Manlio Maresca, musicista che esalta gli “errori” musicali per farne nuove strade compositive e nuovi modi in cui esprimersi. Ecco l’intervista che gli abbiamo fatto…
Ciao Manlio, presentati in poche righe ai nostri lettori.
Mi chiamo Manlio Maresca, sono un musicista che lavora da molto tempo con diversi progetti di musica originale, sia a nome mio che in progetti di altri musicisti
Data la mia natura refrattaria ad ogni studio arido, non ho mai seguito un solo percorso didattico e stilistico, senza mai trovare volutamente un’identità di genere, ma al contrario sviluppando una propensione nel ricercare qualcosa di personale che possa rispecchiare il mio carattere in funzione di tutto ciò che mi circonda, questo vale per sia per le esperienze umane che per quelle musicali, che nella vita di un musicista tendono a fondersi.
Mi ha molto incuriosito il tuo disco Hardcore Chamber Music alla cui origine pare esserci l’esaltazione dell’errore. Ci puoi spiegare un po’ meglio?
Quando parlo di errore, parlo di scorrettezza intesa in tutti sensi. Noi musicisti Italiani non avendo una forte coscienza musicale, tendiamo molto spesso ad imitare quello che proviene da altri paesi, soprattutto le sonorità di oltreoceano. Parlo in maniera più specifica del Jazz: spesso il risultato è qualcosa di accademico, un esercizio di stile, un revival. Questo accade perché si ha la paura di osare, dato che la nostra cultura italica ci impone erroneamente di considerare le tradizioni come valori assoluti. Interpretiamo così anche tutte le altre realtà musicali, anche se non fanno parte della nostra storia.
La preoccupazione costante di dover fare una cosa come la tradizione l’ha imposta diventa una gabbia, nella quale si è chiuso il Jazz italico, e spesso anche con risultati poco interessanti.
Hardcore Chamber Music nasce proprio da questa esigenza. La tradizione va si rispettata, ma nulla ci impone di prendere spunto da questi valori e creare altro, senza l’ossessione di dover fare assolutamente qualcosa di giusto. Cosa che i musicisti americani fanno da sempre. Se si suona jazz di un determinato periodo nulla mi vieta di non inserire elementi di disturbo oppure andarmene in un’altra direzione, sempre ovviamente nel rispetto del buongusto e della musica. Quindi di fare, suonare, scrivere cose che non sono previste per quello stile, cose che potrebbero essere considerate errori. Inutile dire che c’è anche della provocazione in tutto ciò, esattamente come nella musica hardcore, anche se io non intendo questo termine strettamente sotto il profilo musicale, ma mi interessa soprattutto a livello concettuale.
Sempre a proposito del tuo disco, tu parli anche di “casualità”, una casualità che apre nuove strade compositive. Da quello che ho ascoltato a me sembra che nulla sia affidato al caso, ma che alla fine tutto torni. Cosa ci puoi dire a proposito?
La casualità di cui parlo riguarda l’aspetto creativo. Quante volte un musicista durante i suoi studi quotidiani, nel ripetere ossessivamente un pattern ritmico o melodico, incappa in un “errore”? Ecco, io qui assisto ad uno dei miracoli della mia creazione, un elemento improvviso, inaspettato che mi suggerisce qualcos’altro, una casualità che nasce da uno “sbaglio”, che in questo caso diventa qualcosa di edificante.
Tutto questo può generare una linea melodica oppure, cosa ancora più interessante, una cellula ritmica irregolare, dato che nella mia musica (che è costituita in gran parte di tempi irregolari che si susseguono in maniera altrettanto irregolare), una pavimentazione apparentemente disconnessa è una consuetudine. Poi come in questo caso, avendo dato ad Hardcore Chamber Music una (finta) identità di disco jazz, mi sono voluto attenere alle regole, quindi anche riservando delle parti di pezzo per delle improvvisazioni da parte degli altri musicisti su delle griglie armoniche e/o ritmiche prestabilite, alterandole con questa logica dell’errore.
Quindi è un tipo di casualità che va ricercata, non con difficoltà perché l’errore è insito nella natura dell’uomo, poi sta a me fare in modo che tutto torni.
Come hanno influito nella tua musica gli Einstürzende Neubauten? Oltre a loro quali artisti sono fonte di ispirazione per te?
Io parlo di Einstürzende Neubauten per indicare tutta quella compagine di musicisti che con il Jazz e le sue origini non hanno apparentemente niente in comune. Dico apparentemente perché ho la ferma convinzione che tutte le musiche composte dagli anni venti in poi siano state generate da questo linguaggio multiforme, anche Biagio Antonacci e Marco Masini purtroppo, ma purtroppo loro non lo sanno.
Gli Einstürzende Neubauten per me sono quasi l’emblema di come dovrebbe essere la musica, libera dalle convenzioni, ma sempre nel pieno rispetto di essa. La loro musica è fatta utilizzando strumenti tradizionali, mescolati a strumenti autocostruiti, che generano suoni anche poco confortevoli. Le loro intuizioni armoniche sono semplici e tutt’altro che accomodanti per l’orecchio del grande pubblico, ma rivolte a descrivere e a raccontare una realtà fatta anche di rifiuti, scarti industriali che possono diventare strumenti di musica. Suoni che un’orecchio mediocre, sordo alla bellezza di una certa realtà, considererebbe solamente rumore. Inoltre ritengo che abbiano sempre utilizzato la logica convenzionale per andare al di là dell’ordinario ed arrivare solamente a chi ha una sensibilità giusta per emozionarsi, senza la necessità di dover fingere di mettere tutti d’accordo per un proprio tornaconto personale. Questa è arte.
A questi aggiungo altri grandi rivoluzionari che la rivoluzione non l’hanno fatta con le parole, ma con i suoni. Al primo posto ci sono i Primus, figli diretti di tutta quella scena della San Francisco degli anni settanta ed ottanta, come i Residents, gli XTC, i Devo, ecc… Per non parlare di quanto mi abbia influenzato la no wave della costa est statunitense, Contortions, Dna, Lidia Lunch, ecc…, che hanno generato realtà come Sonic Youth, Naked City, Mr Bungle. Sempre negli anni novanta tutta la scena dell’etichetta “Touch And Go” di Steve Albini, con il quale ho avuto l’onore di registrare Neoclassico, terzo album dei Neo. A cui aggiungo gli Shellach, i Jesus Lizard, nonché un eccellente gruppo italiano, gli Uzeda. Poi non posso non nominare Fred Frith e tutta la sua storia fatta di collaborazioni che varcano i confini dei dettami della ragione. Inoltre c’è il grande Igor Stravinsky, personaggio che io ritengo al di là di ogni conformismo. Insomma non basterebbe una nottata per citare tutti gli artisti che hanno influenzato la mia musica al di fuori del mondo del jazz.
Tutti questi personaggi hanno in comune l’idea folle di fare musica al di fuori delle convenzioni, con ogni mezzo, note, strumenti, oggetti, rumori, saturazioni e tutto ciò che nella musica di un certo tipo è considerato scarto.
Contemporaneamente a tutto ciò ho sempre ascoltato, studiato e rispettato i grandi maestri del jazz, finché non sono giunto alla conclusione che tutti quei signori sopracitati hanno molte cose in comune con i maestri. Sento molta affinità tra i tritoni dei Primus e le armonie stralunate di Thelonius Monk. Fino a raggiungere l’intuizione che ha alimentato Hardcore Chamber Music: il jazz si è incrociato spesso con il rock, benché io non creda molto nei risultati ottenuti, poiché negli anni ’70 e ’80 le cose veramente interessanti accadevano maggiormente nel punk e nella new wave. Ora secondo me è arrivato il momento di mescolare il jazz con la parte dannata della musica, che poi è quello che faccio già da molti anni.
Insieme a te in questo “Hardcore Chamber Music” c’è anche il tuo gruppo Manual for Errors, ce li presenti?
Ci tengo a precisare che Manual for Errors non è un gruppo stabile, ma un progetto che ruota attorno alla mia figura, si tratta di una visione concettuale che caratterizza questa musica che può essere suonata ora da tre individui ora da cinque ora da dieci con formazioni sempre differenti, infatti nel disco accade questo, alcuni pezzi sono in quartetto, uno in trio, in altri pezzi siamo in 5, ma con strumenti differenti per ogni pezzo.
In questo disco mi sono avvalso di coloro che in questo momento sentivo più adatti per incarnare la mia idea. Avendo mascherato Hardcore Chamber Music di jazz per le ragioni di cui vi ho già parlato, sono andato a ricercare i musicisti secondo me più interessanti nella scena musicale italiana, dotati di una personalità versatile e capaci di aderire appieno alla mia idea di musica, quindi in una sezione di sax e tromba già molto consolidata, con Daniele Tittarelli al sax, musicista estremamente sensibile capace di plasmare la sua sopraffina e pacata personalità le mie armonie contorte arrotondandole con la morbidezza perversa e musicale che solo lui al mondo possiede, controbilanciata dall’estro a volte aggressivo a volte sonnacchioso ma sempre scattante e ricettivo di questo giovane talento trombettista che è Francesco Lento. Al piano c’è Roberto Tarenzi, che con la sua propensione per tonalità “minori”, ovvero scure e polverose, risulta perfettamente allineato alla mia poetica, trovandosi perfettamente a proprio agio sui miei pezzi dalla natura più convulsa.
La ritmica è costituita da Enrico Morello alla batteria, solido ed eccezionale batterista con il quale ho il piacere di lavorare da molti anni anche con Andymusic, un altro mio progetto in trio. Al contrabbasso c’è Matteo Bortone, vincitore del Top Jazz 2015 con il suo gruppo Travelers.
Quali sono i vostri prossimi impegni e progetti?
Ricordo innanzitutto che Hardcore Chamber Music verrà presentato il 24 novembre 2016 al Cantiere a Trastevere (Roma) nell’ambito della rassegna organizzata dal collettivo “Agus”.
Poi sto elaborando una versione del Manual for errors in solo, con il supporto di chitarra e computer, con cui mi sto affacciando a sonorità che mi hanno sempre incuriosito e che ora stanno diventando una vera e propria fissazione. Come ad esempio il mondo dell’elettronica di Flying Lotus, di Mndsgn, di Dj Rashad e di mille altri e tutto questo mi sta seducendo al punto che ne voglio creare uno tutto mio.
In ultimo sto lavorando al secondo album del trio Andymusic, che si chiamerà Noisy Games, e sarà come se fosse suonato da tre personaggi che si divertono a fare musica come se fossero in un videogame.
Grazie Manlio Maresca per essere stato nostro ospite.
Grazie a voi per lo spazio concessomi ed a presto.