INTERVISTA | Pamela Guglielmetti, Cammino controvento

Cammino controvento è il titolo del terzo album in studio della cantautrice Pamela Guglielmetti. Il nuovo disco, in uscita il prossimo 22 ottobre, ce lo racconta direttamente l’Autrice che abbiamo intervistato in anteprima per i lettori di Blog della Musica.

Oggi ospitiamo Pamela Guglielmetti: ciao e benvenuta tra le nostre pagine, raccontaci un po’ di te…
Grazie a voi per avermi dedicato questo spazio. Volentieri, risponderò a qualsiasi vostra curiosità.

Da dove vieni, cosa significa per te scrivere una canzone?
La prima domanda apre un mondo molto vasto. Andiamo per step. Io sono originaria del Piemonte, ma da due anni vivo in Liguria. Questo cambio di terra ha segnato una grande trasformazione per me, in tutti i sensi. Ho lasciato tutto quello che faceva parte della mia vita e ho riscritto pagine nuove, almeno, sto cercando di farlo. La creatività e la comunicazione mi caratterizzano da sempre. Il mio mondo è sempre stato “musicale” anche se, inizialmente, non comprendeva il “fare musica”. Ho iniziato come danzatrice, poi coreografa, sino ad arrivare al teatro e alla performance. Musica, parole, suoni, espressione, hanno sempre fatto parte di me. Mi sono formata in tutti i settori, ma è soltanto quando la vita mi ha portata a dovere abbandonare la danza per un problema di salute, che ho deciso di sviluppare meglio le altre forme espressive. La musica è arrivata più tardi, in modo imprevedibile. Io scrivo da tanto, ho scritto e sceneggiato per il teatro, per cui il passo verso la scrittura di canzoni è stato non premeditato ma quasi inevitabile, come anche la composizione. La scrittura per me è tutto. Quando lavoro ad un pezzo parto sempre dal testo, solo quando sento che il mondo che voglio raccontare è completo, inizio a lavorare alla linea armonica. Scrivere per me non è solo esprimere un patrimonio interiore, ma il cercare di aprire spazi sospesi ai quali è quotidianamente difficile accedere, spazi interiori profondi di ascolto e riflessione. La vita di oggi porta a scappare da noi stessi, io cerco invece di offrire la possibilità di ritornare in contatto con quello ce sacrifichiamo ogni giorno. Questo non significa entrare in contatto soltanto con parti scomode di noi, ma anche con la bellezza. Non siamo più abituati a riconoscerla.

Com’è nato questo nuovo lavoro di Pamela Guglielmetti?
Il nuovo album non era nei miei progetti. È stato un susseguirsi di eventi, sincronicità, incontri, a creare le condizioni perché nascesse questo nuovo “figlio”.  Nel 2020 avevo appena pubblicato il secondo album “Frammenti”. Un album sfortunato, interrotto a metà dal primo lockdown e ripreso con molta fatica. Non ero riuscita ad ottenere ciò che desideravo, è stato concluso tra mille difficoltà e non c’è stata la possibilità di pensare ad un buon lancio promozionale. La vita mi ha poi fatto incontrare persone che hanno creduto in me, nel mio lavoro, nella mia passione, persone che mi hanno capita davvero nel profondo. Questo ha creato una sorta di magia. Inizialmente si era pensato di dare nuova veste ad uno dei brani a cui sono più affezionata “Il Tempo non esiste”, che a mio sentire non aveva ancora raggiunto una resa strumentale soddisfacente per quello che era il testo. Una volta raggiunto il risultato sperato, ci siamo convinti che valesse la pena scrivere pezzi nuovi da potere curare e “vestire” delle stesse tonalità. È come se in questo disco io abbia avuto la possibilità di racchiudere tutta la mia essenza artistica maturata negli anni come autrice, interprete ma anche attrice. Per tale motivo, questo album ha una importanza immensa per me, come artista e donna.

Questo tuo ultimo lavoro ha visto la sua origine nel bel mezzo della pandemia da Covid 19, qual è il filo conduttore che lega le varie canzoni?
Purtroppo anche questo lavoro è nato in pieno fermento, come il precedente. La differenza l’ha fatta la maturazione, e la volontà comune di riuscire a portare a termine un progetto importante e farlo nel modo migliore possibile. Abbiamo fatto di tutto per superare blocchi, chiusure, restrizioni, surfando tra gli ostacoli ma senza fermarci. Non è un lavoro che vuole sviscerare i disagi portati dalla pandemia. È un viaggio attraverso le parti scomode e buie di una umanità che ha perso una direzione da anni. Quello che la pandemia ha reso palese, non è che un malessere e un disamore per la vita, latente e compresso da tempo. Per me è stato il processo inverso, la pandemia mi ha portata a stare molto in osservazione. Se, quindi, vogliamo trovare un filo conduttore, posso dire che è la ricerca della propria verità, dimenticata e obnubilata da decenni di omologazione, anestetizzazione emotiva, frammentazione sociale. Questa ricerca comprende anche l’accorgersi che la vita è una risorsa inestimabile, un bene unico da riscoprire.

Cammino controvento di Pamela Guglielmetti

Come hai deciso di intitolare il nuovo album “Cammino controvento”?
Un mio caro amico, fotografo e giornalista musicale, in un articolo di qualche anno fa aveva parlato di me come una donna artista costantemente in cammino controvento, nel tentativo di scartare i sassi acuminati che ogni giorno le si ponevano davanti, di superare senza danni quegli scogli che frantumano l’acqua di mare. Si riferiva al mio essere fedele a me stessa, e al mio fare scelte solo coerenti con la mia verità, senza compromessi, prendendo le strade più tortuose. Questo nella vita artistica come quella personale. Ho sentito che ben mi rappresentasse quella visione. Non ho mai scelto strade facili, non ho mai scelto percorsi semplici per “piacere” a tutti i costi. Ho sempre viaggiato seguendo una mia interiorità, anche se spesso ha significato muoversi in direzione “ostinata e contraria”, direbbe il buon De Andrè

Un disco suonato alla vecchia maniera, ti sei circondata di musicisti professionisti, come sono nati gli arrangiamenti delle varie canzoni?
Per me sentire dire che il mio disco è “suonato alla vecchia maniera” è un grande onore, con tutto l’amore che ho per la musica del passato. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi musicisti ma, soprattutto, grandi persone e grandi cuori. L’unione di tutto questo ha permesso che questo disco venisse alla luce. I pezzi di questo album sono pezzi densi di significato, musicalmente non immediati e non semplici. Sono arrivate le persone giuste per potere far sì che l’ascolto di questo disco diventasse un percorso multisensoriale come desideravo che fosse. Il piano di Guido Bottaro, il contrabbasso di Emanuele Valente, l’arrangiamento maestro di Maurizio Fiaschi per la canzone “come sarà”, la chitarra di Filippo Pampararo, il violino di Edoardo Berta e le spazzole di Emanuele Benenti hanno dato quel tocco un po’ nostalgico che riporta ad atmosfere passate ma, in realtà, contengono elementi nuovi. Le armonie non sono così comuni nell’ambito cantautorale. Mi piace vedere questo album come una commistione tra passato e futuro, come una integrazione tra i due. Celebro quello che non andrebbe dimenticato sposandolo con nuove visioni.  Un grande esempio è il pezzo che ho realizzato con un grande artista, Paolo Zebolino, in cui la ghironda perde totalmente la sua veste più tradizionale divenendo assolutamente contemporanea.

Quanto conta per Pamela Guglielmetti la parola scritta?
Come già accennavo prima, per me musica e parole sono inscindibili perché, se ben integrate, hanno la possibilità di aprire spazi inimmaginabili. La mia è una scrittura che ricalca un vissuto, il mio sicuramente ma anche di tutti, e cerca di farlo per immagini. Cerco di pesare ogni parola, perché ognuna costituisce già un mondo di per sé stessa. Non siamo più abituati da tempo a dare senso e ascolto alle parole. Oggi è tutto veloce, liquido, un viaggiare in superficie. Anche la canzone è diventata veloce, immediata, leggera, non sempre ma lo è nella stragrande maggioranza dei casi. Nella canzone d’autore il testo è tutto.

Tra le varie canzoni del tuo nuovo disco c’è anche la cover di “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi, come mai hai scelto proprio questo brano?
Abbi cura di me è un pezzo che amo immensamente. Un invito a tornare all’essenza delle cose, a tornare piccoli, assumendosi la responsabilità di accettare le proprie ferite e la propria imperfezione. È un pezzo che suggerisce il diritto ad essere umani, ad essere fragili. C’è un infinito bisogno di amore in ciascuno di noi, ma è un amore “preteso”, senza capire che per ricevere amore, è indispensabile essere capaci di amare sé stessi prima di tutto. Solo arrivando ad amarsi davvero, una delle cose più difficili al mondo, si potrà amare chi ci circonda e ricevere ciò che noi stessi emaniamo. Accettare la propria fragilità senza giudicarla ma, al contrario, imparando ad amarla, è il primo grande passo.

La stanza dei Miracoli

La canzone di chiusura di “Cammino controvento” si chiama “La stanza dei miracoli”, com’è arredata la stana dei miracoli di Pamela Guglielmetti?
La stanza dei miracoli è uno spazio racchiuso in ognuno di noi. Quello spazio in cui stipiamo tutto quello che non vogliamo vedere: dolori, traumi, ma anche la nostra inadeguatezza, le nostre ombre. Non aprire quella stanza dà l’illusione di avere tutto sotto controllo ma, lei, continua a riempirsi finché è impossibile non sentire la sua pressione. Il miracolo che offre è quello di potere scegliere se resistere a quella pressione rischiando di esplodere, oppure prendere la chiave ed entrarci. Se continuare ad avere paura della paura, o affrontarla scoprendo che una volta guardata in faccia non è quello che credevamo. È la possibilità di “guarire” sotto diverse forme. Sta a noi la scelta. La stanza dei miracoli di Pamela è aperta da anni, ed è un continuo cantiere. Molte cose sono state ripulite e ordinate, altre vanno ancora sistemate. Ma è un lavoro che merita di essere fatto. Diciamo che sto lavorando per renderla sempre più spoglia, essenziale.

Cosa significa per un’artista essere costretti a rimanere immobili e senza un palco?
Per un artista è indubbiamente molto difficile. Il palco dovrebbe essere “la casa” di un artista, il luogo in cui ritrovarsi, comunicare, quello che dà senso a ciò che si crea. Un artista non può esistere senza il trasferimento diretto del suo messaggio ad un pubblico in carne ed ossa. Un’artista come me fa doppiamente fatica, perché nonostante le grandi difficoltà, ha scelto di non dirottarsi su altre forme di comunicazione “virtuali”. In questi ormai due anni non mi sono inventata dirette streaming, forme alternative, per potere lavorare. Sono sul palcoscenico da oltre vent’anni e la magia che si crea non ha eguali. Il teatro fruito attraverso uno schermo, la musica vista e ascoltata artificialmente e non vissuta attraverso i sensi, perdono la loro natura primaria. Il passaggio da “umano” ad “umano” è vitale. Il pubblico percepisce ogni sfumatura, ogni sussulto, ogni sussurro dell’artista, anche il sudore, le lacrime e, importantissimo, l’imperfezione che rende “vero” quello che sta avvenendo. L’artista, a sua volta, sente la grande energia che si anima in platea, anche se il pubblico non si muove, vede gli sguardi, la commozione, percepisce ogni emozione. Ecco, questo scambio emotivo, non potrà mai essere sostituito da immagini che scorrono su uno schermo piatto. Questi anni per me sono stati molto duri, ma, a maggior ragione, so più che mai quanto il senso del mio lavoro stia nella comunicazione diretta. Cercherò di fare quanto mi è possibile per potere tornare ad una dimensione “viva” nel rispetto di un vivere sociale quasi  dimenticato. Tutto quello che viene comunicato, donato, insegnato, arriva al cuore di chi riceve in modo diretto. Il contatto empatico è fondamentale, come lo è lo scambio reciproco.

Progetti per il futuro

Quali sono i prossimi progetti di Pamela Guglielmetti?
Pamela sa che ha tante cose da comunicare e donare. In questo momento si naviga a vista, ho tante cose in cantiere che non attendono che potere partire. Intanto mi dedico alla promozione e diffusione di questo album, augurandomi di poterlo “raccontare” di fronte ad occhi e cuori reali. Questa è la cosa principale. Ci sono anche altre collaborazioni in cantiere che ripercorrono la dimensione teatrale e altri progetti più alternativi, ma non anticipo nulla che non abbia certezza di realizzazione. In questi due anni non mi sono mai fermata, ho creato tante cose nuove. Il mio più grande desiderio è che possano finalmente vedere la luce di un nuovo giorno ed io con loro, e noi tutti.

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