INTERVISTA | OTTODIX: le invisibili connessioni umane

Entanglement è anche connessione, è anche correlazione, è anche contaminazione… Entanglement è anche un manifesto di società e di umanizzazione… è anche condivisione di vita comune. Ottodix, aka Alessandro Zannier, volo come etereo sentire tra gli uomini e per gli uomini di questa terra, un viaggio metaforico lungo un disco lungo 14 nuove scritture di cui 5 sono suggestive raffigurazioni lisergiche, ampi strumentali che servono da portali spazio tempo per coprire distanze e generazioni.

Il nuovo disco di OTTODIX, Entanglement, è etereo e digitale come sempre, condotto – come sempre – dalla direzione artistica di Flavio Ferri e, come sempre, ritroviamo quel certo modo di analizzare la società che ci circonda, anzi di mirarla e di narrarla. Il suo video di lancio del singolo Pacific Trash Vortex non smentisce e non sorprende… perfettamente coerente con l’artista visionario che ci aspettavamo di trovare sentendo fare il nome di Ottodix.

Ritroviamo Ottodix ed il suo potere visionario. Non so se te l’abbiamo mai chiesto ma penso sia questo il momento giusto: chi è Ottodix? Da dove nasce questo moniker?
Otto Dix era uno dei più importanti artisti delle avanguardie tedesche di inizio XX Secolo, pseudo dadaista divenuto poi massimo esponente della Nuova Oggettività. Un anti nazista feroce e schierato al quale dopo il ‘33 il führer bruciò una gran parte delle opere considerate “arte degenerata”. Io e il chitarrista Antonio Massari (uscito e rientrato dalla band a intermittenza e ora tornato stabile), con cui ho fondato il progetto negli anni ’90, eravamo compagni di studi d’arte, volevamo un nome d’artista che suonasse anche “pop” e si potesse tradurre in cifre e loghi (es. 8X il logo-timbro col quale siglo ancora oggi in un angolino ogni produzione discografica). La cosa curiosa è che all’inizio non era stato affatto scelto il nome per un’assonanza con la musica o i testi che scrivevamo, ma per il suono del nome. Oggi, dopo che la band è stata azzerata nel 2003 e ripartita ufficialmente come mio progetto personale in studio, man mano le tematiche dei miei testi sono diventate sempre più vicine al vero Otto Dix. La denuncia della deriva sociale, storica/culturale, ambientale, l’aggressività dell’individuo-uomo, tutte queste tematiche, sono sempre alla base dei miei contenuti, sotto traccia, nonostante in apparenza si parli di fantascienza, astrofisica o geo storia, come ora. Per finire aggiungo che abbiamo degli omonimi russi molto noti nella loro patria (Otto-Dix staccato), nati pochi anni dopo di noi.

Hai sempre dato spazio alle visioni con i tuoi suoni. I tuoi dischi non sono soltanto suoni e parole ma anche visioni. Così come in tutte le espressioni artistiche che ti accompagnano. Per te dunque è qualcosa da cui non si può prescindere? Pensi sia incompleto un brano che non accolga anche la visione personale?
Credo che alla base di questo mio processo creativo ci siano due elementi fondamentali. La mia propensione a visualizzare un soggetto derivata dalla mia attitudine di disegnatore, pittore, artista visivo (proprio una forma mentis) da una parte, e il bisogno assoluto di trovare ispirazione in argomenti nuovi per scrivere, per evitare di ripetermi. Ho quasi messo al bando temi d’amore, di noia esistenziale-giovanile, di vita quotidiana, cheppalle, lo fanno tutti, forse anche meglio di me. Ho bisogno di creare un film, un tappeto sonoro, chiudere gli occhi e pensare ad evadere lontano, ad una forma-canzone per argomenti inediti, come la chimica, la geografia, Marte, il Polo Nord, Gengis Khan. Poi tra le righe si parla sempre di uomo, quotidianità, esistenza, ma lo si fa in modo più universale in questo modo.

Ci si distacca dalle miserie e dalle vicende da cortile umane, esplorando il grande disegno della natura, del cosmo, della storia e della scienza. Si vedono disegni più grandi da lontano o dall’alto, disegni che quando ci sei dentro non avverti. Affronto i miei (concept) album come dei veri film, da anni. Mi documento molto su un tema prima, poi quando ho la testa che scoppia di nozioni e piena di immagini di un certo argomento, le parole sgorgano e creano canzoni più facilmente, più correlate, collegate tra loro da temi e visioni comuni. Ho fatto film-album di fantascienza (Robosapiens 2011), distopici o retrofuturisti (Le Notti Di Oz” 2009 e “Chimera” 2014 ), filosofici sulla fisica (Micromega 2017), ora Entanglement è un inno alla geografia e alla storia della navigazione per mare, una sorta di giro del mondo alla Jules Verne attraverso oceani e continenti per sfuggire alla piovra dell’iperconnessione globale.

Entanglement è anche figlio di sculture o istallazioni? O pensi che arriveranno opere a lui ispirato?
Entanglement è come sempre mi accade un concetto. Sono un artista concettuale puro, nel senso che prima stendo il concept, l’idea, il messaggio e la metafora che ne sta alla base e poi lo declino contemporaneamente in opere visive e canzoni. Stavolta utilizzo il fenomeno fisico dell ‘Entanglement per simboleggiare in modo poetico la simultaneità di causa – effetto che ormai c’è a livello globale da una parte all’altra del mondo, data dall’iperconnessione di economia, web, fake news, variazioni climatiche, migrazioni, inquinamento e pure pandemie, sì. E’ un disco profetico in modo inquietante, me ne rendo conto ora. L’installazione video “Dispersioni” è stata presentata alla Biennale di Curitiba 2019 (Brasile), 6 mesi prima dell’uscita dell’album, ma di fatto con colonna sonora tratta da esso e con immagini basate sul disco in arrivo. Ho già una serie di opere in cantiere, una poteva addirittura finire alla Biennale di Architettura di Venezia quest’anno, ma hanno rinviato tutto al 2021. Sto lavorando per portare delle opere a tema ad Hong Kong , se nel frattempo non si scannano anche lì (a giudicare dalle tensioni di questi giorni). Vedi? non si può più programmare nulla, il mondo intero è in subbuglio. Comunque sì, opere e musica nascono assieme.

Il mondo digitale questa volta ha accolto un senso orchestrale maggiore. Ho trovato questa dimensione molto umana, molto più viva di spiritualità… la tua scelta invece che chiave di lettura aveva?
La parola “orchestrale” mi riecheggia molto vicina in questi giorni nei suoi molteplici significati. Entanglement è un disco estremamente orchestrale, soprattutto in episodi “biblici” come “Mesopotamia” o la stessa Entanglement ed è frutto di un progressivo avvicinamento all’approccio filmico del soundtrack di un film, appunto. Anche il precedente Micromega lo era, ma questo di più. Questa cosa è rafforzata poi dalla mia attività live che divido sempre di più tra band rock-electro e quartetto d’archi. Si sta tutto fondendo in una sorta di factory in cui si alternano ben 14 musicisti, ormai, l’Ottodix Ensemble.

Nel senso più spirituale, invece, “orchestrale” è anche sinonimo di unione coi miei musicisti, umana, soprattutto in questi mesi di lontananza. Abbiamo infatti messo in cantiere 8 video molto particolari montati da me in cui suoniamo a distanza, in cuffia, mixati a immagini del mondo e a mie opere a tema. E’ davvero un’esperienza anomala e come dici tu spirituale, vedere la squadra così affiatata, se pur segregata e a distanza. Ognuno si è sbattuto, ha organizzato un set casalingo audio video per generare delle versioni a volte superiori all’album dei brani di Entanglement. Sono le versioni live che vi avremmo fatto ascoltare nelle 13 date del tour saltato. I video verranno rilasciati ospitati in anteprima esclusiva in varie testate (come se fossero dei club) via via fino a settembre, come un vero tour, a partire da giugno e sono una cosa davvero unica nel loro genere, tra live, home video, arte e attualità. Ognuna è un continente, si parte dall’Europa per chiudere in Africa e Nuova Zelanda.

Raccontaci questo video ufficiale. Come sempre in un equilibrio davvero precario tra realtà e distorsione…
Il video è nato da una lunga session di riprese fatte con Flavio Ferri (DeltaV) il produttore con me (anche) di questo album, che oltre a essere un fuoriclasse sempre più richiesto per collaborazioni di alto livello, è anche un bravissimo e geniale videomaker. Ha voluto per “Pacific Trash Vortex” (il primo singolo estratto, dedicato al continente galleggiante di spazzatura del Pacifico, simile alla spazzatura virtuale delle fake news che infesta il mare digitale) girare il playback in un unico piano sequenza a velocità rallentata di 3 volte. Ho cantato a rallenty su una base di 12 minuti anziché 4, mentre mi si impiastricciava la faccia (e gli occhi!) di dentifricio al mentolo scadente e scaduto, davvero dolorosissimo e tossico, mentre una mano mi appiccicava sopra ogni sorta di messaggi, simboli, frasi di odio, violenza, pericoli, veleni, tipici del clima “avvelenato” che pullula nei social e nella società reale. La spazzatura del mondo tutta in faccia.
Accelerato tutto a velocità normale si ottiene un effetto ancora più inquietante e claustrofobico. Forse è il video più duro che ho mai girato, ma rappresenta benissimo la malattia che sta alla base di questa epoca delirante. Dopo 3 giorni dall’uscita è arrivato il virus. Giusto per stare in tema di malattia. Un destino.

Guarda il video Pacific Trash Vortex estratto dall’album Entanglement di Ottodix

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