Massimiliano Rocchetta, Paolo Ghetti e Stefano Paolini pubblicano Pianosolotrio un disco edito da Limen Music di Milano. La recensione di Marco Pollice per Blog della Musica
Oggi scriviamo di Pianosolotrio, un disco di Massimiliano Rocchetta, Paolo Ghetti e Stefano Paolini, un lavoro pubblicato da Limen Music di Milano che ho avuto il piacere di ascoltare e di apprezzare, sicuramente ricco di ricerca e invenzione, composizioni strutturate e suonate con sapiente maestria, non solo con tecnica e abilità ma anche con gusto e ricerca estetica, dalle forme alle armonie ,all’ascolto reciproco degli interpreti.
Molte volte si pensa che il jazz sia un linguaggio ancorato nel passato, legato indiscutibilmente a quei nomi che hanno segnato la storia del genere musicale, dal Be bop al cool Jazz all’hard hard Bop per poi arrivare al free… Ebbene, penso che nulla sia così lontano dalla realtà e questo album ne è la prova, nella sua freschezza e spontaneità, quanto nella ricerca e sperimentazione estetica.
Il disco Pianosolotrio
Pianosolotrio ci fa capire quanto questo linguaggio sia legato indissolubilmente al presente e non al passato, e con gli occhi del presente , anzi con le orecchie del presente , dobbiamo essere pronti ad ascoltarlo nel suo gusto tipicamente italiano. Ecco che il suono, la ricerca dell’ascolto reciproco nelle espressività delle frasi, nel modo di raccontarle musicalmente e di portarle avanti , nella ricerca di armonie ricche interessanti e descrittive fanno di questo lavoro di Massimiliano Rocchetta un grande lavoro di pregio, un album che non può mancare dagli scaffali della nostra discografia.
Endless nights
Ma ora ascoltiamolo un po più da vicino. Ad aprire l’album troviamo Endless nights con un’ introduzione puramente percussiva , colori di tamburi suonati con le mani, che ci proietta immediatamente nel tema in Sol Minore. Sin dalle prime note viene descritta un’ atmosfera magica, malinconica, tesa, teatrale quanto al tempo stesso intima e introspettiva… questa atmosfera è resa ancora più tesa dall’armonia che continua a cambiare ogni volta che si ripresenta la cellula semitonale si bemolle la. Armonia che sembra non trovare pace se non nell’unica certezza: il semitono discendente. Vera realtà ed embrione strutturale da cui tutto nasce.
Proprio questo semitono che diventa cellula portante del tema viene quindi riconsiderato in maniera efficace ed originale con triadi su basso, eludendo sempre quella che potrebbe essere una Armonia Tonale e cadenzale immutata e naturale.
Il secondo periodo parte un semitono sopra, quasi un ponte modulante che ci porta a soluzioni armoniche lontane e ardite. In questa sezione i colori degli accordi sono più tenui, più distaccati, in rapporto di terza discendente l’uno dall’altro, dei salti su cui appoggiarsi e respirare fino a intensificare ritmicamente l ultima frase all’unisono con il contrabbasso e dare l’avvio all’ultima sezione del tema, una ripresa variata del tema iniziale in Sol Minore secondo la consueta struttura AABA.
Il tema diventa magico, con i suoi respiri e i suoi sospiri, con queste note lunghe ma non stabili che portano subito l’orecchio a porre l’attenzione a quel che dovrà accadere, in divenire con nuove soluzioni e proposte pianistiche di Rocchetta efficaci quanto originali.
I due soli sono affidati rispettivamente a pianoforte e contrabbasso con due comportamenti molto diversi: il primo, quello di pianoforte, riprende strutturalmente tutti i colori degli ingredienti del tema a partire del semitono, elemento principale e principe della composizione. Rocchetta riesce a costruire frasi di grande effetto separate da pause significative che ci lasciano col fiato sospeso. La stessa drammaticità quindi del tema viene ripresa e amplificata durante il solo con circondamenti cromatici, con frasi sempre tese e drammatiche.
L’intensificazione finale è data dal solo di Paolo Ghetti che con grande espressività porta estrema conseguenza ciò che aveva lasciato il pianoforte; il tema finale viene ripreso non in tutta la sua struttura perché ormai tutto si è compiuto. Il brano si conclude proprio con un lungo respiro sull’ultimo accordo di Sol Minore unica vera certezza immutabile.
Awakening in Stockholm
Awakening in Stockholm: The groove ragazzi! Questa composizione ci ricorda come un semplice quattro quarti possa diventare poesia ricca accenti, ricca di gusto e innovazione melodica.
Tutto è intenzione in ogni singolo appoggio in ogni singola nota su accordi ribattuti, ghostnotes e tutti quegli artifici pianistici e ritmici, che solo i grandi esecutori riescono ad esprimere.
Le frasi che si scambiano Ghetti e Rocchetta nell’esposizione dei primi chorus fa chiaramente capire quanto il gusto, e la scelta delle note siano fondamentali, ma soprattutto la loro pronuncia, il loro modo di raccontare una storia in veste acustica. Nell’intenzione sono ravvisabili le idee dei grandi trii della storia, primo fra tutti il trio storico del grande Keith Jarrett con Gary Peacock e Jack DeJohnette, nel quale si fondono in modo equilibrato e magistrale generi diversi come il jazz, il blues ma anche il pop americano, in modo naturale e magistrale. Gusto e dinamiche che si fondono in modo indissolubile e sempre coerente nell’espressività del discorso musicale. In particolare si potrebbe parlare di tutte quelle dinamiche che anch’esse raccontano una storia in divenire, in crescendo continuo e costante.
Un crescendo che viene sottolineato e portato avanti, anche e soprattutto, dalla batteria di Paolini. Una batteria che riesce a crescere per grandi sezioni, senza mai sgonfiarsi, ma in modo continuo e solerte. Paolini riesce a coadiuvare l’incedere generale e dinamico del brano, con virate, accenti improvvisi e lunghe frasi percussive che sanno sempre condurre in maniera efficace il trio verso approdi e porti sicuri.
I’ll be waiting for you on the other side of the river
Atmosfere aperte, armonie distese in un gesto pianistico classico e delicato, sono le caratteristiche di I’ll be waiting for you on the other side of the river, un brano per pianoforte solo, che sa cullare l’ascoltatore con frasi spiegate, intime è dissipate. Il pesto è ricco di respiri, di appoggi che ci fanno meditare ed esplorare ogni nota nel suo essere con le proprie tensioni e con le proprie risoluzioni. È bello notare come non vengono presentati accordi in maniera sincronica ma le dita di Rocchetta sembrano creare dei tessuti orchestrali primo tra tutti il quartetto d’archi. La struttura è chiaramente contrappuntistica e grazie a dei micro cambiamenti si possono cogliere tutti i cambi di colore e di tinta tra accordi a volte sottintesi a volte fugaci.
Massimiliano Rocchetta riesce così a creare paesaggi sonori evocativi e struggenti. Impossibile distrarsi durante l’esecuzione , facile invece cogliere la poesia di ogni frase musicale espressa e legata in modo sempre lirico e teatrale.
Wine and hope
Wine and hope ha un incedere elegante, e viene caratterizzato da un gesto sobrio e a volte ossequioso. Ci troviamo di fronte ad un brano scritto e suonato, come vuole la tradizione del classico trio jazz. Sono ravvisabili spunti ed atmosfere riconducibili allo storico trio di Bill Evans, in particolare nel lirismo, nelle frasi sempre ben spiegate e nelle armonie succulente, ma mai oppressive. Ma guardiamo un po’ più da vicino Wine and hope. L’introduzione, assai libera, si dischiude da subito con degli accordi sospesi che fungono da pista di decollo per il lancio del tema, che avviene dopo circa un minuto. Esso è pregno di ricche armonie che disvelano tensione e drammaticità. L’incipit del tema, è costituito da due salti di quarta giusta ascendente, recuperati subito dopo in direzione opposta e chiudendo con cadenza al secondo grado di fa (sol minore). L’efficacia del tema è consolidata dalla sua struttura melodica portante stessa, che vede collegamenti per grado diatonico, a slanci salti e passaggi cromatici, con respiri e appoggi proprio sulle estensioni degli accordi che eludono le naturali risoluzioni tonali in particolare prima del lancio dei soli. Il contrabbasso di Paolo Ghetti prende il sopravvento dopo circa tre minuti con un solo lirico e assai legato che riprende evidentemente le caratteristiche della prima A del tema, sia a livello di cellule melodiche diatoniche che nei salti caratteristici. Questa coerenza stilistica ed esecutiva ci regala una improvvisazione sempre ponderata e capibile. Una nota particolare va alla coda che conclude in modo ancora più elegante la composizione. Poetiche le armonie e il loro ripetersi fino ad arrivare al naturale compimento del brano.
Le note di pianoforte chiudono il disco Pianosolotrio in modo grazioso, anzi aggraziato. Un brano che sembra essere il corollario e una riflessione di quanto esposto in precedenza. Un brano meditativo, dove la capacità dinamica di Massimiliano Rocchetta diventa protagonista. Il gesto del pianoforte è sicuramente classico, distribuito in modo convenzionale ma mai banale e scontato, in ogni sua caratteristica, così da far suonare in modo speciale anche una semplice cadenza plagale che apre e chiude il tema. Un tema soave che di certo non lascia indifferente l’ascoltatore, ma che lo emoziona ancora una volta.
A cura di Marco Pollice
Pianista e Compositore
Info: http://limenmusic.info/?page_id=6861