Maramao è il nuovo disco di Matteo Ferrari, artista teatrale e cantante nel quale reinterpreta grandi successi swing degli anni ’30 e ‘40. Ecco la nostra recensione

Il 27 gennaio scorso il poliedrico artista Matteo Ferrari ha pubblicato il disco Maramao.
Per analizzare a capire il lavoro, che ha visto la luce in Italia sotto l’ala protettiva dell’ottima etichetta BlueBellDisc Music e negli Sati Uniti della storica PS Classics, è necessario capire Matteo, a partire dal suo percorso didattico fino alla sua persona. Perché il Ferrari si diploma alla BSMT di Bologna che lo forma e lo prepara al difficile lavoro di Musical Theater e perché il Ferrari quest’arte ce l’ha naturalmente insita, come in un tutt’uno tra interprete e opera. Non solo: Matteo, dall’immagine al modo di porsi, di parlare ai followers sui suoi social media, pare davvero arrivare dalla prima metà del secolo scorso.
Come se incarnasse quel periodo storico, ed artistico, nel quale “Maramo” è ambientato. La fatica discografica è infatti un insieme ben omogeneo di brani composti tra gli anni ’30 ed i ’40, per lo più swing e nazional popolari.
Brani come “Ma l’amore no”, “Il pinguino innamorato”, “Parlami d’amore, Mariù”, “Ti parlerò d’amore” e l’indimenticata (a differenza della moneta) “Mille Lire al mese”. Personalmente, all’ascolto di “Maramao”, la mia mente ha piacevolmente vagato alla mia infanzia, quando mio nonno canticchiava queste canzonette (perché quello erano, a quei tempi) raccontando l’esperienza in guerra, ma anche l’amore, e quel modo di vivere antico e frugale ma pregno di una propria bellezza e dignità.
Mi verrebbe da dire che forse, davvero, si stesse meglio quando le hit erano “Mamma” piuttosto che la trap o i sempre più insapori brani sanremesi.
A queste congetture, forse personali, e dettate dalla malinconia (ma siamo certi che Matteo su quella abbia voluto molto puntare) c’è da soffermarsi sulle ottime qualità vocali e tecniche dell’interprete: una voce dal timbro piacevole, non scontato, che Matteo padroneggia con facilità.
A ricordare a tutti l’importanza dello studio che, quando c’è, non ha certo bisogno di aiutini (dimentichiamoci l’autotune, grazie!). I brani scivolano leggeri, supportati da un ottimo arrangiamento e dalla volontà di renderli il più possibile adesi all’originale.
Lo stesso Matteo afferma di aver affrontato un lungo processo selettivo per arrivare alla tracklist definitiva e al risultato di ogni singola registrazione. Come se non bastasse, “Maramao” non è solo un viaggio nel vintage della musica italiana, ma (anche e soprattutto) uno spettacolo teatrale voce e piano nel quale il progetto tutto prende vera vita.
E di fronte a tutto questo non ci resta che toglierci il cappello, come facevano i nostri nonni, e ringraziare per lo spettacolo.
Ascolta il disco Maramao su Spotify
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