Musicoterapia: i principali modelli musicoterapici

Quanto è importante la musica a livello terapeutico? Abbiamo già parlato di Musica e Medicina e abbiamo visto come è nata la musicoterapia. Oggi vediamo alcuni modelli di musicoterapia e le relative tecniche: dal modello Benenzon alla musicoterapia di Nordoff-Robbins…

MUSICOTERAPIA: La Musica è la nostra vera terapia… (Ezio Bosso)

Musicoterapia: i principali modelli musicoterapici

Musicoterapia: i principali modelli musicoterapici

I principali modelli di musicoterapia

Per intraprendere la professione di musicoterapeuta, è importante conoscere i modelli e le tecniche elaborati nel corso dello sviluppo della musicoterapia. L’approfondimento di tali conoscenze teorico-pratiche è particolarmente utile anche sul piano della scelta delle tecniche (e dei relativi presupposti teorici) che meglio si adattano al processo di cambiamento delle specifiche problematicità che presenta il paziente.

Bruscia (in Benenzon, 1992) definisce “modello” un sistema completo di pratica consistente in: principi teorici, finalità, indicazioni e controindicazioni, procedure e tecniche metodologiche, linee guida per la relazione all’interno della pratica, aspettative nel processo di sviluppo, requisiti formativi e competenze”.

Si riportano di seguito le principali caratteristiche e peculiarità riferiti ai presupposti teorici e ai relativi risvolti applicativi dei cinque “modelli” indicati nella World Federation of Music therapy nel congresso di Washington del 1999.

Modelli di Musicoterapia: il modello Benenzon

Il Dottor Rolando Benenzon, Medico Psichiatra della facoltà di Medicina dell’Università di Buenos Aires, musicista e compositore, è considerato uno dei massimi esperti a livello mondiale dell’applicazione della musicoterapia nei casi di autismo, di pazienti in coma e nel morbo di Alzheimer. Il suo modello si basa sul concetto di ISO (Identità Sonora): “un’insieme infinito di energie sonore, acustiche e di movimento che appartengono a un individuo e che lo caratterizzano” (Benenzon et al., 1997, p. 22).

Secondo l’Autore tutti gli esseri umani possiedono un’identità sonora che li caratterizza e li differenzia dagli altri. Questo flusso interno di energie deriva dall’eredità sonora del soggetto: dalle esperienze intrauterine del periodo gestazionale alle esperienze sonore fatte dalla nascita in poi. Secondo l’autore nell’inconscio ritroviamo un’energia sonoro – musicale in costante movimento, detta ISO gestaltico e l’ISO universale.

L’ ISO gestaltico va a caratterizzare il singolo individuo ed è costituito da tutti gli elementi prodotti a partire dal concepimento. L’ISO universale racchiude tutti i fenomeni sonori comuni agli esseri umani: il battito cardiaco, il suono del respiro, dell’acqua e certi fenomeni sonoro – musicali che diventano universali nei secoli (ad es. la scala pentatonica presente in tutte le ninna – nanne).

L’ISO universale può essere influenzato dall’ISO gestaltico. Il feto possiede esclusivamente la dimensione inconscia per cui le sue uniche identità sonore sono l’ISO gestaltico e universale. Una volta che le energie si “scaricano” passano a livello preconscio.

Benenzon introduce, successivamente, il concetto di ISO culturale, identità che raccoglie, dal parto in poi (fin dai primi suoni della sala parto), tutte le esperienze culturali e gli stimoli sonori provenienti dall’ambiente esterno.

Il concetto di ISO in interazione si stabilisce nel momento in cui una relazione (e un vincolo) si forma: esso comprende la somma delle energie di due o più persone, in quest’ultimo caso si parla di ISO di gruppo.

In quest’ultimo, l’ISO gestaltico e culturale di ciascun componente si adattano reciprocamente, intrecciandosi tra loro per costituire un’identità creativa propria del gruppo in questione.

Il corpo della madre è considerato il primo oggetto intermediario di comunicazione tra il lattante e la madre. E’ da notare che nelle sedute lo strumento musicale, finalizzato a diventare “intermediario”, può, in realtà, essere utilizzato anche in altri modi: come oggetto incistato, quando il paziente lo avvolge fino a farlo diventare parte di sé, di sperimentazione, catartico, quando è utilizzato per scaricare tensione accumulata, difensivo, se viene suonato al fine di “nascondersi” attraverso le proprie produzioni sonore.

All’interno del setting è posto l’insieme degli strumenti musicali definito GOS (Gruppo Operativo Strumentale). Il GOS può essere costituito da strumenti tradizionali, strumenti di facile approccio, strumenti costruiti con materiali naturali, strumenti creati dal paziente o dal musicoterapeuta. Secondo il modello di Benenzon una seduta di musicoterapia dovrebbe articolarsi su tre punti principali: l’osservazione, le associazioni corporeo-sonoro-musicali, l’isolamento riflessivo-attivo.

  • L’osservazione è fondamentale nei primi momenti della seduta, durante i quali il musicoterapeuta deve astenersi dall’agire e dall’esprimersi. Egli deve assumere una posizione ricettiva ma non può fare a meno di comunicare con la sua sola presenza.
  • Solamente dopo che il paziente ha individuato nel setting le proprie modalità espressive il musicoterapeuta avrà un atteggiamento maggiormente attivo, utilizzando specifiche tecniche d’interazione avviando, così, forme di dialogo sonoro.
  • Nella terza fase, quella di isolamento riflessivo-attivo, il musicoterapeuta smette di agire e scinde la sua attenzione fra ciò che proviene dal paziente e ciò che invece proviene dalle proprie sensazioni.

Solitamente le sedute che utilizzano questo modello si svolgono individualmente o in gruppo; comunemente le sedute sono effettuate da una coppia terapeutica costituita da musicoterapeuta e da co-terapeuta, quest’ultimo con funzione “stimolatrice”, di ausilio e di supporto.

Al fine di poter preparare al meglio ogni seduta successiva, il musicoterapeuta avrà cura di compilare un protocollo, ovvero uno strumento di ricerca, di monitoraggio, insostituibile per il musicoterapeuta.

Musicoterapia comportamentale-cognitiva

Il modello di musicoterapia Cliff Madsen ovvero il Brain Music Therapy (BMT) detta anche Musicoterapia Comportamentale si riferisce ad un modello che deriva direttamente all’epistemologia comportamentista nordamericana che tiene conto dell’uso del suono come stimolo che possa intervenire sul sintomo specifico. La metodologia si rifà al concetto di stimolo-risposta.

È un metodo che predilige l’uso della musica come rinforzo contingente o stimolo di suggerimento indirizzato ad aumentare o modificare i comportamenti di adattamento e ad eliminare i comportamenti non adattivi” (Bruscia, 1993, definizione del IX Congresso Mondiale di Musicoterapia, Washington 1999).

L’elemento sonoro musicale dunque è usato per cambiare il comportamento e ridurre i sintomi della patologia piuttosto che per esplorare le cause del comportamento.

Modelli di Musicoterapia Creativa di Nordoff-Robbins

Il modello musicoterapico di P. Nordoff e C. Robbins è caratterizzato da un approccio di tipo attivo. Tale approccio prevede in seduta la presenza di due terapeuti, l’uno si relaziona con il paziente per facilitare l’apertura e la scoperta dell’elemento sonoro-musicale, mentre l’altro è principalmente impegnato al pianoforte ed improvvisa sequenze sonoro-musicali relative al contesto e al paziente.

Questo modello è stato messo a punto dai due autori attraverso un ampio lavoro con bambini affetti da disturbi lievi e gravi di apprendimento (inclusa la sindrome di Down), da autismo, da disabilità psico-fisiche e da disturbi dell’udito, inoltre è rivolto anche ad adulti affetti da disabilità psicointelletive di diversa natura.

L’intervento musicoterapico è suddiviso in tre fasi:

  • incontro e rispecchiamento,
  • induzione alla risposta e alla produzione musicale,
  • sviluppo delle abilità musicali ed espressive.

Il processo di crescita secondo Nordoff e Robbins si basa sulla tecnica dell’improvvisazione.

Tale tecnica segue uno sviluppo graduale cosi che i pazienti un po’ alla volta possano gestire questo nuovo strumento di comunicazione e di contatto con la realtà.

La musica permette di raggiungere obiettivi di tipo intellettivo, emotivo, fisico-motorio, al fine di tale raggiungimento sia il paziente che il musicoterapeuta sono i protagonisti stessi del processo. Nell’improvvisazione musicale il paziente si sente stimato e compreso, grazie a questa tecnica egli è in grado di ritrovare la sua identità personale.

Nel prossimo articolo continueremo l’approfondimento di alcuni modelli di musicoterapia vedendo nello specifico i modelli della violinista Mary Priestley, della dott.ssa Helen Bonny e della violoncellista Juliette Alvin.

A cura di Marilisa Bacchiega, musicoterapeuta

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Info: https://www.facebook.com/bacchiega.marilisa?fref=ts | bacchiegamarilisa@aliceposta.it

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