Elisioni il nuovo album di Marco Pace, autore immergente, cercatore di silenzi. Elisioni è un progetto interamente autoprodotto, «nato esclusivamente per il gusto personale dell’autore». Ecco la nostra recensione…
Quando non fa lo sviluppatore web, Marco Pace è un autore di testi. Nato nel lucano ma di stanza a Padova, si legge tra le righe delle sue parole la cura nella metrica, l’ispirazione ordinata nella stesura, di gucciniana memoria; tant’è che il leggendario cantautore modenese è anche citato esplicitamente in un pezzo.
Gli 8 testi presenti nell’album Elisioni sono di datazioni diverse, dal più vecchio del 2005 al più recente 2020, e per musicarle Pace si è avvalso di Michele Loreto, Gabriele D’Amelio, Denis Sammartino e Massimo D’Angerio. Si è scelto nella maggior parte dei casi, un pop folk d’autore, quello con la chitarra acustica e il pianoforte protagonisti. Più volte compare un coro femminile a rinforzare i ritornelli. Se vi piace il cantautorato classico, qui potete trovarlo.
Marco apre l’album con Io il caffè lo bevo amaro, dove spicca da subito la suddetta cura nella metrica: tutti versi rigorosamente di tredici sillabe.
Resta più impresso Oniriche elisioni, che gioca tra il sentimento e la grammatica. “Quest’inchiostro è un’illusione, è l’apostrofo che accordo e simboleggia l’elisione: elido te che sei lontana”.
Volo leggero è un titolo – manifesto dello spirito di questo disco, anche se subentra un’interpretazione della malinconia: “Persuasi che in fondo la malinconia sia tristezza leggera e i sospiri sian sorsi di un cielo più blu”. Ma per arrivare a questa conclusione, Pace attraversa il ritornello con piccole ma importanti variazioni delle parole e quindi del significato, come “sorsi” che prima era “morsi” e prima ancora “modi”.
Stella fissa e C’è sempre continuano su questa linea tra l’entusiasmo e la dolcezza: “La mia vita è su di te, scrivania dei sogni miei (…) C’è sempre qualcuno nell’universo che contemplerà con lo sguardo perso la tua stessa luna”.
Ma Con diverso affetto, che affronta la fine dell’apice di un sentimento, che non si vuole ammettere, introduce alcune raffinatezze nell’inciso, con il vibrafono che valorizza questo punto. Mentre I luoghi che raccontano di me sfocia in uno smooth jazz, quasi bossa nova, con delle progressioni armoniche interessanti, che fanno sì che il ritornello finisca salendo su di due toni, per tornare alla strofa. Piccoli dettagli che fanno la differenza.
Qui le parole di Marco Pace dimostrano quel che intende, quando si autodefinisce “autore immergente” – espressione che utilizzo anch’io da un po’, e promuovo sempre chi la usa, chi cerca di andare a fondo, immergersi nelle cose, piuttosto che puntare ad un superficiale “emergere”.
“Vorrei sapere se i luoghi opachi delle feste fan gola a molti o solo a me (…) che cosa c’è di me nel cosmo? Che cosa c’è di me a Versailles?”
Queste domande rimandano a ciò che le persone sensibili percepiscono in tutte le culture, che sia “corpo astrale”, “ubuntu” o Trent Reznor che grida “We’re in this together”. Se è vero che siamo parte dell’universo, sarà anche vero che ovunque c’è qualcosa che ci appartiene.
L’album si chiude con Sarà vero, che è uno swing jazz pacatamente più allegro, con dei piccoli scherzi musicali, come il ritornello in 7/8 e l’inganno alla fine: sembra che il brano debba partire più spedito, e invece finisce lì.
Questo Elisioni di Marco Pace è una raccolta di piccole riflessioni di vita, senza pretese ma scritte bene, e ben musicate.
Ascolta Elisioni, il disco di Marco Pace, su Spotify
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