e la superficialità dell’attentatrice. Abbiamo voluto quasi giocare sul terrorismo, provare a trasformare in una storia più piccola e umana un fenomeno così grande e complesso. Perché a volte la storia è fatta
anche di questo, delle piccolezze umane che si trasformano in grandi eventi, anche devastanti.
Table Of Elements. Un’altra ballad a chiudere MMM: anche questa canzone ha avuto diverse vite e diversi arrangiamenti prima di arrivare a
questa forma finale. Stavolta più per ricerca che per necessità, ci è sempre piaciuta e sembrata “funzionante”, dal primo momento che Andrea ce l’ha fatta sentire, ma volevamo provare una strada un po’ meno immediata, rispetto ai nostri canoni: abbiamo suonato synth principale e chitarra insieme, senza una vera e propria parte scritta, giocando con gli effetti in tempo reale, in un’unica take, su cui poi abbiamo innestato la ritmica scarna e ripetitiva a dare profondità e dinamica maggiore. Il testo parte da un libro in tre episodi di Baricco, “Tre volte all’alba”: si parla di un ricongiungimento dopo un distacco e di quanto le relazioni possano perdurare, anche nel momento in cui ci si dividerà nuovamente, per ragioni impreviste. E il titolo richiama il concetto di “questione di chimica”: la tavola degli elementi è per noi una traduzione in linguaggio scientifico dell’anelito a scoprire, e a capire. Piccola nota nerd: poco dopo la chiusura dei mix uno dei computer usati per comporre il disco ci ha abbandonato improvvisamente, portandosi via con sé un mare di lavoro. Di molte cose avevamo delle copie, di molti synth e suoni elettronici fatti per questo disco no. Molte cose siamo riuscite a ricrearle per poter suonare live, ma il synth principale di questa canzone no. Sarà simile, molto simile, ma mai più uguale, e la sensazione di nostalgia che si prova quando lo suoniamo può capirla solo chi ha avuto un’esperienza simile.
I Mamavegas sono
Francesco e Daniele Petrosino, Emanuele Mancini, Matteo Portelli, Andrea Memeo e Marco Bonini
Info: https://www.facebook.com/mamavegasband/