Paolo Tocco è un Cantautore. L’ho conosciuto pochi giorni fa. Prima conoscevo Paolo, discografico e promoter della Protosound, bravo, competente, preciso e puntuale. L’ho intervistato per voi…
Un giorno mi dice: «Ti giro un pezzo sull’ultimo disco di Paolo Tocco “Il mio modo di ballare”», l’ho ascoltato, mi ha subito conquistata e ho capito chi era realmente il Paolo che conoscevo io: un Cantautore, di quelli con la “C” maiuscola. Paolo guida assieme a Giulio Berghella (suo socio) la Protosound Polyproject. Insieme producono e promuovono molti artisti e hanno messo insieme una vera squadra di bravi musicisti alcuni dei quali hanno contribuito alla realizzazione di questo disco.
Ciao Paolo, “Il mio modo di ballare” è un disco davvero bello, bene arrangiato e curato in ogni particolare. Merito tuo, sicuramente, e della squadra che hai messo insieme?
Ciao Silvia!!! Beh che dire? Grazie, lusingato da tutto quello che leggo. Sai una cosa? Ho imparato che un buon lavoro nasce sempre dal buon rapporto dei suoi genitori. In altre parole, le mie canzoni in mano ad AMICI FRATERNI più che colleghi di lavoro hanno permesso al disco di diventare un gran disco… ovviamente per me, per noi. Ora staremo a vedere cosa ne pensa la gente. Però i presupposti sono ottimi direi. E grazie anche a te e allo spazio che gli stai dedicando…
Ascoltandoti cantare è impossibile non notare nella tua voce della sfumature che ricordano De Gregori e Fossati. Ti ispiri a loro?
Beh sicuramente i nomi più immediati da fare sono loro, non c’è dubbio. Ma io direi anche Gianmaria Testa, anche un certo folk americano non riconducibile solo al grande Dylan ma anche a Jackson Brown, c’è il viaggio mediterraneo, ci sono i Sugur Ross, i Beatle, i REM…insomma c’è tanto altro e spero che arrivi. Sarebbe un peccato fermarsi sono ai nomi che hai fatto, grandi, infiniti, che spero di conoscere un giorno per mettere un mattoncino prezioso alla mia casetta… ma c’è anche tanto altro.
Adesso metterai un po’ da parte il lavoro di produttore per dedicarti ai concerti?
No, anzi il contrario. Sembra assurdo ma è così. Fare il cantautore per mestiere significa anche e soprattutto un certo modo di vivere e di lavorare. Io sono un discografico, lavoro di comunicazione e passo le mie giornate a mediare tra gli artisti e i giornalisti. Non è il mio lavoro girare l’Italia e fare spettacoli, concerti. Mi piacerebbe molto ma, per il grande rispetto che ho per questo mestiere, dovrei lasciar tutto il resto e dedicarmi ai concerti…come fanno tutti coloro che vogliono questo dalla vita. Questo disco per me significa un punto di sosta nel mio lungo viaggio, significa un momento di riflessione, un momento in cui fermarsi e dare un occhio allo zaino per vedere cosa ho raccolto. Significa anche aprire nuove pagine mediatiche, nuove conoscenze, nuovi giornalisti. Poi non ti nascondo che se arriva il Tenco sarei il bambino più felice del mondo!!!
Il tuo primo disco “Anime sotto il cappello” l’ha sfiorato il premio Tenco. Con questo disco pensi di riuscire a portartelo a casa finalmente? (e meritatamente aggiungerei…)
Sorrido…mi hai anticipato di un istante. Sarei il bambino più felice del mondo. Quest’anno gareggio per la categoria come “Miglior disco”. Significa che devo aver fatto il miglior disco del 2015. Non so ma a lume di naso mi sembra abbastanza esagerato e presuntuoso da parte mia sperarci e convincermene. C’è davvero tantissima grande musica in giro. Sognare non fa male alla salute, ma con i piedi ben saldati al terreno basta guardarsi attorno e trovare artisti che, anche solo per la carriera che hanno, meritano molto più di me quel traguardo. Però sognare non fa mai male…anzi…
I Social che ormai assorbono gran parte delle ore delle nostre giornate, come si rapportano con il tuo lavoro di produttore e musicista?
Ormai sono l’essenza, sono il sangue delle nostre vene. Senza il Social direi che il lavoro e lo sviluppo di questo mestiere farebbe un passo indietro lungo una generazione. Oggi i click dei social ci permettono di arrivare ovunque e in tempi assolutamente inesistenti. E’ doveroso ed è una preziosa forma di rispetto (verso se stessi prima e verso il mondo umano e professionale che ci circonda) saperne fare un uso corretto e intelligente, e per fortuna moltissimi rientrano in questa fascia di utenti. Ora però mi fermo perché qui si apre il concetto di educazione sui social e direi che è più facile che io vinca il Tenco piuttosto che trovare correttezza ed educazione nell’utenza media di questi mondi designati spesso a REALTA’ invece che VIRTUALI. Però perdonami, forse sono questi tempi a tirar fuori la parte peggiore di me.
In una tua foto (bellissima, di Stefano Rossoni) ho visto che tieni in mano un mazzo di carte. Come mai? Hanno un significato particolare per te?
Eh!!! Io sono un prestigiatore. Ho studiato ben 12 anni la magia delle carte, i giochi di prestigio. Ho scritto giochi che poi sono stati pubblicati sulla rivista nazionale di magia, ho tenuto conferenze e ho insegnato… tutto questo perché ho avventurato il mio scibile alla conquista di stranissime tecniche che – almeno al tempo – erano studiate da pochissimi in Italia. Tecniche inventate da un grande maestro belga Lennart Green che ho poi avuto la fortuna di conoscere. Un mazzo di carte, una moleskine nera, magari la mia chitarra e un cappello. Basta non mi serve altro per uscire di casa.
Concludiamo questa intervista con una richiesta. Nella canzone “Da questo tempo che passa” mi ha colpito molto la frase “…a chi mette troppa acqua ai fiori di un altare…” Me la racconti?
Tutto questo disco parla dell’ipocrisia. Ognuno ha il suo “modo di ballare” ovvero il suo modo di stare al mondo. Spesso l’ipocrisia la raffiguriamo come qualcosa di negativo meditato e misurato a priori…ma spesso sono anche reazioni ingenue e naturali, maschere trasparenti ma pur sempre maschere, condizionamenti e modi di fare… a volte anche io mi sono scoperto ad averne senza volerlo. “Da questo tempo che passa” racconta la malattia del mio babbo, ho immaginato che fosse lui a parlarmi. Lui che non può più camminare come un tempo una sera mi ha incontrato per il corridoio (per lui lungo anche mezz’ora di marcia) e mi ha detto: “Non preoccuparti se mi vedi camminare in questo modo…è il mio modo di ballare”. Quella notte nacque il disco. Ora una persona che affronta una malattia, in qualche modo terminale, con che occhi vede la gente che corre, la gente che ha da fare chissà quale stupida cosa, la gente che può giocare a pallone piuttosto che quella che si ubriaca? E come vede chi mette troppa acqua ai fiori di un altare di chiesa, come a volersi coccolare le grazie di chissà quale santo perché possa chiudere un occhio sulle sue pecche di vita terrena? Ora, dopo aver letto tutto questo, prova a riascoltarla, ascolta bene le parole e capirai molto più di quello che ti ho spiegato. Soprattutto la prima frase. Dolce all’apparenza, ma drammaticamente reale. Spero solo più tardi che mai!!!
Grazie Paolo per aver condiviso con noi la tua storia e la tua musica.
Grazie a te e al Blog della Musica. Tornando al mestiere di discografico è giusto che tutti sappiano quale grande ricchezza rappresentano chi come voi concede parole, spazi e fotografie agli artisti…oggi che facciamo un mestiere che praticamente non esiste più. Sono io che ringrazio voi. Assolutamente. Buon ascolto…