Mattia Menegazzo in arte Mått Mūn ha pubblicato LUX il suo LP uscito per Beautiful Losers: un disco che fa star bene. Ecco la nostra recensione…

Per ascoltare questo disco, puoi avere due approcci: cominciamo da quello superficiale, che comunque non sbaglia ad osservare ciò che appare: uscito per la Beautiful Losers, Lux di Mått Mūn presenta uno stile estetico ben definito. E’ un elettro-rock che recupera dal synth pop, ma non suona mai realmente anni ’80, a parte uno scivolone in Waves, con quei brutti tom di batteria nel ponte della canzone! Dai, sembra che arrivi MacGyver! Per il resto, gli arpeggioni stellari, i bassi synth che pompano, la voce spesso compressa, son tutte scelte che non sanno più di revival: ormai costituiscono un filone rinnovato del genere, da circa dieci anni.
Dai testi poi, sempre con sguardo superficiale, emerge un gusto per i termini astronomici: si parla del “red shift”, nell’omonima canzone, che ha a che fare con lo spettro della luce. Si parla di eruzione solare in Like a sunflare, della vita di uno ione in The incredible life of an ion. Qui all’inizio c’è anche una simpatica sinestesia: un suono square (a onda quadra), che nell’elettronica tradizionalmente si usa per rappresentare piccole particelle. Fantascienza ed elettronica spesso vanno a braccetto.
Poi Mått Mūn canta: Will I stay in aphelion?. Che cos’è l’afelio? Il punto più lontano nell’orbita di un pianeta, dalla sua stella. Ecco, chiudendola qui, diremmo che Lux è un LP synth rock sullo spazio, con luci fluo in “Iridescent” e “Neon dreams” che fa molto vapor. Fine.
Ma la scienza vacilla, quando compaiono titoli come Soul prism, Cosmic kiss, e ovviamente Divine. Cos’è il prisma dell’anima? Allora, per entrare davvero nei contenuti, ci serve l’approccio profondo, che trascenda la razionalità. Così scorgiamo che c’è molto di più, delle pur suggestive notti viola, una scenografia comunque pertinente.
I testi sono preghiere. Questo “You” a cui Mått Mūn si rivolge, non è la solita “lei” che ama. Può anche esserlo, ma allora tante parti del testo perderebbero di senso.
Condenso alcune strofe di più canzoni qui:
“A neon astral ray / the only thing to celebrate / you’re the eternal fire / ‘cause you are divine”. “Fool men guided by greedy hearts / we’re so alone / until you come / within your light we’ll reborn”. “You just came through the stars / revealing here what we are”. “I’ll see you clear as your halo shines (…) Over blue ways we have been / speed is relative for you and me”.
Questo “you” diventa “it” rivolgendosi all’ascoltatore: “You open up your eyes and raise your hands / to the circle that is feeding us again / we know it’s watching and it comforts us”.
La intuite, questa entità? Fin qui, sembra parlare di un Dio esterno, che sta chissà dove, da pregare e adorare, a cui “sottomettersi”, come dicono le religioni rivelate.
C’è anche l’attesa (“You’re hiding, I’m waiting”), come quella del Messia.
Ma andiamo avanti: “Have a little taste of the conscious mind / of the timespace, ultraviolet sight / maybe it’s the day you will ask where and why / look deep inside, it’s a cosmic dive”. “And all I ever dreamed / resides in me and you / there are neon lights / and a million sights we still miss”. “In every star you’ll find relief (…) so when you’re falling / in parts all broken (…) feel the cosmic kiss / all around”.
Questa forza esterna, in realtà è anche interna a noi, ne siamo parte.
Non “abbiamo” ognuno una propria anima: siamo una sola anima. Prima ne siamo consapevoli, prima riusciamo a vedere più cose, che per ora ci stiamo perdendo.
Questa consapevolezza, dice Mått Mūn, lo salva dall’esaurimento (“I won’t come undone”), e quando ti senti a pezzi, puoi sentire il “bacio cosmico” che ti sostiene. Resta il mistero dell’io di Like a sunflare: “Oh humanity / show me you are still alive (…) and I feel I’ll sacrifice / I’ll illuminate you like a sunflare / burning for you”.
Chi è, che è disposto a sacrificarsi per l’umanità? Così come resta il segreto di quelle “å” e “ū” nel nome d’arte di Mattia Menegazzo, che lasciamo custodire.
Lux è un disco che fa star bene, un’operazione estetica e spirituale d’ispirazione e di supporto.
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